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Quello che devi sapere su Cambridge Analytica, spiegato dal suo whistleblower

Christopher Wylie ha contribuito attivamente alla creazione di una delle armi politiche più efficaci dell’era digitale. Ora sta cercando di fare ammenda rendendo pubbliche le informazioni in suo possesso su Cambridge Analytica, la controversa società di raccolta e analisi di dati finita al centro di uno scandalo internazionale che chiama in causa la campagna elettorale di Trump e il ruolo di Facebook.

Wylie sostiene che la società, di cui nel 2013 è stato uno dei fondatori, abbia elaborato un potentissimo sistema capace di predire e influenzare le scelte degli elettori sfruttando i dati di 50 milioni di profili Facebook. I dati sarebbero stati raccolti dall’app thisisyourdigitallife—di proprietà dell’accademico Aleksandr Kogan e scaricata da circa 270mila persone—che pagava gli utenti per sottoporsi a un test della personalità a presunto scopo di ricerca. Quello che molti ignoravano è che, accettando di condividere alcuni dei loro dettagli personali tramite Facebook, l’app raccoglieva informazioni sui loro amici, andando a creare un’immensa mole di dati successivamente venduta da Kogan a Cambridge Analytica.

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Facebook sostiene che la vendita di quei dati avrebbe costituito una violazione delle norme del social network, fatto che nel 2015 ha causato la rimozione dell’app dal sito. All’epoca, Kogan e Wylie avevano dichiarato a Facebook che i dati erano stati distrutti; a causa di informazioni opposte, ora Cambridge Analytica, Kogan e Wylie sono stati sospesi dal social network.

VICE News ha incontrato Wylie a Londra, dove risiede, per parlare della vicenda. L’intervista è stata editata e accorciata per chiarezza.

VICE: Cosa è Cambridge Analytica?
Christopher Wylie:
Cambridge Analytica è una società che elabora algoritmi per la profilazione psicologica. È parte dello SCL (Strategic Communication Laboratories) Group di Londra, ed è specializzata nella raccolta di dati e nella costruzione di algoritmi che profilano tratti della personalità, idee politiche e possibili condotte delle persone esaminate per poi elaborare tutti questi dettagli e creare una rete di disinformazione. Per fare tutto ciò, Cambridge Analytica si è appropriata indebitamente di informazioni di almeno 50 milioni di profili Facebook.

La gente deve capire che Cambridge Analytica non è una semplice società di consulenza politica, ma una realtà che affonda le sue radici in fake news, rumor campaign [ uno sforzo concentrato e prolungato teso a danneggiare la reputazione di un singolo o di un gruppo attraverso la diffusione di voci, insinuazioni e falsità] e disinformazione.

Che differenza c’è tra l’operato di Cambridge Analytica e le soluzioni impiegate a livello di social dai comitati elettorali di Barack Obama?
In primo luogo, Obama non ha vinto grazie alla disinformazione. La differenza fondamentale tra la targettizzazione politica standard e le information operations [ strumenti che influenzano i processi decisionali] sta nel concetto di informational dominance.

Informational dominance è quando infondo il mio messaggio in tutti i flussi di informazione intorno al mio obiettivo, così che questo inizi a pensare, a capire cose che non sono necessariamente vere… finendo per agire e comportarsi in un modo che io stesso avevo previsto per lui. Cambridge Analytica ha creato un vero e proprio sistema digitalizzato di informational dominance.

Che legami ha Cambridge Analytica con la Russia?
Quando lavoravo lì ci rapportavamo con la Lukoil, la seconda compagnia petrolifera russa. Facevamo microtargeting. In pratica, gli avevamo fatto sapere che stavamo elaborando un’enorme mole di dati sensibili di cittadini americani e di algoritmi di profilazione psicologica, il tutto con l’obiettivo di individuare la maniera più efficace di influenzare il pensiero di quegli stessi cittadini.

