È difficile esprimersi sulla dipartita del grande Paolo Villaggio perché, come sapete, troppe parole guastano la memoria e a volte si rischia di precipitare nel revisionismo cieco. Per quanto mi riguarda, è stato una continua ispirazione dal punto di vista filosofico.
Il suo piglio è senza dubbio figlio di un Diogene, dei veri cinici, personaggi estremi che nell’antica Grecia con l’ironia, l’umorismo e il paradosso surreal-nichilista smontavano tutte le macchinazioni del potere, anche a costo di azioni fuori dalla grazia di Dio—spesso puramente fisiche che manco GG Allin. Pare che Diogene sia morto per aver ingerito un polpo crudo, volendo dimostrare che era una cosa fattibile.
Videos by VICE
Questa tensione alla sfida contro tutti e tutto era tipica di Villaggio che, a suo modo, è morto come Diogene.
Questa tensione alla sfida contro tutti e tutto era tipica di Villaggio che, a suo modo, è morto come Diogene. Curandosi male, girando per la città—narrano leggende metropolitane—con un mantellone nero sotto il quale, completamente nudo, lasciava i ricordini per strada proprio come il suo maestro greco, facendo in qualche modo di tutto per apparire un uomo di merda.
Ma, nello stesso tempo, era evidente che il suo era un sistema per tirare fuori, per reazione, il meglio dagli altri. Un personaggio capace di entrare nella psiche degli italiani a freddo, soprattutto per la sua comicità performativa quasi estrema, che al cinema aveva modo di esprimersi attraverso l’umiliazione sadomasochista post-Buster Keaton della sua maschera principale: Fantozzi.
Ecco, di Fantozzi non è solamente il discorso delle gag a rendere leggendaria la saga, ma anche le colonne sonore: importantissime per guarnire le avventure surreal-allucinanti del ragioniere. Il loro testimone negli anni è stato passato principalmente fra le mani del a premiata ditta Bixio-Frizzi-Tempera, Bruno Zambrini—meglio conosciuto per essere l’autore de “La Bambola” di Patty Pravo e per le sue collaborazioni con Morandi e i Cugini di Campagna—e Fred Buongusto. Di quest’ultimo ricordiamo anche e soprattutto la frizzante colonna sonora a base di samba sintetica e srotolate punk-funk confezionata per l’altro grande capolavoro di Villaggio, Fracchia la belva umana.
Una breve biografia degli autori della prima saga, quella con Luciano Salce alla regia, ci fa capire che non si scherza. Franco Bixio e Fabio Frizzi hanno un curriculum spaventoso di colonne sonore, che vanno da Chabrol e Fulci fino a Bruce Lee, con la capacità di skippare in qualsiasi genere musicale come in qualsiasi genere filmico. Vince Tempera è un arrangiatore e tastierista che ha confezionato un bel po’ di successi soprattutto nel campo delle sigle dei cartoni animati (per dirne una, quella di Capitan Harlock) ma anche nel pop, avendo collaborato con gente quale Battisti, la Bertè, Baglioni e via discorrendo. Il terzetto quando si mette insieme produce faville: per fare solo un esempio ricordiamo che la mitica OST di Febbre da cavallo è opera loro. Ma anche quando decidono di registrare sotto falso nome si ottengono grandi capolavori come la sigla di testa di Godzilla a nome Magnetic System, un acido viaggione sintetico che ti sbudella.
“La ballata di Fantozzi” è un classico senza tempo, perfetto spaccato delle miserie umane piccolo borghesi.
Il loro variare generi e fenomeni sonori è musicalmente perfetto per sottolineare i cambi repentini di situazioni, ambientazioni e sketch dell’epica fantozziana. Anzi, questa dissociazione di fondo è un po’ la stessa che alberga nei personaggi di Villaggio, ed è quindi musicalmente necessaria. Qui di seguito analizzeremo la colonna sonora del primo Fantozzi, un capolavoro che contiene alcune grandi perle. Nel loro brio, queste sono create con una perizia tecnica e una fantasia formale e di contenuto tali da vincere anche da sole, senza la pellicola, come si richiede alle migliori colonne sonore.
“La ballata di Fantozzi” è un classico senza tempo, perfetto spaccato delle miserie umane piccolo borghesi. È una canzone fra lo stanco, l’asservito e il rassegnato, poi divorato dalla frenesia della macchina stritolante della produzione. Dato che oramai conoscono anche i sassi, passiamo in rassegna tutto il resto—molto spesso flash di meno di un minuto, che sono entrati proprio per questo nel subconscio degli spettatori italiani.
Innanzitutto “In archivio“, una meravigliosa aria confidenziale con ghirigori di violino classicheggianti, poi “Al funerale“, che nella sua maestosità minimalista riporta anche alla mente temi fra i migliori di alcuni film horror (parlavamo di Fulci, appunto). A proposito di temi, nella colonna sonora questi sono presi e riarrangiati e sfruttati diverse volte: ecco che “In archivio” diventa improvvisamente “Fantozzi Innamorato“, una specie di pezzone alla Deodato—suadente, da cognac e ballo lento pre-copula, condito da chitarre phaserate con grande classe.
