The Wicker Man è un film britannico del 1973, scritto da Anthony Shaffer e diretto da Robin Hardy. Ispirato al romanzo Ritual (1967) di David Pinner, racconta la storia del sergente di polizia Neil Howie, che parte dal suo paesino in Scozia per recarsi sull’isoletta dimenticata di Summerisle, nelle Ebridi scozzesi, alla ricerca di una bambina scomparsa di cui gli abitanti negano l’esistenza. Una volta giunto a Summerisle, Howie, un devoto cristiano, scopre con disgusto che la comunità pratica una forma di paganesimo celtico ancestrale, ricco di riferimenti alle antiche credenze sulla fertilità del suolo e alle operazioni di magia simpatica per mezzo delle quali l’uomo può intervenire e modificare i risultati del raccolto.
Shaffer voleva che il film fosse “un po’ più sofisticato” dei soliti horror. Anzi, a dire il vero, il regista Robin Hardy non ha mai definito The Wicker Man un film dell’orrore. In un periodo in cui il cinema britannico di genere era dominato da atmosfere gotiche e storie di vampiri (lo stesso Christopher Lee, che qui interpreta Lord Summerisle, deve la sua fama anzitutto alle sue interpretazioni del Conte Dracula nei film della Hammer), Shaffer e Hardy furono intrigati dal concetto di uno scontro ideologico tra il cristianesimo e il paganesimo, il quale è stato per millenni il sistema religioso dominante in Europa.
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Il film fu concepito con l’intenzione di presentare gli elementi pagani in maniera obiettiva, con musica autentica e una ambientazione contemporanea credibile, di mettere in risalto quelle credenze ancestrali su cui si è fondata la vita delle comunità rurali dell’isola britannica (e non solo) prima dell’avvento del Cristianesimo. Una delle fonti principali d’informazione fu Il Ramo D’Oro, dell’antropologo scozzese James Frazer: “I used ‘The Golden Bough’ by Sir James Fraser, which is really the definitive series of books on the mythologies of the world. It’s like a detective story that goes back to the origins of virtually all religions.” (R. Hardy)
Insomma, sebbene le credenze e le pratiche ancestrali di questa piccola comunità rurale—che appare come cristallizzata nel tempo—possano apparire bizzarre e disgustose tanto al sergente Howie come allo spettatore medio, non dobbiamo dimenticarci che per millenni hanno retto la vita di intere comunità di quei luoghi, solo per venire poi brutalmente sostituite col cristianesimo. Una religione morta, dunque, ma non del tutto: nella piccola isola immaginaria di Summerisle, tali riti e pratiche sono stati reintrodotti proprio dopo aver preso coscienza del fatto che valori e dettami del Cristianesimo non possono adeguatamente supplire ai bisogni di una comunità che ripone nella fertilità della terra e nella clemenza del Cielo tutte le sue speranze di sussistenza e sopravvivenza.
La cinepresa di Hardy studia attentamente gli effetti di una società chiusa che ha mantenuto una visione olistica, se non addirittura animistica, del Creato: a Summerisle il Cristianesimo è studiato, ma l’attenzione viene spostata sui suoi lati critici e paradossali, che vengono costantemente messi in ridicolo dalle autorità del villaggio. Shaffer e Hardy vogliono far riflettere lo spettatore sulla forte influenza che un credo, qualunque esso sia, può avere su una comunità separata spazialmente ed ideologicamente dal resto del mondo, costruendo le basi del suo codice etico, della morale e della sua peculiare cultura.
Contrariamente alla maggior parte dei culti monoteistici, la comunità rurale di Summerisle adora una divinità prettamente femminile nelle vesti della Grande Madre Terra. Studiando l’antico culto della fertilità in ambito europeo (ma non solo), Shaffer e Hardy hanno infatti voluto ricollegarsi a quella fase mitica della preistoria—teorizzata, tra gli altri, dall’antropologo svizzero Johann J. Bachofen nella sua opera Il Matriarcato, ma soprattutto dalla lituana Marija Gimbutas—in cui le società rurali si fondavano su una visione olistica e biocentrica dell’esistenza, in cui l’uomo non era considerato padrone della Terra, ma solo come una delle innumerevoli manifestazioni dell’essere.
Probabilmente i miti che hanno ispirato maggiormente la realizzazione di The Wicker Man sono quelli legati ai Saturnali romani, durante i quali l’ordine sociale veniva sovvertito ed eletto un princeps (“Re per un giorno”) a cui veniva temporaneamente assegnato ogni potere, salvo poi essere immolato ritualmente. Il prescelto era solitamente vestito con una buffa maschera e un vestito sgargiante, e veniva considerato la personificazione di una divinità infera ed invernale, il cui sacrificio periodico avrebbe permesso ciclicamente il ritorno della Regina di Maggio (divinità primaverile) e, quindi, fertilizzato il suolo per l’anno a venire. Altri miti simili che probabilmente hanno ispirato Shaffer e Hardy sono quello frigio di Cibele e Attis, nonché lo smembramento rituale di Dioniso da parte delle baccanti.
