Identity

Cosa ci dice il porno “interrazziale” sulle paure del maschio bianco

Nel luglio 2017, il regista James Camp avrebbe chiesto due volte all’attore porno Moe “The Monster” se fosse d’accordo a farsi chiamare “ne*ro” dalla co-protagonista bianca, l’attrice Ryan Conner, secondo quanto riportato nella denuncia presentata poco dopo da Moe stesso. A quanto pare, Camp avrebbe detto a Moe che al pubblico piace sentire quella parola nei film porno, e che Conner era disposta a usarla. Moe ha dichiarato più volte di avere negato il suo consenso.

Eppure nel video caricato sul sito porno dogfart.com, Conner—che a quanto dice Moe era presente durante entrambe le conversazioni—nella scena dell’eiaculazione dice chiaramente, “Vieni, vieni, ne*ro. Riempimi, ne*ro.”

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A maggio di quest’anno, Moe ha fatto causa a Camp e alla DF Productions Inc., la società che ha prodotto e pubblicato il video, per frode, negligenza e molestie razziali. “Ho girato più di 50 scene per questa casa di produzione,” ha detto Moe al New York Daily News. “Per molto tempo sono stato uno dei loro attori di punta. E parlo sempre apertamente di razzismo. Solo il fatto che me l’abbiano chiesto per me è un insulto, ma pubblicare il video contro la mia volontà è una cosa che mi ha ferito. Mi sembra che fosse tutto architettato.”

Il Dogfart Network della DF Productions è specializzato in porno “interrazziale”, che, come dice il nome stesso, consiste in scene di sesso tra un attore nero e un’attrice bianca e che, non c’è quasi bisogno di dirlo, spesso presenta il rapporto in modo stereotipato. A sostegno della sua accusa, Moe ha definito la DF Productions una società che “si rivolge a un pubblico razzista, spingendolo a pagare per vedere film porno a sfondo razzista.”

Né la DF Productions né Ryan Conner hanno voluto rilasciare dichiarazioni, e il regista, James Camp, è stato impossibile da rintracciare.

Se Moe dice il vero, la sua storia non rappresenta semplicemente un episodio di violazione del consenso nella sfera sessuale. È soprattutto un esempio di quanto il porno venga strumentalizzato come spazio ‘socialmente accettato’ in cui proiettare fantasie razziste sulle persone di colore—con tutte le conseguenze che questo comporta.

Il porno, si sa, è una sorta di mondo a parte, immune ai tradizionali paradigmi di moralità. A patto che ci sia il consenso di tutte le parti coinvolte, comportamenti considerati “inaccettabili” in qualunque altro ambito qui sono legittimati in nome della sex positivity e della natura perversa del desiderio e dell’attrazione. Dato che le perversioni derivano spesso dalle nostre insicurezze, nel mondo del porno non esiste il giudizio e per registi, performer e consumatori il troppo non sembra esistere.

Ma quanto avvenuto a Moe evidenzia il pericolo insito nella creazione di uno spazio senza regole né bandiera politica. Il confine tra una performance sessuale e un’aggressione razzista è molto sottile. Per questo, i porno non possono essere considerati diversamente rispetto al resto dei contenuti e non possono essere scissi dalla questione razziale.

Il video di Moe e Conner è stato pubblicato nella sessione “cuckold” su Dogfart, quella dedicata agli uomini che si eccitano guardando le loro mogli fare sesso con altri—è dunque intenzionalmente rivolto al consumatore maschio e bianco. La descrizione del canale dice: “Cosa fai quando non riesci a soddisfare la tua donna? Chiami uno stallone nero con un cazzo di 30 centimetri che se la scopi mentre tu stai a guardare!”

Il “cucking” interrazziale à la Dogfart esplora una dimensione ancora più oscura, vicina alla messa in scena di uno stupro di gruppo: spesso ci sono diversi attori neri e una sola attrice bianca nella stessa scena. Il sesso in sé ha le forme più disparate, e le donne coinvolte interpretano personaggi molto diversi tra loro. Alcune sono caricature ironiche della bella ragazza bianca con una terribile voglia di fare sesso con ragazzi neri. Altre sono personaggi tradizionali, come la ragazza della porta accanto. E tutto il resto.

