Traslocare è una di quelle attività che certe persone tendono naturalmente a sottovalutare—plausibilmente perché il cervello umano cerca di tutelarsi dalla spirale di fatica, nervoso e disperazione che il processo comporta, tramite un primordiale meccanismo di diniego della realtà. Pensi che non sarà davvero una tragedia, che inscatolare le ultime cose all’ultimo minuto sarà facilissimo, che in fondo hai cambiato un sacco di case da più giovane e che cosa sarà mai farlo dopo i 30 anni.
Ovviamente sono tutte bugie. Puntuale come le tasse, arriverà il momento in cui ti troverai con i vestiti di qualcun altro addosso perché i tuoi sono inscatolati sotto tutto il resto, a sedere per terra in una stanza invasa di cartoni e pluriball, senza lampadine e senza acqua calda, con una sola consapevolezza: avresti dovuto dare fuoco a tutto ciò che possiedi e darti all’ascetismo.
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Il distacco da una casa non è diverso dal distacco da una persona, da un posto di lavoro, da una città, perché l’abitazione è un’estensione di te: come ha spiegato in passato a VICE la psicologa e psicoterapeuta Laura Guaglio in un articolo sul rapporto tra salute mentale e ordine, “le condizioni dell’ambiente in cui viviamo riflettono lo stato della nostra mente.” La casa è qualcosa con cui hai una relazione e—a prescindere da quanto sia bello o brutto questo rapporto e da quanto tu possa essere una persona organizzata e razionale—lasciarla può provocare emozioni complesse e difficili da prevedere, perché è, a tutti gli effetti, il passaggio da una vita a un’altra.
Eccomi dunque a stilare una lista di lezioni sulla vita che ho imparato traslocando da una casa in cui ho vissuto per sette anni con un numero variabile di coinquilini nella casa che ho comprato, con la speranza che qualcuno possa imparare dai miei successi e fallimenti.
IL “DECLUTTERING” VA FATTO CON LARGO ANTICIPO
Svuotare una stanza o una casa intera dagli oggetti superflui è uno dei temi portanti di YouTube negli ultimi anni. Complice il successo di libri e serie sul riordino—dal metodo Marie Kondo sul conservare solo ciò che “sprizza gioia,” al metodo svedese della morte (dove elimini tutto ciò con cui non vuoi “appesantire” chi resterà dopo il tuo trapasso, anche se non stai per morire)—produciamo e consumiamo milioni di contenuti sugli effetti catartici del defenestrare cose.
Ho comprato casa a luglio 2022 e, pur sapendo che sarebbero passati un po’ di mesi prima dell’effettivo trasloco, ho iniziato subito a svuotare dagli accumuli superflui quella in cui ero in affitto (probabilmente l’unico momento di successo dell’intero processo).
Cassetti pieni di farmaci scaduti, vasetti ammuffiti in fondo al frigo, bottiglie di olio esausto rimaste in un angolo dopo quella cena di panzerotti fritti del 2018, tupperware spaiati, dispositivi elettronici rotti e vestiti che sapevo di non voler portare con me: ognuna di queste cose ha un posto diverso e specifico dove essere buttata o donata, cosa che può richiedere un viaggio a più braccia. Non trovarmi a farlo mentre stavo inscatolando ciò che volevo effettivamente portare con me, ha significato un po’ di stress in meno—oltre a permettermi di farlo in modo più sostenibile per l’ambiente, anziché lanciare tutto indistintamente nel primo corso d’acqua disponibile come si faceva con i rifiuti chimici negli anni Ottanta.
Inoltre, comprare una casa (ma anche trovarne una in affitto) può spingere a comprare nuovi corredi. Per gli ultimi 15 anni—da quando ho lasciato la casa dove sono cresciuta—ho continuato a usare asciugamani con più anni di me, lenzuola spaiate e pentole di fortuna, perché, mi dicevo, non aveva senso fare acquisti “a lungo termine” per case non mie.
Qualche mese prima del trasloco, ho fatto una lista dei desideri e iniziato a comprare cose nuove, stabilendo per ognuna un equivalente vecchio da donare o buttare. Altre cose però, anche se vecchie, sono legate a ricordi piacevoli (e funzionano ancora): conservare il tostapane sbilenco con cui la mia coinquilina mi preparava pane e za’atar a colazione ha molto più senso che comprarne uno nuovo. Il significato che attribuiamo agli oggetti è inevitabilmente molto personale, ma rifletterci per tempo (anziché portarsi zavorre o restare senza nulla all’ultimo minuto) è una buona pratica per chiunque.
