“Un giorno mentre stavamo esplorando i fondali marini della baia, siamo capitati dritti dritti su diverse bottiglie di vodka e di whiskey.” Chi sta raccontando si chiama Bader Al Sahehhi. Il chiosco di questo istruttore di immersioni si trova all’ingresso della città di Khasab in Oman. Dopo aver ricaricato le bombole d’ossigeno, si siede su una sedia di plastica, vestito di un tradizionale dishdasha bianco.
Prosegue con la sua storia: “Ce n’era più di una trentina. Ero con dei tedeschi che ci si sono precipitati sopra per festeggiare la sera stessa.” Bader, che spiega di essere stato una piccola pedina del contrabbando locale, ricorda di essere rimasto scioccato dalla quantità di alcol che ogni giorno veniva infiltrata in Iran, ai tempi in cui faceva ancora parte di questo business. Quanto alla sua scoperta sottomarina, ha un’ipotesi. “Il loro carico dev’essere senza dubbio affondato dopo una tempesta. E io che pensavo che gli iraniani non amassero l’alcool,” ride.
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Dal 1979, data della rivoluzione islamica in Iran e punto di partenza di tutta una serie di sanzioni internazionali, un’importante attività di contrabbando è nata tra l’Iran e il Sultanato d’Oman.
Alcol, ma anche telefoni, televisori, cosmetici, bibite, scarpe, frigoriferi, sigarette e persino droghe, parte tutto da Khasab per andare verso le coste iraniane e in particolare verso uno dei principali porti del paese, Bandar Abbas. Ma, con l’annuncio dell’eliminazione delle sanzioni contro l’Iran, la situazione potrebbe cambiare.
Tutte le foto sono di Sebastian Castelier
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Houchang Hassan Yari è il direttore della facoltà di Relazioni Internazionali e degli Studi sulla Sicurezza del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Sultan Qaboos dell’Oman. Yari spiega che il contrabbando è un’attività imponente, da quelle parti. “Il fenomeno dura da decenni, e rappresenta una parte fondamentale della vita quotidiana per la gente di entrambe le coste del distretto di Ormuz.
“Eppure, con lo spettro della rimozione dell’embargo iraniano, il contrabbando locale sembra oggi minacciato da un crollo brutale della domanda e, in definitiva, dalla scomparsa totale del profitto in favore del commercio legale. La speranza per i contrabbandieri di Khasab però non è ancora perduta: l’Iran è ancora soggetto alle sanzioni, e la sua politica economica protezionista sembra far passare la voglia di far transitare le proprie merci per le vie legali a più d’un commerciante.
Zia pazienta su di un prato falciato di fresco, uno dei pochissimi ben tenuti a Khasab. Il suo telefono vibra continuamente, infrangendo il rumore del mare. L’autista che l’uomo sta aspettando ha appena varcato la frontiera tra gli Emirati Arabi Uniti e l’enclave omanese. “Devo aspettarlo proprio qui. Sono io che ho il compito di ricevere le merci in arrivo da Dubai,” ripete freneticamente Zia.
È mezzanotte. Il caldo che durante il giorno soffoca Khasab è ridisceso a dei livelli accettabili. Zia è un afgano di 23 anni, originario di Kabul. Ha lavorato tutto il giorno, ma il suo telefono non smette di suonare. L’uomo si destreggia tra l’arabo e il farsi con disinvoltura. Dall’altro capo del telefono, uno dei suoi clienti iraniani che gli ha appena ordinato cinque climatizzatori.
Secondo Mehr News Agency, che riprende dei numeri del Dipartimento Iraniano delle Dogane e delle Accise, il contrabbando nel distretto di Ormuz verso la Repubblica Islamica genera quasi cinque miliardi di dollari l’anno.
Zia, che è entrato illegalmente in Oman nel 2010 per lavorare, è solo una pedina dell’immensa scacchiera del contrabbando che regna nel governatorato del Musandam.
È assegnato a diversi depositi della città dove vengono immagazzinati prodotti provenienti da Abu Dhabi, da Dubai o da Ras el Khaïmah, negli Emirati Arabi Uniti.
“Il mio compito è semplice. Prima di tutto ricevo il camion, e immagazzino le merci nel deposito. Il giorno successivo carico i pick-up con le merci che gli speedboats iraniani verranno a prendere al porto.”
