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Guida alle bufale più diffuse in Italia sul nuovo coronavirus

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Ogni epidemia di grosse dimensioni genera un’incontrollabile ondata di panico. Lo ha sempre fatto, del resto; e lo fa a maggior ragione oggi, in un’epoca interconnessa e globalizzata come la nostra.

Lo stiamo toccando con mano proprio in queste settimane, col nuovo coronavirus: nonostante gli sforzi delle varie istituzioni di veicolare informazioni corrette e di unire le competenze scientifiche, online circolano notizie false, racconti di casi di contagi non verificati, materiali decontestualizzati (tipo il video dell’infermeria di Wuhan che non è di Wuhan) e teorie del complotto—vuoi per fini di lucro e scopi politici, o per prendersi due click in più, o ancora per la convinzione che non ci vogliono dire come stanno veramente le cose.

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Siccome sono sicuro che qualche amico/a vi abbia girato su WhatsApp (o un altro social) una di queste false teorie sul coronavirus—a me è capitato giusto qualche giorno fa—ho raccolto quelle che girano di più in Italia.

https://www.youtube.com/watch?v=8NRWbgndQLc&feature=youtu.be

IL CORONAVIRUS È UNA “ARMA BATTERIOLOGICA,” NATA IN UN LABORATORIO MILITARE E SFUGGITA AL CONTROLLO DEI CINESI

Questa è probabilmente quella più famosa, anche perché l’ha rilanciata Paolo Liguori. Il 25 gennaio del 2020, infatti, il direttore di TgCom24 ha detto in televisione di aver appreso da “una fonte attendibilissima” che “tutto nasce dal laboratorio di Wuhan” in cui si conducono “esperimenti militari coperti dal più grande segreto.”

Il coronavirus sarebbe dunque il frutto di un “esperimento batteriologico” finito male, e si sarebbe poi propagato in città e nel resto del paese. Per rassicurare gli spettatori sul fatto che non stia dicendo fregnacce, Liguori dice che di questo “laboratorio di Wuhan” ne hanno parlato anche prestigiose riviste scientifiche internazionali.

In effetti, Nature ne ha parlato nel 2017 e un rapporto del Centers for disease control and prevention (Cdc) nel 2019, presentandolo però come un laboratorio che fa ricerca su virus pericolosi, e non l’inizio del nuovo Resident Evil. Quest’ultimo è probabilmente una rielaborazione della “fonte affidabilissima” citata da Liguori, che in realtà non è né una sua “fonte” né tanto meno è “affidabilissima.”

In base alla ricostruzione di Pagella Politica, l’origine di questa bufala è un articolo dello screditatissimo Washington Times—da non confondere con il Washington Post—in cui compaiono dei virgolettati di Dani Shoham, un esperto di armi batteriologiche, e si dà per assodata l’origine militare e accidentale del coronavirus. Lo stesso Shoham, però, ha detto al fact checker Pavel Bannikov che “ad oggi non c’è alcuna prova che ci sia stato un incidente” e che “l’intero contagio potrebbe avere ovviamente un’origine naturale, come sembra essere la via più probabile al momento.” In sostanza, persino l’intervistato ha smentito l’articolo del Washington Times.

Ovviamente, Liguori si è trovato in ottima compagnia: l’articolo in questione è stato ripreso acriticamente da Il Messaggero, Libero (che poi ha rimosso), TPI, Il Giornale e altri.

https://youtu.be/t-QfyV_42vE

IL CORONAVIRUS È STATO CREATO DA UN ISTITUTO CHE PRODUCE VACCINI

Per rimanere sul filone “sceneggiature di film apocalittici che non ce l’hanno fatta,” anche secondo questa bufala il Coronavirus sarebbe stato creato in laboratorio. I colpevoli non sarebbero i cinesi, ma il britannico Pirbright Institute; il quale, nel lontano 2015, avrebbe addirittura depositato un brevetto di vaccino con la prospettiva di incassare un mucchio di soldi al momento giusto.

Questa tesi, stando a PolitiFact, è circolata principalmente nei gruppi antivaccinisti americani di Facebook ed è stata rilanciata dal candidato repubblicano al Senato Shiva Ayyadurai (noto per le sue posizioni complottiste). In Italia è comparsa in alcuni gruppi Facebook e su Twitter, anche tramite il video inserito qui sopra.

Come scrive Cristina Da Rold su Valigia Blu, il brevetto in questione non riguarda il Coronavirus 2019-nCoV di cui si parla in questi giorni (il cui genoma è stato reso pubblico) ma “il coronavirus attenuato della bronchite aviaria (Ibv), che fa parte dei ‘Gammacoronavirus’ e colpisce i polli domestici.” Lo stesso Pirbright Institute, che per l’appunto si occupa di studiare e prevenire le malattie infettive del bestiame, ha spiegato che il suo brevetto riguarda “lo sviluppo di una forma indebolita del coronavirus che potrebbe essere potenzialmente utilizzata come vaccino per prevenire le malattie respiratorie negli uccelli e in altri animali.”