Il trio poi sforna una massicciata psichedelica, in odor di Perigeo e Aktuala, con “Allucinazioni mistiche“, che accompagnano le famose prove di forza psicologiche del nostro ragioniere. Pezzone che non può mancare nella collezione di tutti gli appassionati di roba world/acida, con il famoso finale sacro tutto cori femminili che introducono la visione di Gesù: “Tenete pane? Tenete pesc’? E allora che vi moltiplico io?”
Appena ci siamo ripresi dalla botta psichedelica ecco “La nuvola dell’impiegato“, in cui l’elettronica modulare la fa da padrona. Synthoni malvagi riprendono “La ballata di Fantozzi” rendendola se possibile migliore dell’originale, o se vogliamo peggiore: dovendo commentare a livello sonoro la mitica nuvola impiegatizia che inquina la serenità del nostro Ugo, non possiamo aspettarci altro.
Per gli amanti degli esotismi, “Ristorante giapponese” è il top dei top: nella famosa scena di Fantozzi alle prese con la cucina orientale con tanto di mani mozzate per chi non usa le bacchette e il gran finale del cane Pierugo trasformato in arrosto, il commento musicale è fondamentale per creare un’atmosfera rarefatta e al contempo misteriosa e minacciosa. Mallet e percussioni in primo piano, awesome music from Japantown.
Nella famosa scena di Fantozzi alle prese con la cucina orientale, il commento musicale è fondamentale per creare un’atmosfera rarefatta, misteriosa e minacciosa.
Con “Fantozzi sulla Neve” torna il tema che già abbiamo incontrato con “In archivio” e “Fantozzi innamorato”, ma in questo caso si trasforma in una ballatona disco alla Barry White, tutta orchestrazioni pompate e synthoni wah. Lo stesso tema ritorna nel brano successivo come valzer, anche stavolta ricco di archi. Lezioni di riciclo creativo.
Quando meno te l’aspetti, arriva un tango ammaliante: “Impiegatango” potrebbe concorrere col miglior Casadei o Castellina Pasi, incorniciando la mitica scena del cenone di capodanno, col maestro Canello impegnato a spostare le lancette dell’orologio di modo da anticipare la mezzanotte e sgattaiolare in un altro cenone in un geniale overbooking. C’è tutta la malinconia delle cene aziendali forzate e dei balli in parrocchia fatti di decadenza strutturale e morale.
Attenzione che però Fantozzi si ritrova a fine film (senza dover fare spoiler, tanto lo sapete tutti), dopo la sua conversione al comunismo e alla lotta armata sotto l’influenza del collega militante Folaga, al cospetto del megadirettore galattico. E c’è un pezzo dedicato, “Fantozzi e il Megadirettore“.
L’apparizione fantascientifica del subdolo megadirettore è sottolineata da campane tuonanti, paddoni kraut, bordoni di organi lontani al sapore Pink Floyd e svisate psichedeliche di slide guitar, per poi concludersi con un megafinale di sintetizzatori mistici che ricorda un po’ la roba di Alfredo Tisocco per il gruppo italiano di danza libera. Insomma, una colonna sonora gioiellino il cui successo sarà bissato dal Secondo Tragico Fantozzi: squadra che vince, ovviamente, non si cambia.
L’apparizione fantascientifica del subdolo megadirettore è sottolineata da campane tuonanti, paddoni kraut, bordoni di organi lontani al sapore Pink Floyd e svisate psichedeliche di slide guitar.
Ma per quanto io sia un grande fan del ragioniere più famoso d’Italia e soprattutto—come lo era addirittura Evtušenko—della sua saga su carta, tanto che il primo libro di Fantozzi me lo sono letteralmente divorato per poi cercare di imitare il suo stile in una serie di scritti oramai andati distrutti (facevo le elementari), il fatto che tutti oggi ricordino solo l’Ugo con la figlia scimmiesca e la moglie sfigata a fronte di una carriera fatta di centomila film beh… mi fa schifo.
Preferisco ricordare Villaggio, non potendo ovviamente dilungarmi su una carriera secolare, anche per un film che è, di fatto, fra i miei preferiti. Un film che non è entrato nell’immaginario collettivo e che però oggi risulta quantomeno attualissimo in era di terrori di ritorno: Il… Belpaese, regia ancora una volta di Luciano Salce. Anche qui la musica dei film di Villaggio è spesso l’alter ego della sua comicità nera, sempre attenta a colorare le sue azioni comiche con della musica che riesca sia a essere didascalica che visionaria, a volte addirittura brutale.
Il… Belpaese esce nel 1977, anno del punk, ed è una sterzata rispetto allo stile di Fantozzi che è, sì, critica sociale ma anche e soprattutto comicità. Il film in esame è invece una commedia cinica dalle tinte fosche, con argomento gli anni di piombo, in cui tutto diventa un incubo: rapine, manifestazioni violente, tossicomanie, gente impazzita.