L’imbarcadero, unica finestra sul mare di Khasab, si trova lontano dagli sguardi indiscreti, dopo un lungo deserto polveroso delimitato da reti con il filo spinato.
Il governatorato omanese si trova in un luogo strategico: alla frontiera con gli Emirati e vicino alle coste iraniane. Gli scambi con l’Iran sono una manna dal cielo per il Musandam e per i suoi 30mila abitanti. Marc Valeri, professore associato di Scienze Politiche all’Università d’Exeter e specializzato in Medio Oriente, conferma: “Prima, l’enclave era totalmente isolata dal resto del paese e dunque necessariamente meno sviluppata, trascurata dallo sviluppo economico centralizzato del paese. Questo commercio “legale” e permesso dal governo omanese, rappresenta quindi un rientro di denaro e la possibilità di salari per queste popolazioni.”
Contattato per telefono, un guardia-coste omanese di Khasab che preferisce rimanere anonimo, conferma: “Dobbiamo semplicemente ispezionare qualche volta i carichi per vedere se c’è della droga, ma chi sta sopra di noi ci dice di non fare sbarramento se la merce è legale.” In altre parole, se non si trasporta nulla di illegale come armi o droga, il contrabbando è poco rischioso — bisogna dire che l’Oman difficilmente vorrebbe privarsi di un commercio così abbondante.
Per farci un’idea dell’importanza del contrabbando in Iran, ci rivolgiamo a Thierry Coville, ricercatore dell’IRIS, specializzato in Iran. Coville stima che “il contrabbando rappresenterebbe un terzo delle importazioni iraniane.”
Ma se questo business è molto importante, sembra che da diversi anni stia perdendo vigore — secondo quanto afferma Ali Shahi, un uomo d’affari appena sceso dal suo letto king-size con cuscini leopardati per spiegarci il suo business, sdraiato sulle antiche piastrelle di camera sua.
Pagati dall’Iran, le sue merci sono esportate dai suoi dipendenti dagli Emirati verso Khasab. “Fatturo, dai miei clienti iraniani, circa 130 dollari per camion. E alla frontiera tra gli Emirati e l’Oman, loro pagano 30 dollari di tasse,” racconta Ali Shahi. Una volta arrivato al deposito, il camion scarica le merci affinché vengano stoccate. Il giorno dopo, l’uomo d’affari riceve una chiamata dal suo cliente iraniano che gli comunica a che ora le merci saranno ritirate dagli speedboats.
Sfortunatamente per Ali Shahi, questo meccanismo ben oliato è in crisi. L’uomo racconta di utilizzare soltanto un deposito, mentre ce n’erano tre nel 2001. Su quindici camion “me ne sono rimasti solo due, è una catastrofe. Sono molto preoccupato.” Per lui, sono ormai dieci anni che il numero di carichi cala.
L’uomo dalle guance scavate pensa che l’abolizione dell’embargo non c’entri nulla con il declino del suo business. Influirà più sul versante delle “relazioni talvolta conflittuali tra l’Iran e gli Emirati.”
Per Thierry Coville, le velleità nucleari di Mahmoud Ahmadinejad hanno ribaltato le carte in tavola del contrabbando già qualche anno fa: “Gli Stati Uniti hanno fatto pressioni su tutti i grossi partner finanziari dell’Iran, e gli Emirati ne facevano parte.”
Abu Dhabi non vede di buon occhio gli scambi economici dei suoi compatrioti di Dubai con il vicino iraniano. Un modo di spiegare il declino condiviso da Ali Shahi.
Automobili affondate e conservatori iraniani
Nella sua grossa Toyota dai vetri oscurati, un contrabbandiere di auto di lusso fa il giro dell’isolato di casa. Per proteggere il suo business, l’uomo trentatreenne preferisce non rivelare la propria identità.
Le sue quattro strade passano fieramente davanti alla sua immensa proprietà nuova di zecca. Ha la presunzione di aver costruito un seminterrato a “70mila rial” (163 mila euro) ed essere l’unico “pazzo” ad averne uno a Khasab.
“Come avrete notato è tutto climatizzato,” scherza subito prima di insistere sul suo business illegale. Ma come per tutti i contrabbandieri della città, il suo commercio con l’Iran va a rilento. Peggio ancora, non vende nulla da tre mesi: “Prima trasportavo circa otto auto al mese. Oggi, va tutto a rilento.” Le sue auto vengono ordinate agli Emirati, poi messe in viaggio sulla sua barca nel pieno del distretto di Ormuz.