Certo, è meglio evitare di comprare troppe cose nuove prima di trasferirsi: saranno davvero solo scatoloni in più da muovere. Cose che sono felice di aver comprato in anticipo: lenzuola e asciugamani; cose che potevano aspettare: un set di pentole enormi per cene da 20 persone.
Infine, ho imparato (perché non l’ho fatto) che sarebbe stato intelligente organizzare per tempo una valigia piccola ma capiente per qualsiasi emergenza, con dentro vestiti di diverse pesantezze, un paio di scarpe in più e farmaci e cosmetici che dovevo o volevo usare quotidianamente. Ho dovuto chiedere ospitalità prolungata ad amici perché la casa nuova non era ancora agibile e il mio contratto di affitto precedente era scaduto senza proroghe possibili, ma quasi niente di ciò che mi sarebbe stato utile era con me.
LA BUROCRAZIA È IL MALE DEL MONDO, MA EVITARLA È IMPOSSIBILE
Quando ero bambina, ero terrorizzata dal diventare adulta perché avrebbe comportato gestire tutte quelle carte bizzarre che i miei genitori impilavano sul mobile dell’ingresso, sbuffando a ogni nuova bolletta o minaccia di riunione di condominio. Internet ha semplificato parecchio certi processi—e fare la fila alle Poste con una mazzetta di bollettini non è più un calvario obbligato—, ma la burocrazia resta un reame quantistico che si complica sempre nei momenti peggiori.
Durante un trasloco, giocare d’anticipo è fondamentale anche in questo caso: disdire i contratti delle utenze, avviare il trasloco della linea internet (se vuoi conservare lo stesso contratto), cambiare residenza, denunciare quella nuova per la tassa sui rifiuti, avvisare ufficio, banca, commercialista e chiunque ti chieda pagamenti con fattura (tipo la persona da cui vai in terapia) dei tuoi nuovi estremi è un insieme di piaghe bibliche, ma è fondamentale. Personalmente, ho trovato di aiuto creare un elenco di tutte queste cose e appenderlo dove è rimasto ben visibile: spuntare una voce al giorno è stato meno tremendo che ricordarle tutte all’ultimo.
Attivare le credenziali SPID (cioè esistere nel Sistema Pubblico di Identità Digitale) ha semplificato parecchi passaggi, ma ha richiesto a sua volta un paio di giornate di sano impegno e una gita alle Poste perché i tentativi virtuali di riconoscimento della mia persona non sono andati a buon fine. Anche con lo SPID, la mia richiesta di cambio residenza è rimasta nel limbo dell’anagrafe di Milano per quattro mesi, finché non ho preso appuntamento in una sede fisica. Metti in conto imprevisti simili.
NON SOTTOVALUTARE IL CARICO FISICO DI UN TRASLOCO
Se sei una persona in perfetta forma fisica, complimenti, hai tutta la mia invidia. Se sei una persona con le abilità fisiche di uno struzzo tabagista impagliato, hai invece tutta la mia simpatia. A prescindere, riempire scatoloni e spostarli su e giù per rampe di scale non è un’attività piacevole per nessuna persona; c’è una ragione se le case senza ascensore costano meno persino a Milano, capitale della speculazione.
Quindi: è fondamentale fare scatoloni piccoli, soprattutto se devono contenere libri, e scrivere su ogni lato di ogni scatolone cosa contiene. Io l’ho scritto solo in un punto, orgogliosa come un pavone delle mie etichette tutte uguali, marchiate con un grazioso pennarello verde—e, una volta impilato mezzo milione di cartoni, mi sono sentita una perfetta idiota. Mi sono cullata nell’illusione che tanto avrei svuotato tutto subito—invece avrei dovuto sapere a cosa dare priorità di accesso: realizzare che il mio cavatappi era sigillato chissà dove mentre avevo in mano la bottiglia di vino comprata per consolarmi delle mie fatiche mi ha segnato emotivamente quanto Bambi.