Questo lo scenario che si ritrova davanti il povero ingegner Belardinelli che dopo otto anni di massacrante lavoro su una petroliera decide di tornare al suo bel paese, appunto, per godersi i suoi risparmi da emigrato e aprire un negozio da orologiaio. Da qui tutta una serie di situazioni al limite del possibile: potremmo definirlo il Salò di Villaggio in quanto a crudezza (ma che dico, Salò? Porno Teo Kolossal, se fosse stato girato). Ovviamente si ride anche qui, ma col culo stretto.
Il… Belpaese di Villaggio è una commedia cinica dalle tinte fosche, con argomento gli anni di piombo, in cui tutto diventa un incubo: rapine, manifestazioni violente, tossicomanie, gente impazzita.
La colonna sonora in questo caso serve a dipingere un contrasto netto tra questo disastro e l’ironia della vita che se la sghignazza di gusto: è una colonna sonora discreta che puntella un film caratterizzato da dialoghi e da un silenzio continuo che, come la migliore musica, serve a evocare gli spettri della paura. Gli autori sono in qualche modo controversi: uno è Gianni Boncompagni, anche lui recentemente pianto dal Bel Paese, che non ha bisogno di presentazioni: gli altri due sono Piergiorgio Farina, famoso per essere praticamente il Fausto Papetti del violino elettrico, e Paolo Olmi, riconosciutissimo direttore d’orchestra che a volte si butta nella lounge più sfrenata. Un ensemble che sembra veramente bizzarro e inconsueto, vediamo come se la cavano con la pellicola in esame.
I titoli di testa partono subito con una discosamba elettronica il cui incipit di synth mono arpeggiato ci riporta in mente addirittura gli S-Express dell’omonimo singolo, con l’unica differenza che loro questa roba la faranno molto più avanti, a fine anni Ottanta. La spinta giocosa del brano avvolge la desolazione della petroliera in un mare sconfinato, a volte impreziosita da spianellate elettro alla Deodato e da percussioni disco, atte a far risaltare l’insolazione da lavoro del protagonista, che per il caldo forsennato addirittura riesce ad accendersi una sigaretta semplicemente accostandola a un casco da lavoro di un collega.
A un certo punto il nostro arriva in Italia e si ritrova in mezzo a una manifestazione con cariche della polizia, lacrimogeni e tutto il corollario: per l’occasione ascoltiamo lo speaker di una radio libera che manda un brano punk rock annunciando gli imminenti scontri, chiamandolo “I Get A Kick Out of You” di Gary Shearston. In realtà la musica con quest’autore non c’entra un cazzo, per cui notiamo anche un situazionismo di fondo nel piazzare i brani. Una compilation di punk rock vigoroso, rumoroso e menato, di svariata provenienza, è seminata in tutto il film: cosa che ci manda a razzo Skiantos direttamente nel periodo storico in esame.
Il nostro uomo torna dai familiari, fra i quali troviamo vecchie conoscenze ovvero Gigi Reder aka il ragionier Filini, ma anche delle new entries come un Massimo Boldi in stato di grazia, qui nella parte del nipote eroinomane, avvezzo a farsi i “buchetti”. Poi il protagonista, completamente scollato dalla realtà italiana, si prenderà una cotta per una ragazza, una femminista militante ovviamente molto più giovane di lui: non mancano quindi momenti musicali romantici, tutto organo sintetico e melodia, ma anche con sintetizzatori “laboratorio style” alla Nino Nardini. A proposito di sintetizzatori: la scena in cui gli fanno saltare il negozio (chiaramente per ritorsione), con la sua avanzata elettronica, quasi residentsiana, tutta organetti in levare che sfiorano fumi reggae, è da antologia.
Ovviamente l’ingegnere sarà coinvolto nelle più bieche azioni, tra le quali farsi una pera e partecipare a una rapina: in quella scena troviamo una grandissima parte elettronica che ricorda alcune fra le migliori library synth punk, con momenti di altissima aleatorietà. Il film si chiude con un appello a non avere paura e a uscire per strada, riprendendosi in qualche modo la vita: cornice di questo momento un pezzo corale, un improbabile ibrido della serie Ligeti meets Il Guardiano del Faro (!).
Alla luce di tutta questa bizzarria, invitiamo a esplorare la filmografia di Villaggio senza preconcetti. Non solo a livello filmico, ma anche e soprattutto per quanto riguarda la materia sonora troverete cose nate appositamente per dileggiare il pensiero comune o, meglio, per spiazzarlo del tutto. L’obiettivo: farla finita con i mostri sacri.
E in questo senso Villaggio aveva le idee chiare: parlando della morte dell’amico De André disse che nel mondo della canzone italiana era diventato una sorta di Bruce Springsteen. “Il fatto è che gli è successa una disgrazia, la morte, e in Italia su questo c’è una morale un po’ strana, bigotta, per la quale la morte è una specie di beatificazione. Faber è stato deificato, si è costruito un personaggio finto, lui era molto più divertente, vario, non poteva essere schematico come un anarchico cattivo e incazzato. Era allegro, divertente, paradossale, disposto a cose molto normali, invece l’hanno confinato in quella zona”. Non faremo lo stesso errore con te, caro Paolo: piuttosto ci facciamo crocifiggere in sala mensa.
Demented è su Twitter: @DementedThement.