In un video della sezione cuckold, un uomo bianco fidanzato con una giovane ragazza bionda, Lily Rader, offre quest’ultima al co-protagonista nero per ingraziarselo. Quando arriva il momento di lasciarla andare, però, la porta di un garage si spalanca e rivela altri quattro ragazzi neri mascherati, che la attendono minacciosi. A questo punto, sempre sotto l’occhio compiaciuto del partner, “l’amico” la trascina per i capelli per dare il via a una gangbang. Ci sono molti video simili. La camera si sofferma spesso sulla figura del partner che si masturba soddisfatto oppure guarda la scena con aria mesta, in disparte—ma rimane sempre padrone del sexual gaze sulla scena.

Il cucking “interrazziale” non fa altro che riconfermare un’ovvietà, e cioè che alcune dinamiche legate all’attrazione sessuale sono anche dinamiche razziali, che ci piaccia o meno. E la trama classica di questi contenuti lascia chiaramente intendere che quest’attrazione non sia semplice desiderio ma la rievocazione di un immaginario razzista radicato che giustificherebbe il gusto nell’osservare il maschio nero ‘predatore’—figura che il maschio bianco odia, teme e invidia al tempo stesso.

La nota attrice porno Stoya mi ha detto che, da donna bianca, si rifiuta di recitare in video “interrazziali” perché trova “assolutamente assurdo” che la pornografia rafforzi questa dicotomia e metta in contrapposizione bianchi e neri. In particolare, critica le case di produzione per il contesto che costruiscono intorno alle scene di sesso “interrazziale”.

Parlando di un’esperienza di lavoro con un partner afroamericano dice, “[La produzione] mi aveva presentato l’attore come una categoria demografica, invece che come un essere umano, e mi sento in colpa per essere stata complice. Erano tutte cose sottili e impercettibili, per esempio sulla copertina io ero in posizione passiva mentre lui spiccava minacciosamente sopra di me… So che c’è di peggio, ma comunque non è così che mi piace lavorare. Accetto di lavorare a film tali solo se la casa di produzione non etichetta il contenuto come ‘interrazziale’—e cioè quasi mai, al di fuori delle produzioni indipendenti.”

Le domande che ho fatto a Tyler Knight, ex attore porno nero e autore di Burn My Shadow: A Selective Memory of an X-Rated Life, hanno confermato che i performer neri nel mondo del porno mainstream si ritrovano spesso intrappolati in rigide dinamiche razziali. Knight sostiene che il 95 percento delle circa mille scene che ha girato nella sua carriera siano state etichettate come “interrazziali” e che per oltre un anno non ha mai incontrato altri attori neri sul set. Secondo Knight, l’ombra del razzismo davanti ma anche dietro lo schermo si può verificare anche nel fatto che alcune attrici richiedono “una tariffa ben più alta della media per lavorare con un attore nero”—plus anche noto come “tariffa interrazziale.”

“La tariffa interrazziale è una sorta di sovrapprezzo per un lavoro ‘rischioso’, senza che ci sia alcun rischio reale,” mi scrive Knight. “Il prezzo si alza semplicemente perché il collega è nero.”

In un’intervista del 2016, l’esperta di porno Mireille Miller Young giustificava le tariffe spiegando che “[l’attrice bianca] poteva subire una svalutazione sul mercato dopo aver preso parte a scene di porno interrazziale, o perché a detta delle professioniste del porno gli attori neri hanno peni di dimensioni molto grandi che richiedono un impegno maggiore da parte loro.” Una ragazza bianca che conosco e che ha esperienza nel campo mi ha detto che quando recitava chiedeva fino al doppio se la scena era con un partner nero, e ancora di più se era una scena di anal. Allo stesso tempo, però, mi ha fatto notare una contraddizione, “Ovviamente, le attrici nere non possono chiedere più soldi per lavorare con attori bianchi.”

È difficile stabilire con esattezza quanto sia diffusa la pratica della “tariffa interrazziale”, ma non è un segreto che molte attrici bianche aspettino un po’ prima di lanciarsi nei video “interrazziali”—e quando decidono di farlo, chiedono molto più del solito per la loro prima scena. Entrambe le pratiche sono citate in un’approfondita inchiesta di Glamour del 2017, che sottolinea inoltre quanto queste dinamiche aggravino il divario retributivo tra le attrici bianche e tutte le altre attrici nell’industria del porno.

Ancora una volta, la discriminazione ha ovviamente delle ripercussioni: chi produce contenuti che soddisfano le fantasie razziste non solo contribuisce alla creazione e alla diffusione di immagini razziste, ma riduce ulteriormente la possibilità degli attori non bianchi di colmare il divario retributivo.