Inoltre, continua Da Rold, la teoria del “coronavirus brevettato” contiene un errore di fondo comune a tutte le tesi antivacciniste: la certezza che “il mercato dei vaccini sia una delle voci più redditizie del bilancio delle case farmaceutiche. Non è così: chiaramente le aziende ci guadagnano dalla vendita dei vaccini, ma non sono certo tra i farmaci più redditizi per le case farmaceutiche.”

BILL GATES SAPEVA DEL CORONAVIRUS, E FA PARTE DI UN PIANO PER DECIMARE LA POPOLAZIONE MONDIALE

Ok, tenetevi forte. In questo spin-off del precedente—elaborato nei circuiti complottisti di QAnon, 4chan e InfoWars—il fondatore di Microsoft Bill Gates in qualche modo aveva “previsto” l’epidemia di coronavirus e finanziato il Pirbright Institute attraverso la sua Gates Foundation.

Perché? Semplice: per mettere in moto un piano dell’“élite globalista” che da un lato vuole guadagnare attraverso i vaccini, e dall’altro punta a ridurre la sovrappopolazione del pianeta con un bello sterminio di massa (se avete visto la serie televisiva Utopia, siamo da quelle parti lì).

Ci troviamo di fronte, insomma, a un caso da manuale. Perché è vero che nel 2013 la Gates Foundation ha finanziato il Pirbright Institute; ed è anche vero che nell’ottobre del 2019 si è tenuto un evento a New York—sponsorizzato, tra gli altri, dalla Gates Foundation—in cui si discuteva delle possibili contromisure per arginare una pandemia.

Naturalmente però non esiste alcuna correlazione tra il finanziamento di Gates all’istituto britannico e l’evento già menzionato (che non ha “previsto” alcunché); ma è proprio qui che entra in gioco la mentalità complottista. Che prende due fatti reali, li unisce arbitrariamente e ci costruisce sopra la spiegazione di un’epidemia.

Magari la realtà fosse così lineare.

BISOGNA STARE ALLA LARGA DA RISTORANTI E NEGOZI CINESI, NON TOCCARE PRODOTTI MADE IN CHINA ED EVITARE DI COMPRARE DA SITI COME WISH

Usciamo dal campo della science-fiction, ed entriamo in quello della psicosi sotto forma di catena di Sant’Antonio.

In questi giorni stanno circolando diversi messaggi su WhatsApp che invitano a “non andare nei negozi cinesi per un breve medio periodo,” perché “molti commercianti cinesi […] hanno continui contatti con la catena di distribuzione nei loro ingrossi” in Cina. La speranza non è quella di essere “discriminatori,” ci mancherebbe!, ma di “essere d’ausilio alla popolazione.”

Discorsi analoghi si fanno per i ristoranti cinesi—dove si mangia addirittura la “zuppa di pipistrello,” come sostiene chi linka un video su YouTube che non è stato nemmeno girato in Cina, e che l’autrice ha rimosso scusandosi—o per i siti di e-commerce come Wish. È meglio starne alla larga, sostengono altre catene su WhatsApp che iniziano con la rassicurazione che “questa nota non vuole seminare il panico,” perché il cibo o gli imballaggi potrebbero essere contaminati. Sarebbe anche saggio non mettere piede nei “quartieri cinesi” delle nostre città: non si sa mai.

In realtà, come ha spiegato Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, “la trasmissione di questo virus avviene prevalentemente per contatto tra le persone o non per via alimentare. Inoltre, in Europa è vietata l’importazione di animali vivi o di carne cruda dalla Cina.”

Parlando poi dei prodotti made in China, Brusaferro ha ribadito che “non ci sono evidenze che questo tipo di infezione si trasmetta attraverso oggetti inanimati come giocattoli, vestiario o altre tipologie di materiale.”

Per il resto, è abbastanza fisiologico che l’allarmismo sul nuovo coronavirus produca informazioni errate o tendenziose; era successo più o meno lo stesso con Sars o Ebola.

Tuttavia, non va mai dimenticato che anche la bufala più assurda e apparentemente innocua ha effetti malevoli.

Nell’ultima settimana si sono infatti verificate aggressioni fisiche e verbali, e sono tornati prepotentemente di moda antichi stereotipi sinofobi. Un consigliere comunale di Treviso in quota Fratelli d’Italia, per esempio, ha scritto su Facebook che i “cinesi onti [lerci]” ci “impestano.”

In tutto ciò, il sistema mediatico (online e non) ha un’enorme responsabilità. Come denuncia il giornalista de il manifesto Simone Pieranni, esperto di Cina, ogni servizio o articolo basato su voci fantasiose concorre a creare “un clima di sospetto nei confronti dei cinesi su cui viene caricato tutto il peso dei discorsi classicamente anti-cinesi: sono sporchi, mangiano i serpenti, nascondono le cose, sono cattivi.”

Se fare informazione “ha ancora un senso,” continua Pieranni, “mai come in questi casi bisognerebbe evitare di fomentare il razzismo e offrire un’informazione capace di sviluppare un senso critico e un’opinione fondata su dati certi.” E invece, come al solito, sta accadendo l’esatto contrario.

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