In questo momento non ho la minima idea di quanti soldi abbia sul mio conto corrente. E non è perché ne guadagno così tanti che è inutile far calcoli, né perché ne ho così pochi che non ho voglia di deprimermi.
Semplicemente, è un’informazione con la quale non voglio convivere, perché Non Devo Saperlo. Anzi: passano anche mesi prima che decida a fare il log-in sul sito della banca—in fondo, è molto più facile pensare direttamente di non avere un soldo che trovarti davanti a tutti i soldi che non hai.
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Le ragioni di questa ansia sono insondabili. La prima motivazione che mi dò, analizzandomi, è che se sapessi quanti soldi mi sono rimasti probabilmente mi accorgerei che dovrei spenderne di meno, che dovrei andare in posta per restituire al mittente i jeans che ho comprato online, che dovrei disdire le offerte di Spotify e Amazon prima che si rinnovino. Eccetera.
La seconda è che forse rischierei di rovinare il mio stile di vita—che mi sta attualmente bene—senza neppure sapere che, mantenendolo, rovino con le mie stesse mani quello dei miei prossimi anni.
Semplicemente: spendo, ma neppure tanto. Il giusto. O meglio: non risparmio. Eppure, stando a persone molto più adulte della sottoscritta, tenere sotto controllo le proprie finanze e risparmiare non sono solo un sistema per evitare cene a base di cracker e tonno in attesa dello stipendio. Sono un mattoncino sulla strada dell’autorealizzazione. Ecco dunque perché ho deciso di capire come mai non risparmio, e come dovrei iniziare a farlo.
Secondo molti, la tendenza dei giovani al non-risparmio sarebbe quasi connaturata al loro stadio della vita. “I ragazzi sono meno inclini al risparmio, e spesso addirittura non riescono ad avere un’esatta percezione del valore dei soldi,” emergerebbe da un’inchiesta condotta dalle associazioni dei consumatori venete patrocinate dal presidente nazionale di FederConsumatori.
A confermarlo del resto è il Pew Center, una società di rilevazioni sondaggistiche e analisi. Secondo uno studio presentato quest’anno, i giovani italiani non penserebbero minimamente a risparmiare per quando diventeranno vecchi.
“Una maggioranza di giovani tra i 18 e i 29 anni,” si legge sull’Ansa che riporta il documento, “ha ammesso che, al di là dei prelievi previdenziali obbligatori, non mettono da parte per un futuro che sembra a loro ancora abbastanza remoto.” Quei giovani che lo fanno, nel nostro paese, sarebbero il 13 percento. In Germania e negli Usa la quota salirebbe sopra i 40.
Ma qual è la ragione? A leggere dalla ricerca, gli italiani convivono con aspetti culturali del tutto peculiari, che li portano a ritenere che il governo/lo Stato/qualche forma di welfare comunque finirà col pensare a loro. E che laddove non giunga lo Stato, arrivi comunque qualche tipo di sussidio inconscio e/o ‘familiare’.
“I giovani non riescono a concepire un tempo nel quale saranno troppo vecchi per lavorare o per comprare una casa,” ha spiegato la dottoressa April Benson in un articolo su VICE. E allo stesso modo, ritengono che i genitori ci saranno sempre, potranno sempre garantire un back up dal quale ripartire in caso di emergenze.
Non a caso, secondo una ricerca di quest’anno, risparmiare soldi per aiutare i propri figli (citati dal 23 per cento degli intervistati) è diventata la seconda preoccupazione principale che spinge le famiglie a mettere da parte il denaro, appena dietro gli imprevisti (48 percento) e sopra vecchiaia e beni immobili.
Prediligere altre motivazioni di risparmio alla “vecchiaia,” insomma, accomuna giovani e adulti. Ma se per questi ultimi, come visto, la scelta di salvare del denaro per i più piccoli è una forma di accudimento prolungato—e necessitato anche dalla crisi—per i giovani si tratterebbe di una specie di “sensazione di invincibilità” che li porta a vivere alla giornata e a non sentire la necessità di fare sacrifici. In una parola, YOLO.
Ma c’è un’altra ragione che porterebbe al totale disinteresse per la magrezza dei nostri portafogli. “I giovani si riconoscono generalmente attraverso l’ostentazione di beni materiali—un certo marchio di abbigliamento, per esempio,” ha continuato Benson.
Il 50 per cento percento dei giovani tra i 18 e i 34 anni compra regolarmente online e si definirebbe un “consumatore digitale” di tutta una serie di attività e servizi offerti su internet—non a caso attività a pagamento come ascoltare musica e guardare film online vedono una sensibile impennata nel dato dei giovani che ne fruiscono, rispetto al resto dell’utenza media.
Ci sono poi molte app, spesso tra le più scaricate, che consentono di tenere traccia delle proprie spese, e accorgersi di quanto si sta cadendo dalle proprie tasche. Digit, insieme a Mint, è per esempio una delle più citate: promettono entrambe di fare tutto il lavoro sporco e farti risparmiare “senza neanche tu debba preoccupartene.”
Queste app sono in grado di ricordarti cose come risparmiare sui costi dei prelievi al bancomat o preferire prodotti meno costosi di altri, arrivando così a farti risparmiare qualche decina di euro in più all’anno. Inutile dire che spesso, per avere la versione completa di alcune di queste app, bisogna pagare.
In generale, è difficile dire se esista un trend nei risparmi dei giovani, se sono i giovani stessi a non dare spazio al risparmio nelle loro vite, e se internet davvero possa essere la nostra ultima occasione per comparare prezzi e servizi, e quindi mettere da parte qualche soldo.
Ciò che è certo è che io stessa ho deciso di risparmiare i soldi spesi in panini al bar nelle pause pranzo, portandomeli direttamente da casa: mangiare davanti al computer influirà quasi sicuramente sulla mia vita sociale, ma alla fine del mese avrò risparmiato per potermi permettere un paio di jeans comprati online, da mandare regolarmente indietro perché mi stanno stretti in vita.
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