Cosa è successo quando ho scritto “Che fai?” a ogni ragazzo nella mia rubrica

Come fai a sapere quando una storia d’amore è finita davvero? La parola storia, qui, sta per tutti i tipi di relazione interpersonale: uscire tre volte con qualcuno nel 2012 per poi scomparire entrambi; andare a letto con il pompiere a cui hai mimato il tuo numero di telefono dal finestrino della metro nel 2014; chattare con uno su Tinder senza mai uscirci. Queste liaison non sembrano finire mai perché in effetti non si sono chiuse con tradimenti o rotture; scivolano lentamente nel silenzio come una canzone pop degli anni Novanta. 

Ho una memoria così scarsa che il mio medico è preoccupato, perciò l’unica traccia di questi incontri sono per me i numeri in rubrica e i racconti orali di amici e amiche che erano con me o hanno ricevuto i miei messaggi, al tempo. Settimana scorsa, stavo scorrendo i contatti e ho trovato nomi come “No”, “Australiano”, “Greco The Clubs”, “Ant Francese”, “A caso in metro”, “Alberto Montenegro”, “Jake Harvard”, “Alpaca New England” e “Pat Ballo in costume” con sotto veri numeri di telefono. 

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Non mi ricordavo dell’esistenza di nessuno di essi. Ricordo di essere andata a una sagra paesana con “Alberto Montenegro” e di aver preso un gelato con “Verme”, ma non ricordo come siano andate a finire queste situazioni, o che facce avessero queste persone. Avevo anche registrato il numero di un “Eilson Scarsa Autostima”, società “Sesso”. Perché?

Ho cominciato a farmi una domanda malsana: quando una storia finisce, è morta definitivamente? E se, invece che swipare a sinistra su Tinder per un’ora intera dopo la doccia, uscissi con qualcuno di cui ho già il numero?

Dato che tra me e queste persone non c’era più niente da perdere, un soleggiato sabato pomeriggio ho deciso di rimanere in casa e scrivere “Che fai?” [in inglese, “U up” ha una chiara connotazione di invito sessuale] a ogni ragazzo che avevo in rubrica. Ponendomi due soli limiti: non avrei scritto a ragazzi con cui l’avevo chiusa io, perché sarebbe stato crudele, e non avrei scritto a persone con cui ero uscita davvero, perché sarebbe stato autolesionista. 

Avevo lo stomaco chiuso. C’è qualcosa di patetico in modo raro nel mandare messaggi a 20 uomini di cui non ricordi la faccia alle tre del pomeriggio. Come diceva—forse—l’autore francese Guillaume Musso, quando decidi di toccare il fondo, l’umiliazione fa parte del gioco.

Ora dovevo solo aspettare. “Ant Francese” ha risposto immediatamente, anche se ovviamente non mi ha riconosciuto—aveva cancellato il mio numero, sicuro, oppure aveva un telefono nuovo. Più tardi invece l’avrei apprezzato, in quanto unico che abbia risposto alla mia domanda, confermando che, in effetti, sì, c’era. Ah, l’educazione francese. Abbiamo piacevolmente interagito per un po’.

Poi, la risposta dell’Australiano. Non saprò mai chi è né perché ci conosciamo.

La maggior parte, comunque, non hanno risposto, forse perché un messaggio simile di sabato pomeriggio è chiaramente una trappola, o forse avevano cambiato numero. O perché mi odiano! Il fatto che non mi rispondessero mi ha sorpreso; se fossi io a ricevere un messaggio chiaramente volto a scopare da un numero che non conosco, comincerei un interrogatorio infinito. E se fosse Lindsay Lohan?

Il più brutale è stato Pat, perché aveva le spunte di lettura. Quello è un crimine contro l’umanità.

In alcuni casi, il messaggio faceva riemergere le nostre conversazioni passate. Per esempio, ho avuto la ventura di scoprire come ci siamo incontrati io e “Greco The Clubs”. A giudicare dal fatto che l’ultimo messaggio era delle 4.48 del mattino, immagino che ci siamo conosciuti al The Clubs, e la nostra storia è morta al The Clubs. 

In mezzo a tutta questa merda, sono venute fuori almeno due note positive, per quanto strane. La prima riguarda un ragazzo con cui avevo flirtato cinque anni fa, e la seconda un ragazzo che ho conosciuto su una app di incontri l’estate scorsa e che non ho mai visto di persona, per motivi che non ricordo.

Il primo stava andando bene, anche se sembrava volersi aggrappare alle certezze che regala la gentilezza smaccata e un po’ finta. Comunque, ne veniva fuori bene. 

Il tipo della app di incontri—ovvero “Jake Harvard”—ha vinto la gara, se questo esperimento fosse stato una gara. L’ultima volta che ci siamo sentiti era l’estate del 2016, ma non eravamo mai riusciti a vederci perché entrambi eravamo molto impegnati. 

Quando gli ho scritto, dopo quasi un anno dal nostro ultimo messaggio, non ha perso occasione. Ha colto la palla al balzo. Giocavamo al gatto col topo? Cercavamo di capire chi avrebbe fatto il secondo passo? Non mi sfidare in questo ambito.

Ora abbiamo in programma di andare a un museo insieme, un museo “non ortodosso”—e questo prova il punto del mio esperimento: si può ottenere un buon appuntamento anche solo grazie ai contatti in rubrica. Ma sono riuscita a rispondere alla vera domanda, quando una storia finisce, è morta definitivamente? Forse non sempre. 

Questo post è tratto da Broadly.