Nelle ultime ore, la notizia che sta dominando le cronache e le discussioni online è quella della morte di Emmanuel Chidi Namdi, richiedente asilo nigeriano 36enne aggredito da un fascista a Fermo, cittadina dove viveva ospite di un seminario. Chidi Namdi era arrivato in Italia otto mesi fa insieme alla moglie Chimiary, dopo essere fuggito da Boko Haram passando per la Libia, ed è morto dopo una giornata di coma irreversibile.
La cosa che salta più all’occhio in queste ore—e il punto su cui si stanno concentrando l’attenzione e i commenti—è però, più che la vicenda in sé, le scelte compiute dalla stampa e dalla politica. L’impressione, leggendo i titoli dei giornali e le varie dichiarazioni, è che spesso sia in atto un tentativo di minimizzare quanto accaduto, esprimendo cordoglio ma sorvolando sistematicamente sulle connotazioni politiche del gesto.
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Quello che sappiamo finora—in base a quanto ha detto Don Vinicio Albanesi, e sebbene ci siano versioni discordanti—è questo: Emmanuel Chidi Namdi e la moglie erano usciti dal seminario in cui abitavano per andare a comprare una crema. Avrebbero incrociato due uomini, tra cui sicuramente Mancini, seduti su una panchina, che vedendoli passare avrebbero iniziato a provocarli dando della “scimmia” a Chimiary. Chidi Namdi avrebbe reagito, e poi sarebbe stato aggredito violentemente dall’italiano.
I fatti qui sopra elencati non sono frutto di intuizioni, ma di testimonianze.Sempre secondo le ricostruzioni, l’aggressore sarebbe il 38enne Amedeo Mancini, imprenditore agrario di Fermo conosciuto per le sue idee di estrema destra e ultrà della Fermana. Eppure, quando va bene, sui giornali l’assassino viene definito semplicemente “un ultrà” o—in piccolo—”vicino all’estrema destra.”
Non è difficile trovare esempi di questo. Il Corriere della Sera, Avvenire e Repubblica titolano semplicemente “ucciso da un ultrà.” Sull’edizione online di Repubblica non compare mai nemmeno una volta la parola “fascista.” Amedeo Mancini è un “tifoso della squadra locale di calcio già sottoposto a Daspo” e al massimo si può dire che era “conosciuto come estremista di destra.”
Anche il resoconto dei fatti appare spesso piegato all’esigenza di minimizzare. Secondo il Giornale, a Chidi Namdi sarebbe stato fatale il fatto di aver reagito agli insulti: “una reazione che gli è stata fatale: l’ultrà lo ha massacrato di botte, uccidendolo.” Il pestaggio viene descritto come “una rissa in cui uno dei due ha anche sradicato un palo della segnaletica” in cui “alla fine l’italiano ha picchiato talmente forte il migrante da mandarlo in fin di vita all’ospedale.”
Intanto, CasaPound e diversi blog e testate di estrema destra si affrettano addirittura a scovare una presunta “supertestimone” che ribalterebbe la versione ufficiale affermando che sia stato Chidi Namdi ad aggredire il suo assassino, che avrebbe semplicemente “reagito con un colpo, purtroppo per la vittima, ben assestato.” In pratica in alcuni casi quella che in partenza era un’aggressione fascista viene edulcorata fino a diventare un solo pugno sferrato come reazione dalla vittima di un pestaggio—una deformazione della realtà assurda e poco plausibile, ma a cui molti credono senza dubbi.
Anche la politica si è comportata in modo simile. Mentre Renzi si pronunciava “contro l’odio, il razzismo e la violenza,” Giovanardi interveniva in Senato dicendo che “può essere che un balordo abbia fatto una cosa del genere… un pazzo, un balordo, un violento,” e dopo di lui il senatore leghista Centinaio prendeva la parola per ricordare le vittime italiane di violenze da parte di immigrati.
Secondo Salvini “chi uccide, stupra o aggredisce un altro essere umano va punito (…) a prescindere dal colore della pelle” e “il ragazzo nigeriano a Fermo non doveva morire,” ma allo stesso tempo, “è sempre più evidente che l’immigrazione clandestina fuori controllo, anzi l’invasione organizzata, non porterà nulla di buono.” In sostanza: poverino, ma se l’è cercata. Simili anche le parole di Simone di Stefano di CasaPound: “si è trattato di un episodio isolato, una rissa in mezzo alla strada che poteva anche avvenire fra due o più italiani. Non mi sembra il caso di strumentalizzare questa vicenda.”
In generale, insomma, sembra che l’intera vicenda stia venendo trattata con un certo pressappochismo—che si tenda, oltre che a minimizzare, a farla passare come un “fatto minore,” “da provincia,” da cui non bisogna trarre conseguenze e che non è indicativo di alcuna tendenza. Non è raro leggere commenti che reagiscono con un certo fastidio o con una scrollata di spalle di fronte a chi si focalizza sull’uso delle parole o contesta il modo con cui molte testate hanno trattato l’aggressore.
Ma perché è così difficile dire che si è trattato di un omicidio a sfondo razzista—soprattutto visto che è questa l’aggravante contestata a Mancini, fermato per omicidio preterintenzionale? Perché é così difficile ammettere che Mancini era un fascista e si preferisce invece occultare la sua appartenenza politica—quasi sicuramente una delle ragioni dell’omicidio—dietro il paravento della sua militanza di ultrà?
Per molti, il semplice constatare che nel 2016 un migrante è stato brutalmente ucciso da un fascista per le strade di una cittadina italiana equivale quando va bene a dare troppo risalto a un episodio marginale e quando va male a voler utilizzare una tragedia per fare propaganda politica. Allo stesso tempo, far notare che in Italia c’è un problema di razzismo e neo-fascismo è allarmismo. Sembra che le uniche reazioni tollerate di fronte a fatti del genere siano delle manifestazioni di condanna e cordoglio superficiali e fini a se stesse, senza mai andare oltre.
Il prete della comunità che ospitava Chidi Namdi, don Vinicio Albanesi, è stato il primo a parlare di piccoli gruppi di persone “che si sentono di appartenere evidentemente alla razza ariana” e che “fanno capo anche alla tifoseria locale.” Era palesemente un modo di parlare di fascismo, evitando di pronunciare una parola che sembra essere tabù. L’impressione è che se non fosse stato per la sua denuncia, la vicenda sarebbe stata derubricata a un episodio di cronaca nera da giornale locale.
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