Le informazioni erano arrivate ai piani alti della Lukoil. E la Lukoil, è risaputo, ha contatti con i FSB [ i servizi segreti russi]. All’epoca mi era sembrato molto strano avessimo rapporti con questa compagnia, soprattutto dopo aver visto la presentazione che Alexander [ Nix, CEO di Cambridge Analytica] aveva fatto per loro. Parlava della loro esperienza in Africa, e la prima slide era sulle rumor campaign. La seconda si concentrava sulla capacità di far perdere la fiducia nelle istituzioni e nella validità delle elezioni.

In aggiunta, il professore che gestiva questo programma di raccolta dati [ Aleksandr Kogan] era coinvolto in un progetto in Russia, finanziato da russi, sulla profilazione psicologica. Lo trovo piuttosto preoccupante.

Non sto dicendo che ci fosse una collusione consapevole coi russi. Ma ecco, nel parlare con persone di nazionalità russa con connessioni importanti abbiamo detto molto chiaramente cosa stavamo facendo. Insomma, il comportamento della società è stato molto più che avventato.

Che ruolo ha avuto in tutto ciò Steve Bannon?
Steve era decisamente interessato a… cambiare la cultura americana.

È per questo che era nato Breitbart, anche se Breitbart non è riuscito a espandersi oltre la sua nicchia di conservatori incazzati. Steve cercava una società capace di costruirgli un arsenale in grado di supportarlo nello scontro culturale che aveva in mente.

E che responsabilità ha Facebook?
Facebook non è più solo un social network. È un campo di battaglia su cui gli stati cercano di operare. Non voglio incolpare Facebook per essere stato preso alla sprovvista. Nel senso, sono una società tecnologica della Silicon Valley, non pensano necessariamente in termini di geopolitica. Non li biasimo.

Ma è un tema che va affrontato, e il CEO di Facebook è uno di quelli che dovrà affrontarlo.

Tu sei stato bannato da Facebook, e non sembri particolarmente d’accordo.
È incongruente. Non puoi dire che non è stato violato nessun sistema e poi sostenere che ci sia stata una violazione e che bisogna aprire un’indagine perché si tratta di una cosa serissima.

Facebook si è mosso solo perché ho deciso di parlare. E non mi va di dover fare la guerra con una piattaforma che ho deciso di aiutare.

Perché ti sei fatto avanti solo ora?
Dopo che ho lasciato Cambridge Analytica [ nel 2014], hanno minacciato di farmi causa. Così nel 2015 ho dovuto firmare un accordo di non divulgazione in cui dicevo che mi sarei impegnato a non parlare con la stampa di ciò che avevo visto. È preoccupante avere un miliardario [ il finanziatore di Cambridge Analytica Robert Mercer] che minaccia di farti causa.

Ma questo è stato prima del 2016, prima dell’ascesa dell’alt right e di Donald Trump e di questo clima. Allora non sentivo di dovermi mettermi contro un miliardario e pure contro il social network più importante del mondo. Penso sia importante che la gente sappia, perché qui è in gioco l’integrità della democrazia.

Però voglio che sia chiaro che riconosco di aver avuto delle grosse, enormi responsabilità. So che è anche colpa mia. Ma non è soltanto colpa mia. È successo sotto lo sguardo di Facebook, e con l’avallo e il denaro e l’approvazione e il sostegno di Steve Bannon e Cambridge Analytica.

Ti senti in colpa?
Mi sento profondamente in colpa.

Prima no?
Mi sono lasciato sopraffare dalla curiosità. Avrei dovuto preoccuparmi molto di più del lato etico. Ma la società… mi comportavo come la mia società voleva. Non ci sono scuse.

Cosa significa tutto ciò per il nostro futuro?
Che ci sono persone o organismi che agendo in rappresentanza di uno stato usano internet per influenzare le democrazie di altri stati. Non dico sia una novità in assoluto, ma è una novità per il mondo occidentale. Internet ha reso l’elettorato americano accessibile a tanti altri paesi.

La tenuta della democrazia è già stata compromessa?
Non esattamente. La democrazia c’è e funziona, e il fatto stesso che siamo qui a parlare lo dimostra. Ma le cose non sono più come prima, e questo discorso va affrontato il prima possibile.

Questo articolo è tratto da VICE News.