Se sai come districarti fra le mille pizzerie presenti su JustEat o Deliveroo le possibilità di mangiare una buona pizza d’asporto a Milano,non sono così basse. Nel 2010 non avrei potuto dire la stessa cosa. C’erano persone seriamente convinte che quella di Spontini fosse l’unica alternativa possibile alla pizza di Napoli o Roma. Ma le cose sono cambiate in meglio con l’avvento delle pizzerie “gourmet” o come le chiamo io, “pizzerie buone che non ti fanno venire la sete la notte”.
Le mie preferite da asporto vicino casa sono: Berberé, Rossopomodoro in Porta Romana, Marghe. L’assunto di base è, però, quello all’inizio del primo paragrafo: devi sapere dove ordinare. Perché con altrettanta facilità ci si imbatte in quella che comunemente viene definita “la pizza del kebabbaro” (identifico “kebabbaro” in colui/lei che in prima istanza offre Döner Kebab e poi una pizza italiana spesso fatta male), o più in generale il classico locale nato per fare pizze a poco e in grandi quantità
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La maggior parte delle volte il risultato è: impasto bassissimo e duro, mozzarella rappresa, pomodoro acido e sottoli del discount per le pizze con la “verdura”. Altre pizze rischiano di essere lievitate male e quindi portano all’impossibilità di digerire nel corso della giornata, o peggio della notte. Non voglio neanche cadere nel discorso “affettato cotto nel forno” che dona quel salato insopportabile sul resto della pizza. Non fatemi iniziare l’affaire rucola.
Può una pizza di stampo americano essere buona e conquistare il mercato italiano?
Da quando Domino’s Pizza è entrato in gioco, però, la questione è diventata a mio parere più articolata.
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Disclaimer: sulla pizza non sono una persona facile. Se non conosco il posto da dove tutti la ordinano, non la ordino, mangio altro. Non riesco neanche se sono in un hangover atroce. Un giorno, però, i miei colleghi hanno ordinato Domino’s Pizza; ho assaggiato un pezzo abbandonato in cucina e ho capito che c’era qualcosa. Sentivo il chimico, sentivo una dolcezza anomala per essere l’impasto di una pizza in Italia, ma complessivamente la crosta, seppur fredda, era ancora mangiabile e gli ingredienti sopra erano ancora decenti. Può una pizza di stampo americano essere più buona della media delle pizzerie d’asporto nostrane e conquistare il mercato italiano?
Un passo indietro per dare un po’ di contesto: Domino’s Pizza apre a Milano nel 2015, primo punto vendita a Bisceglie. È solo l’inizio di una pacifica invasione, che vedrà l’apertura di numerosi altri punti vendita in tutta la città meneghina e in diverse zone dell’Italia del Nord. Come si legge in questo articolo di Wired, le intenzioni sono abbastanza chiare: entro il 2030 avere il 2% di quota del mercato, ovvero 880 punti vendita nel Bel Paese. Ovviamente non andando sotto Roma, che sarebbe, per costo medio del prodotto e per qualità media della pizza, un suicidio. Di tutto il suo volume d’affari, si stima che il 60% sia dedicato solo all’asporto o alla consegna a domicilio. I punti forti di Domino’s (secondo Domino’s) sono i prodotti freschi e la precisione nel servizio: ovvero pizza calda, sempre. Tasto dolente di molte pizze, anche buone, che spesso e volentieri arrivano tiepidine a casa.
Domino’s arriva calda per due motivi: quei motorini customizzati che vedete davanti ai punti vendita, di cui alcuni elettrici quindi green; i locali, così capillari e così ben posizionati, da coprire tutto il centro e anche parte della prima periferia.
In un tedioso pranzo casalingo, forzata dal telelavoro, decido di vivere l’esperienza Domino’s dall’inizio. Vado sul sito, trovo il punto vendita più vicino a me: io ordino quella vegetariana, il mio ragazzo la messicana con nachos e delle carne non ben identificata sopra. Io aggiungo anche l’impasto pizza pane anche se ero indecisa sul fare la vaccata definitva e prendere quello pieno di formaggio dentro. La possibilità di ordinare quelle che noi chiameremmo “americanate” è vasta: ci sono pizze come la Bacon&Chicken, quella con l’Ananas o la Cheeseburger.
Arriva caldissima e in poco, questo perché il punto vendita è davvero vicino casa. Chiedo per curiosità ai miei colleghi e amici se a loro è mai arrivata fredda. Non è un campione statistico rilevante, ovviamente, ma tutti dicono con una certa sicurezza di no.
Le verdure non sono quelle sott’olio, la mozzarella non mi pare di primissima qualità, ma avrei potuto scegliere quella di Bufala (non so con quali conseguenze). Aggiungo anche degli jalapeno e godo moltissimo. L’impasto è leggermente più alto di quella normale, più panoso appunto, ma morbido e, secondo me, leggermente crudo. Badate bene che tutti gli impasti vengono da un laboratorio centrale – che nel caso di Milano si trova a Buccinasco.
Nel complesso la pizza è buona. Non sana, non gastronomica, ma in maniera becera è quello che vuoi mangiare a pranzo o la sera quando devi dare senso alla tua giornata passata in pigiama. Certo finirla, se sei abituata a quelle lievitate naturalmente con pasta madre etc, non è facilissimo, però devo dire che la digestione non è stata così difficile come mi aspettavo, anzi.
In fase di ordinazione noto anche la possibilità dell’impasto gluten free, cosa che non credo sia facile trovare in tutte le pizzerie d’asporto di Milano o in Italia.
In definitiva Domino’s offre un prodotto, più buono e molti più servizi delle altre pizzerie d’asporto sparse in tutta la città.
Un motivo per non mangiare da piccoli imprenditori e favorire le multinazionali? No di certo. Il prodotto di Domino’s rimane comunque un prodotto industriale e standardizzato nelle procedure e nel gusto. Ma se dovessi avere voglia di pizza in una zona/città che non conosco rischierei di prendere una pizza probabilmente cattiva o opterei per Domino’s? Forse.
L’altra domanda più patriottica è invece: perché una catena americana fa pizza in Italia e ha così successo? Dite che sbagliamo qualcosa noi? Forse.
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