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Cos’è la cucina vegetale secondo 8 chef non vegetariani

Cucina vegetale moderna

La cucina vegetale è alla base di tutte le diete contadine, ha un fondo antropologico assolutamente chiaro e interpretabile

Sono trascorsi pochi mesi da quando mi lamentavo di quanto facessero pena i ristoranti per vegetariani in Italia. Anche se la situazione non è del tutto cambiata (la maggior parte dei ristoranti esclusivamente vegetariani mantiene un profilo non invitante), la cucina vegetale—ovvero non quella per forza vegetariana o vegana, ma quella fatta perlopiù di verdure—  ha cominciato velocemente a manifestarsi come un’epifania dentro le mura dei ristoranti. A testimoniare che proprio in Italia, grazie al clima, alla biodiversità e alla tradizione gastronomica, fortemente agricola, questa cucina è una cosa che sta nel DNA. 

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Fino a tre anni fa, avrei fatto fatica a scegliere le destinazioni per mangiare una buona cucina vegetariana o vegetale. Poi ha cominciato ad andare di moda. Anzi è la cucina che più di tutte sta dando alla ristorazione la benzina per ripartire e sperimentare soprattutto dopo due anni di delivery e cenoni sul divano. Questo non significa che fare una buona cucina vegetale o vegetariana, che ti sazia e ti fa sognare al tempo che stesso, sia facile. 

Per questo abbiamo chiesto a otto cuoche e cuochi, che non sono necessariamente vegetariani e che non lavorano in ristoranti veg, di dirci come secondo loro dovrebbe essere questo tipo di cucina e come riescono loro a costruirci un menu. 

Sara Scarsella – Sintesi 

Per tutto quello che cresce sotto terra, come tuberi e radici, facciamo cotture più lunghe, magari aggiungendo un grasso come il burro.

Il ristorante ad Ariccia di Sara Scarsella e Matteo Compagnucci si pone molto in questa new wave. Sia perché è stato aperto a Febbraio del 2020, sia perché Sara e Matteo hanno fatto diverse esperienze all’estero, tra cui la Danimarca, la Silicon Valley dei cuochi, dove paradossalmente la cucina vegetale è più spinta della nostra. Sara in particolare ha riportato questi elementi nel menu di Sintesi.

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Sara Scarsella, ristorante Sintesi. Foto di Andrea Di Lorenzo, per gentile concessione del ristorante.

“La nostra cucina vegetale, sarà ovvio, si basa sull’ingrediente. A seconda del vegetale, c’è un trattamento diverso. Per tutto quello che cresce sotto terra, come tuberi e radici, facciamo cotture più lunghe, magari aggiungendo un grasso come il burro. Per quello che cresce sopra la terra, per esempio le verdure a foglia, le cotture sono più veloci, per cercare di preservarne la croccantezza. Si può anche aiutare il sapore delicato del vegetale con la fermentazione di un altro vegetale, come facevamo per la nostra lattuga arrosto spennellata con il miso”. 

In alcuni casi il vegetale è l’elemento spiazzante del menu, quello che rimane più impresso. “Per me il bello di questa cucina è che il cliente viene sorpreso. Nel menu a degustazione abbiamo un fungo cardoncello che è trattato come una proteina animale, leggermente crudo verso il centro e più cotto verso l’esterno. Prima il cliente pensa: ok, mi tocca questa portata. Ma poi ne rimane veramente sorpreso, e alla fine è il piatto più apprezzato”.  

Tommaso Melilli – consulente di Contrada Govinda 

Ho colloquiato 30 cuochi diversi. La metà di loro ha fatto come ricetta di prova l’hummus. Questo ti fa capire quanta poca cultura e ricerca ci sia

Se ci fosse un Everest dei ristoranti veg, probabilmente sarebbe Contrada Govinda. In questa rinnovata apertura milanese di Davide Longoni, non c’è solo cucina veg, ma anche affiliata agli Hare Krishna che abitano questo luogo da tempo. Dunque via carne e pesce, ma anche uova, cipolla, aglio, alcol.

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Foto per gentile concessione di Contrada Govinda

Per riuscire nell’impresa Longoni ha chiesto a Tommaso Melilli, che a sua volta ha coinvolto la cuoca georgiana Nata Qatibashvili, che ha preso oramai il controllo della cucina: “Ho colloquiato 30 cuochi diversi” mi racconta Melilli “La metà di loro ha fatto come ricetta di prova l’hummus. Questo ti fa capire quanta poca cultura e ricerca ci sia”. Melilli per inciso è uno che ama molto la carne, sia da cuoco che da cliente.