Tutto confermato da Robin Hardy stesso, in un’intervista in cui afferma che: “The Queen of the May is also a sacrifice in her own way. And both are offered up to the gods in supplication for the resurgence of the crops and the regeneration of life. In countries off the northwest coast of Europe, much of the year is spent in darkness with the sun barely rising off the horizon. Ancient peoples feared the sun might never up come again, and that was a powerful reason to propitiate the gods. When spring occurred, that blessing was attributed to the gods.”
Per tutti questi motivi, The Wicker Man è decisamente un film sui generis, che si può far rientrare in quel filone detto Folk Horror. Altri esempi di film simili dell’epoca sono Il Grande Inquisitore di Michael Reeves, La pelle di Satana di Piers Haggard, Grano Rosso Sangue di Fritz Kiersch e La Tana Del Serpente Bianco di Ken Russell.
Atmosfere sinistre ed oscure, una crescente atmosfera di inquietudine generale, comportamenti bizzarri e dichiarazioni sospette conducono, passo dopo passo, al terrificante atto finale in cui ogni mistero viene finalmente svelato. Per calare lo spettatore in un tale stato di spaesamento e suggestione, Hardy fa una serie di scelte stilistiche e visive molto precise, come riempire la scena di simboli occulti (l’occhio sulla barca, il volto del Sole adorato dalla comunità, l’esagramma formato dalle spade in congiunzione nel bel mezzo del rito di Maggio, le maschere zoomorfe indossate da tutti i membri della comunità durante il rituale, la Mano della Gloria).
Composta, arrangiata ed registrata da Paul Giovanni e i Magnet, la colonna sonora di The Wicker Man contiene canzoni folk tradizionali cantate per lo più dagli stessi attori del film: per esempio, Lesley Mackie, che interpreta il personaggio di Daisy, presta la sua voce per il pezzo di apertura, mentre “Willow’s Song” è cantata da Britt Ekland. Le nenie e i canti celtici che sono disseminati per tutta la durata del film e che accompagnano le scene principali, rendendo in qualche modo il film un “musical a metà” (cosa però sempre negata da Robin Hardy) e giocano un ruolo chiave nel costruire l’atmosfera. Tra le scene più importanti accompagnate da canzoni ci sono sicuramente l’atterraggio di Howie sull’isola, le scene girate all’interno del Green Man Pub (tra cui la danza di Willow), il girotondo dei bambini intorno all’Albero di Maggio, le vestali che saltano sopra le fiamme, la perquisizione delle case da parte di Howie alla ricerca di Rowan, la processione e—ovviamente—la scena finale, l’incontro con l’Uomo di Vimini.
La prima scena si apre con il rombo dell’aliante su cui il sergente Howie giunge sull’isola di Summerisle. Mentre l’occhio dello spettatore è immediatamente catapultato in territori vergini e inesplorati per mezzo di una vista panoramica, l’incipit sonoro è affidato a un dittico ispirato a due poemi di Robert Burns: “The Highland Widow’s Lament” del 1794 e “The Rigs O’ Barley” del 1783, cantati rispettivamente da voce femminile e maschile. Il secondo, ribattezzato “Corn Rings” è ispirato alla festività pagana di Lammas (“It was upon a Lammas night/ When corn rigs are bonie”) durante la quale, a inizio agosto, si festeggiava la prima mietitura dell’anno. Subito ci si trova invischiati in un’atmosfera fatta di pascoli incontaminati, scogliere e antichissime tradizioni.
“Gently Johnny”, invece, è una ballata d’amore spettrale, in costante bilico tra erotismo (il testo è pieno zeppo di doppi sensi a sfondo sessuale) e ispirazione mistica, con una vena malinconica data dal tono di voce di Paul Giovanni, dai flauti e dagli archi. Si tratta di una ballata tradizionale inglese, citata da Cecil Sharp nel 1907 in versione edulcorata; Paul Giovanni ne riprende le parole la parte strumentale basandosi sugli accordi riportati dalla Sharp. La scena del film in cui risuona, girata nel Green Man Pub e nei campi limitrofi, è ispirata all’antico rito dei Greenwood Marriages, durante il quale, nel mese di maggio, i voti di fedeltà matrimoniale venivano momentaneamente sospesi e la comunità fornicava nei campi e nei boschi per rendere gravido il suolo.
un’orgia collettiva notturna nei campi e tra le frondeLa scena del girotondo dei bambini della comunità di Summerisle intorno al Maypole (l’equivalente del nostrano Albero della Cuccagna, entrambe immagini simboliche dell’Axis Mundi) è cadenzata da una filastrocca infantile e al tempo stesso, agli occhi del sergente Howie, inquietante:
“In the woods there grew a tree/ And a fine fine tree was he/ And on that tree there was a limb/ And on that limb there was a branch/ And on that branch there was a nest/ And in that nest there was an egg/ And in that egg there was a bird/ And from that bird a feather came/ And of that feather was/ A bed./ And on that bed there was a girl/ And on that girl there was a man/ And from that man there was a seed/ And from that seed there was a boy/ And from that boy there was a man/ And for that man there was a grave/ From that grave there grew/ A tree.”
