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All’indomani degli attentati di venerdì scorso a Parigi si è accesso il dibattito internazionale riguardo alle misure da prendere per arginare la minaccia del cosiddetto Stato Islamico (IS).
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Come prevedibile, le reazioni dei principali capi di stato non si sono fatte attendere. La Francia, colpita nel profondo dagli attacchi, ha risposto lanciando una fitta campagna di bombardamenti su Raqqa, la roccaforte di IS in Siria. “Siamo in guerra,” ha dichiarato ieri il presidente François Hollande dinanzi alle camere riunite. “Gli atti commessi venerdì a Parigi sono atti di guerra.”
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Dure anche le parole pronunciate ieri da Barack Obama a margine del G20 di Antalya, in Turchia. “Lo Stato Islamico è il volto del male. Dobbiamo distruggerlo,” ha detto il presidente americano, avvertendo però che l’invio di truppe di terra “sarebbe un errore.”
Il premier Matteo Renzi ha centrato l’attenzione sulla sfida diplomatica che attende le principali potenze mondiali. “Sul terrorismo bisogna parlare chiaro, è un problema che non si risolve con uno schiocco di dita,” ha affermato dal G20. “In questo senso il principio italiano, riportiamo la Russia al tavolo della discussione, sta finalmente portando risultati.”
VICE News ha interpellato due tra i massimi esperti di terrorismo in Italia: Marco Lombardi, Professore di Crisis Management all’Università Cattolica di Milano e responsabile del centro di ricerca ITSTIME, e Alessandro Orsini, Direttore del Centro per lo studio del terrorismo dell’Università “Tor Vergata” di Roma.
Come difendersi da IS in Europa
Gli eventi di settimana scorsa hanno confermato una circostanza temuta da tempo: i membri di IS sono in grado di colpire obiettivi sensibili sul territorio europeo con relativa facilità.
Per tentare di prevenire nuovi attacchi – suggeriscono gli esperti – è necessario agire su più fronti: nel breve termine, con un netto slancio alle operazioni di intelligence e, per il futuro, con programmi di deradicalizzazione mirati.
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“Si deve istituire un programma di information sharing in tempo reale,” prosegue “Abbiamo visto che i terroristi sono in grado di sfruttare le tecnologie a loro vantaggio, è impensabile che le agenzie di sicurezza non possano fare altrettanto.”
Alessandro Orsini sostiene che, qualunque provvedimento si prenda, “è impossibile essere sicuri di impedire nuovi attentati.” Tuttavia, concorda sul fatto che “sia necessario spendere molti soldi per finanziare i servizi di intelligence affinché possano contrastare i terroristi prima che uccidano.”
La minaccia del radicalismo islamico non è però destinata a dissolversi in tempi brevi. Così, a detta degli esperti, la vera sfida si gioca sul campo dell’integrazione e della prevenzione.
“Prima che una persona entri in una cellula [di IS], il terrorismo si combatte lottando contro l’esclusione, il razzismo e l’emarginazione,” afferma Orsini. “Solo quando una persona cerca di mettersi in contatto con una cellula, il terrorismo si combatte o con l’espulsione – se chi ha commesso il reato non ha la cittadinanza – o, in caso contrario, con il carcere.”
“Si deve insistere con il lento processo di deradicalizzazione,” gli fa eco Lombardi. “Non bisogna dimenticare che questi sono immigrati di seconda generazione, un fatto che dimostra come i modelli integrativi attuali siano falliti. Ricordiamoci che non tutti gli estremisti sono necessariamente dei terroristi. È importante dialogare con loro e scambiare punti di vista prima che raggiungano quel livello.”
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Le iniziative internazionali per sradicare IS
Anche sul fronte esterno gli esperti indicano una strada duplice. Da una parte si deve puntare su iniziative diplomatiche ad ampio respiro coinvolgendo tutti i principali attori—scenario, peraltro, auspicato dal governo italiano. Dall’altra parte, secondo loro, le iniziative militari in Iraq e Siria, terre di conquista di IS, stanno diventando sempre più imprescindibili.
“Sono necessarie azioni diplomatiche efficaci,” spiega Lombardi. “Ma non con la coalizione attuale guidata dagli Stati Uniti. Tutte le forze devono scendere in campo. Russia, Iran, Qatar e tutti i paesi influenti dell’area mediorientale devono sedersi intorno a un tavolo per discutere” quali strategie adottare. “Se non ci pensano da soli, confido sul fatto che al-Baghdadi [il “califfo” dell’autoproclamato Stato Islamico, ndr] riuscirà a riunirli. Ma spero non si debba arrivare a quel punto.”
Nel frattempo, però, mentre la concertazione fa il proprio corso, i due professori auspicano un’intensificazione della presenza militare in Medio Oriente.
“Si deve continuare con i bombardamenti in Siria e Iraq,” afferma Lombardi. “Si deve martellare continuamente finché non si trova una soluzione diplomatica alla questione.”
A detta di Orsini, si è resa perfino necessaria la discesa in campo degli eserciti, data l’inefficacia dei bombardamenti aerei. “Tra il settembre 2014 e il settembre 2015, la coalizione americana ha condotto 7.200 raid aerei senza ottenere risultati decisivi,” dice il Direttore del Centro di Tor Vergata. “È chiaro che le incursioni aeree non riescono a risolvere il problema.”
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Il ruolo che può giocare l’Italia nella lotta a IS
Internamente l’Italia ha reagito agli attentati di Parigi con un deciso inasprimento delle misure di antiterrorismo. L’allerta è stata elevata al “Livello 2”, un gradino sotto il grado massimo, mentre controlli a tappeto sono stati istituiti su tutto il territorio.
Sul campo internazionale, il governo italiano sembra invece avere l’ambizione di fungere da mediatore, facilitando il dialogo tra Russia e Stati Uniti.
“Credo che l’Italia possa giocare un ruolo importante sul versante diplomatico aiutando a far dialogare le varie potenze,” concorda Lombardi. “Da un punto di vista militare, un nostro intervento non è necessario. I ‘due’ aerei che potrebbe fornire l’esercito italiano non fanno una grande differenza.”
Tra i provvedimenti annunciati dal Ministro dell’Interno Angelino Alfano spicca l’accelerazione del processo di espulsione per i soggetti ritenuti vicini ad ambienti estremisti.
Secondo Alessandro Orsini, si tratta di una iniziativa efficace per contrastare la comparsa di cellule interne di IS. “La tecnica delle espulsioni di persone sospette è la più saggia e intelligente che ci sia, ma può essere perseguita soltanto contro coloro che non sono cittadini italiani,” spiega Orsini.
“Il rischio che gli innocenti vengano condannati ingiustamente mi sembra basso,” aggiunge Orsini, “Perché, almeno in Italia, i foreign fighters sono molto pochi e, inoltre, il reato di terrorismo internazionale è uno di quei reati su cui è molto difficile equivocare. Prima di espellere, gli investigatori non si limitano a intercettare una o due email. Raccolgono decine di documenti jihadisti scaricati da internet e molto altro.”
Il successo di ogni iniziativa sarebbe però strettamente connesso al livello di collaborazione tra stati. “L’Europa sopravviverà solo se rimarrà unita,” conclude Marco Lombardi. “Bisogna concertare una linea politica e trovare delle soluzioni comuni. Alzare muri non serve a niente.”
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