Infine, ho imparato che chiedere aiuto non è sbagliato—ma l’ho capito solo quando due amici si sono presentati a casa mia spontaneamente per riempire la loro macchina di scatoloni, perché preoccupati del mio stato mentale, malfidenti nei confronti dei miei pudici “no, no, tutto ok, non ho bisogno”. Amici così sono rari, siamo d’accordo, ma hai di sicuro qualche amicizia che almeno ti deve un favore o che è felice di farti credito morale per poi sfruttarlo a suo vantaggio.
Quindi il mio consiglio è di arruolare chiunque e di non pensare di poter fare tutto in autonomia, soprattutto se—come la sottoscritta—non hai mai preso la patente. Lunga vita al sistema di trasporti pubblico, ma fare un trasloco via metropolitana non è un’opzione. Né lo sono bicicletta o taxi. Se puoi permetterti di pagare una ditta di traslochi per fare il grosso della fatica, prendi seriamente in considerazione questa alternativa. Io non l’ho fatto per risparmiare, ma, col famoso senno di poi, mi maledico.
NON SOTTOVALUTARE IL CARICO EMOTIVO DI UN TRASLOCO
Ho comprato casa con la persona con cui sto da 10 anni, e nonostante la capacità di gestire crisi, impegni, discussioni e sfighe della vita che abbiamo sviluppato nel tempo, niente ci aveva preparato emotivamente a questo trasloco. Abbiamo continuato a lavorare a tempo pieno (salvo qualche giorno di ferie), con scadenze, call e consegne che si sovrapponevano matematicamente alle date in cui avevamo previsto di tinteggiare la casa vecchia, spostare le cose più ingombranti, rinvasare le piante, restare senza connessione—e siamo arrivati in fondo in pieno esaurimento.
Sii gentile con chi ti accompagna in questa avventura—che sia ordinando una pizza in più anziché litigare su chi deve cucinare, perdonando il disordine o il nervoso, suddividendo i compiti in modo equo—e cerca di ricordare che è comunque un momento felice e che avere una casa è un grande privilegio (nonostante, sia chiaro, dovrebbe essere un diritto), anche con un mutuo lungo tre ere geologiche sulle spalle.
Lasciare una casa dove hai vissuto a lungo è una faccenda complessa: per noi ha significato rinunciare alla quotidianità con un vicinato che si è trasformato in famiglia durante la pandemia, a un gatto altrui che ci faceva visita tutti i giorni, a un quartiere che conoscevamo come le nostre tasche. Le settimane precedenti alla partenza sono state piene di pianti, di maledizioni a una gentrificazione che ha reso impossibile comprare proprio quella casa, di bevute e sigarette nel cavedio condiviso.
Poi è arrivata la consapevolezza che quel luogo non sarebbe imploso senza di noi, che tornare sarà possibile. In modo diverso, certo, ma possibile. D’altro canto, andarcene ha significato anche liberarci dal giogo di un affitto da strozzini e dalla precarietà di una casa non nostra. Sentire un senso di disorientamento fa parte del processo, e ho capito quanto sia necessario prendere il tempo per elaborare ognuna di queste emozioni.
Per me, in particolare, traslocare ha comportato fare i conti anche con un passato rimasto chiuso per anni in un magazzino in un’altra città. Molti dei mobili che riempiono ora la casa nuova sono eredità delle mie nonne e di mia madre, venute a mancare tutte prima dei miei 30 anni.
Per quanto siano oggetti inanimati, il carico emotivo che portano con sé è tale che saperli chiusi al buio ha trasformato la mia ricerca di una casa in un’ossessione farcita di sensi di colpa, in cui mi sono convinta che una parte dell’elaborazione del lutto potesse compiersi solo una volta restituito degno spazio fisico a quei ricordi. La catarsi emotiva, in questo senso, è però arrivata prima del previsto, in un pomeriggio di pioggia a poche settimane dal trasloco: accovacciata nella cantina di mio padre, ho scoperto che metà dei miei libri e fumetti erano stati divorati dalla muffa e non c’era rimedio—alla faccia della metafora sottilissima sulla caducità della vita.
A certe cose, quando cambi casa, devi dire addio—e in fondo va bene così. Ma i bagagli più pesanti da trasportare quando svuoti e riempi stanze, appartamenti e cantine, sono quelli emotivi. Prepararti a quel trasloco ti prepara meglio anche alla fatica fisica.
Quindi prendi un giorno di ferie in più.