Ma da dove viene questa fantasia per cui un maschio bianco godrebbe nel vedere un maschio nero sottomettere o addirittura abusare la sua compagna?

Se consideriamo che le fantasie erotiche nascono dalle nostre più grandi insicurezze, è subito chiaro il motivo del successo del “cucking” interrazziale nel porno. Secondo la logica bianca della purezza razziale, questo scenario rappresenta la più grande minaccia alla supremazia—addirittura la neutralizzazione definitiva della virilità del maschio bianco. Questa paura non è certo recente: le immagini di uomini neri che attaccano e violentano in gruppo innocenti donne bianche popolano da sempre i racconti mitologici e hanno in passato giustificato linciaggi e massacri.

In un pezzo del 2016, lo studioso Jimmy Johnson ha avanzato l’ipotesi di un’innata discriminazione razziale verso i neri all’interno della categoria stessa del porno “interrazziale”, avanzando l’idea che il rapporto sessuale con l’attore nero “macchi indelebilmente” la donna bianca, minando così la sua purezza razziale.

E se pensate che il pubblico si stia stufando di questa sottocategoria, vi sbagliate. Anzi, sembra che recentemente il genere abbia avuto una nuova impennata. Sharan Street, editor-in-chief di AVN, ha recentemente detto ad alternet.com che il porno “interrazziale” ha “sempre avuto successo, ma le vendite ora sono di nuovo aumentate.” Pare addirittura che un video di “cucking interrazziale” prodotto da Blacked Studios sia stato il più visto dell’estate scorsa. Inoltre, due dei quattro film porno più visti di sempre appartengono a questa categoria, secondo un sondaggio di AVN.

Secondo Pornhub, la categoria “cuckold” (con diverse componenti razziali) ha ottenuto il 72 percento di visualizzazioni in più nel 2017. La cosa non dovrebbe sorprendere, vista la recente ascesa dei partiti alt-right negli Stati Uniti che hanno riesumato il termine “cuck”—che originariamente descriveva il comportamento inusuale dei cuculi che deponevano le uova nei nidi di altri uccelli—e l’ha trasformato in insulto per i conservatori (o “cuckservatives”) e per tutti quegli uomini bianchi che secondo loro stanno abbandonando la propria virilità. L’uso di questo termine da parte dell’alt-right illustra, inoltre, la ragione che sta alla base della nuova impennata di popolarità per questo genere di porno: ovvero l’ipotetica marginalizzazione dell’uomo bianco e lo screditamento della sua predominanza.

Proprio queste presunte minacce sono state utilizzate nel corso della storia per giustificare le violenze contro la comunità nera e la sua demonizzazione. Il cucking interrazziale è evidentemente la proiezione delle paure di un mitologico genocidio bianco e del basso tasso di nascite—che ritroviamo nell’inno nazionalista “Loro non prenderanno il nostro posto!” (dalla manifestazione dell’alt-right a Charlottesville dell’agosto 2017)—e nei due slogan dei suprematisti bianchi noti come le “14 parole“: “Dobbiamo assicurare l’esistenza del nostro popolo e un futuro per i bambini bianchi” e “Poiché la bellezza della donna bianca ariana non deve sparire dalla terra.”

Come mi ha scritto Knight, “Se il razzismo è così profondamente intrecciato con le radici della nostra società, è anche profondamente radicato nel porno.”

Anche Stoya ha descritto in modo simile la pornografia, sottolineando come le nostre reazioni al porno siano “il riflesso della nostra sessualità collettiva” e la “manifestazione di un più ampio problema sociale.”

Il mercato dei video di cucking razzisti esiste perché le case di produzione hanno cercato di dare il massimo seguito alle richieste del pubblico, dalle più blande a quelle più apertamente offensive. E spesso le richieste da parte del pubblico sono tutt’altro che blande. Anzi, riflettono i desideri della società contemporanea, che è pervasa di razzismo a sfondo sessuale, e concepisce il sesso come specchio delle proprie ambizioni di potere—dal fetish, ai giochi di ruolo fino al razzismo più esplicito. Per tutti questi motivi, ad oggi le sfumature razziste (e le manifestazioni razziste più esplicite) nell’industria del porno sembrano tristemente inevitabili.

Fin quando il tema del razzismo non verrà affrontato apertamente a livello sociale, non potremo cancellarne la rappresentazione nell’industria del porno mainstream—o in qualsiasi altra industria.

Questo articolo è comparso originariamente su Broadly.