La filastrocca, in realtà, affronta il mistero dei cicli cosmici, l’arcano della nascita-morte-e-reincarnazione degli esseri e dell’interdipendenza tra mondo umano, animale e vegetale. Il passaggio logico tra albero, vita animale, unione sessuale tra maschio e femmina, procreazione, morte e rigenerazione dell’Essere è, anche alla luce di altre pratiche e credenze sopravvissute sull’isola, illuminante. Tuttavia il sergente Howie, cristiano convinto, ne rimane sconvolto, quindi disinteressato a cogliere la saggezza tradizionale di una popolazione che non ha abiurato la propria posizione all’interno del “Sacro Cerchio” dell’Universo.
“Fire Leap” è impostata su una melodia dionisiaca, supportata da flauti e zufoli tipici delle cerimonie orgiastiche pagane e dalla magnifica voce delle giovanissime vestali del Fuoco, che danzano nude, volteggiando sulla fiamma allo scopo di rimanere gravide del Fuoco Cosmico (“Take the flame inside you/ Burn and burn below/ Fire seed and fire feed/ To make the baby grow.”).
Agli occhi di Howie tutto ciò non può significare che superstizione e depravazione, ma Lord Summerisle replica con ironia e fermezza sul fatto che le giovani sono completamente nude (Howie: -“But they a-are naked!” Summerisle: -“Well naturally, it’s much too dangerous to leap through fire with your clothes on…”). Agli occhi di Lord Summerisle le credenze tradizionali della sua comunità non sembrano più assurde degli insegnamenti contenuti nel Vangeli—un Dio fattosi uomo incarnandosi nel ventre di una vergine—ma ovviamente Howie è disgustato nel vedere gente così lontana dal senso cristiano del peccato.
Nature and Organisation una delle scene clou del film A stroke as gentle as a feather/ I’ll catch a rainbow from the sky/ And tie the ends together.” […] “How a maid can milk a bull!/ And every stroke a bucketful. Would you have a wond’rous sight/ The midday sun at midnight?
La scena della processione del Primo Maggio è cadenzata da una versione strumentale della tradizionale “Willy O’ Winsbury” (la prima versione conosciuta risale al 1775), rifatta peraltro anche da John Renbourn e dai Pentagle in Solomon’s Seal. Rispetto alle versioni tradizionali e pop, il rifacimento di Paul Giovanni e dei Magnet è più grave e marziale. La comunità di Summerisle, trasfigurata con maschere zoomorfe, avanza come un esercito verso il luogo del gran rito finale. L’andamento è sottolineato da fiati solenni e rullanti decisi, in un crescendo che rende lo spettatore (e il sergente Howie stesso) consapevole che l’epilogo sta per arrivare.
Naturale proseguimento della melodia che accompagna la processione è “Chop Chop!”, un ritmo cadenzato di zampogne, archi e tamburi, basato sulla filastrocca tradizionale “Oranges and Lemons”, che accompagna la morte simbolica di ogni membro della comunità, al fine di riportare nuova vita alla terra: ogni compaesano passa sotto il giogo della morte e della rinascita simbolica, offrendo la sua testa alle spade che i delegati intrecciano per formare una stella a sei punte (simbolo del Sole, nonché dell’unione del Cielo, il triangolo superiore, con la terra — quello inferiore). Anche il sergente Howie, condotto con l’astuzia a vestire i panni del Fool, supera la prova indenne. Tuttavia, il ruolo che ha scelto di interpretare in questa assurda tragedia, lo sta portando ad una situazione da cui non potrà fuggire.
“Sumer is a-cumen in” è il titolo del più antico controcanto medievale conosciuto, risalente al XIII secolo, composto in Inghilterra da autore sconosciuto. Shaffer ebbe l’idea centrale del film, che si realizza appunto nella scena conclusiva, studiando le antiche tradizioni pagane sul già citato Golden Bough di Frazer, e imbattendosi nel “concetto astratto di Sacrificio” e di capro espiatorio. L’immagine dell’Uomo di Vimini, all’interno del quale il “Re per un giorno” viene bruciato insieme ad ogni specie animale, tra i canti festosi della comunità e le grida atroci delle stesse bestie, in un olocausto senza pari nella storia del cinema dell’orrore, fu ispirata da un passaggio dei Commentarii De Bello Gallico, dove Giulio Cesare descrisse come i Galli immolavano i criminali e le vittime sacrificali (per lo più prigionieri di guerra) bruciandoli vivi in enormi colossi fatti di rami intrecciati. Shaffer descrisse la scena come “l’immagine più allarmante e imponente che abbia mai visto”.