Controlla senza sosta il suo telefono: “Potrebbero esserci degli ordini,” dice nervosamente. Il suo recente investimento in una grossa barca da consegna per il momento non ha ancora dato i suoi frutti: “Perché prendere una barca più grande? Perché prima mi capitava di affondare in mezzo al mare con le mie auto.” Le onde, il vento e le tempeste hanno avuto la meglio su quattro automobili.
“È un commercio molto fruttuoso in Iran. C’è una classe sociale che ha i mezzi per pagare molto, per girare in dei mezzi di lusso,” spiega il ricercatore Thierry Coville.
Dall’altro lato del distretto di Ormuz, in Iran, i conservatori iraniani vivono come una provocazione la comparsa di questi bolidi di marche occidentali. Sempre secondo Coville, “la classe politica conservatrice iraniana resta politicamente influente […] I prodotti di lusso occidentali e specialmente americani sono ancora invisi ai conservatori,” spiega il ricercatore.
Il contrabbando avrebbe effetti pesanti sull’economia iraniana. In effetti, secondo il rapporto di Mehr News Agency, ogni miliardo di dollari di merci importate con il contrabbando rappresenterebbe da 50 a 60 mila lavori potenziali in Iran. E questo nonostante la creazione nel 2002 della Central Task Force to Combat the Smuggling of Commodities and Currency.
Nello scorso aprile, l’ayatollah Ali Khameneï ha battuto il pugno sottolineando l’impatto negativo del contrabbando. Stessa idea per Mohammad Bagher Olfat, vice ministro della Giustizia che vuole che la lotta contro le organizzazioni di contrabbando divenga una priorità.
A scopo dimostrativo, secondo l’ufficio AFP di Teheran, nel mese di agosto tredici auto di lusso – e di contrabbando – sono state sequestrate e bruciate dalle autorità.
Ma il contrabbandiere d’auto non è preoccupato, per il momento. Una visione delle cose che non è insensata secondo Coville.
“Non penso che molto presto, nonostante l’eliminazione delle sanzioni, un sacco di concessionarie apriranno [in Iran]. In effetti, c’è un dibattito ufficiale sulla protezione dell’industria nazionale. I conservatori in Iran hanno paura di schiacciare l’economia locale aprendosi troppo presto dopo l’embargo. L’idea, in questo momento, è di scoraggiare le importazioni. Secondo me, nonostante la rimozione delle sanzioni, il contrabbando persevererà e si occuperà maggiormente dei prodotti iper-tassati.”
In più, secondo Bernard Hourcade, specialista di Iran al CNRS, l’organizzazione messa in atto dai due lati del distretto non potrà essere smantellata rapidamente. Dalle prime sanzioni, i Pasdaran, i Guardiani della rivoluzione, hanno intessuto potenti legami con alcuni imprenditori stabilitisi in Oman e nei paesi vicini.
“Tutte le imprese iraniane hanno cercato di sopravvivere durante l’embargo. I Guardiani della rivoluzione sono stati molto attivi, dato che le loro relazioni permettono una certa impunità verso le dogane e le amministrazioni di entrambi i lati del Golfo. In più, molti territori iraniani appartenevano all’Oman nel XIX secolo, e il golfo è Persico e Omanese da sempre. Dunque hanno dei precedenti.”
Bernard Hourcade pensa che la fine dell’embargo non coinciderà dunque con la fine del contrabbando nella regione: “Non si distrugge mai una struttura di questa qualità […] Ci vorranno alcuni anni prima che se ne sentano i veri effetti.”
A Khasab, molti si domandano se la fine delle sanzioni non provocherà, nel lungo termine, la fine del contrabbando — a vantaggio di un commercio legale e strutturato.
La recente istituzione di una linea di traghetti tra i due paesi, e l’allargamento previsto del porto della città, vanno in quel senso.
Un impiegato municipale che vuole rimanere anonimo ha avuto accesso ai piani: “Il porto diventerà una gigantesca porta d’ingresso ed è una grande possibilità per la gente del luogo. Il commercio potrà ripartire.” Con o senza i contrabbandieri di Khasab.
Tutte le foto sono di Sebastian Castelier.
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