La sfida del contesto è stata addirittura amplificata dalla scelta di fare fuori quasi tutti i carboidrati. “Io non ho mai lavorato in un ristorante vegetariano ma a Milano ho visto che tutti proponevano insalatone di pasta, di quinoa, di miglio. Insomma facevano tutto tranne che cucinare il vegetale. Quindi ho pensato di togliere il grano, all’infuori del pane. Da noi c’è un vegetale puro, molto lavorato e molto speziato. Abbiamo pensato di fare una cucina parlando essenzialmente di quello che c’è, non di quello che non c’è”. 

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Il team di Contrada Govinda. Estrema sinistra Tommaso Melilli; estrema destra Nata Qatibashvili. Foto per gentile concessione del ristorante

La cucina di Contrada Govinda però è moltissime cose: “Lo spazio geografico su cui lavoriamo è molto ampio: parte dal centro Europa e dal mediterraneo e arriva fino all’India, prendendo tutto quello che c’è nel mezzo. Scegliendo sempre di seguire la stagionalità: e le stagioni non sono 4, ma molte di più.

Ci sono vegetali che durano due mesi, anche meno”. L’approccio alla cucina vegetariana rimane simile a quello di altre cucine, come quella italiana delle vecchie osterie con le tovaglie a quadretti: “A me interessa cercare di riprodurre piatti domestici, o che potrebbero esserlo. La cucina vegetale è alla base di tutte le diete contadine, ha un fondo antropologico assolutamente chiaro e interpretabile”. 

Angela D’Errico – Bloom 

Per me è stato fondamentale prima di qui lavorare due anni in una masseria a Monopoli e andare a coltivare l’orto insieme al giardiniere di allora. Vedevo il mio lavoro, da zero, trasformato e poi cucinato

Non è raro che, per giustificare l’utilizzo di carne o pesce nei menu, si tiri in ballo la tradizione. Eppure è piuttosto inverosimile che prima si mangiassero tutti questi animali, come dimostra la Puglia, la patria della cucina vegetariana italiana. “Purtroppo fin da piccoli vediamo la verdura come un eterno nemico. Per questo per cucinare bene le verdure, bisogna anche un po’ amarle” mi racconta Angela D’Errico, che lavora come chef da Bloom, ristorante di Bari. “E poi conoscere le consistenze e usare molta fantasia. Per me è stato fondamentale prima di qui lavorare due anni in una masseria a Monopoli e andare a coltivare l’orto insieme al giardiniere di allora. Vedevo il mio lavoro, da zero, trasformato e poi cucinato”. 

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Foto di Mariia Ushaneva, per gentile concessione di Bloom

Nei piatti di Bloom, che sono un po’ diversi da quelli della Bari più tipica, le verdure sono molto centrali. “Cerco di lavorarle usando tecniche diverse, senza cuocerle troppo e senza rovinarle. Premiando anche gusti meno scontati che aiutino a tenere in equilibrio i piatti. Come l’amaro e l’acido. Inoltre siamo attenti a tutti quelli che sono gli scarti. Dalle bucce delle patate e delle carote ad esempio, facciamo delle chips che usiamo su un brownie al cioccolato e fichi con spuma di zucca. È una cucina circolare, che abbatte gli sprechi e con cui ci aiutiamo anche per gli sciroppi del nostro cocktail bar”. 

Tommaso Tonioni – Arso 

Qui il barbecue è sempre acceso, cerco di dare anche al vegetale questo aroma (…) passa quasi tutto tramite la fiamma viva

Nel 2020, mentre tutti sognavano di lasciare le città per fare vita di campagna, Tommaso Tonioni partiva da Roma per trasferirsi all’interno di un’azienda agricola, dando vita al suo progetto, Arso, in provincia di Viterbo. Qui Pulicaro alleva animali allo stato semibrado e ha un orto, usato per lo più per la famiglia che Tonioni e la sua cucina hanno preso in mano. “Ho cominciato con un percorso di quattro proposte che cambiava spesso. Una proposta vegetariana c’è sempre stata, era la stessa del menu onnivoro con piccoli adattamenti. Per il resto andavo a sentimento”. 

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Tommaso Tonioni, foto di Stefano Delìa, per gentile concessione di Arso

A Settembre 2021, cosa insolita per un ristorante che si trova dentro un’azienda agricola che si occupa per lo più di allevamento, Tonioni decide di creare due menu, uno esclusivamente vegetariano. I piatti cambiano con il cambiare delle fasi della vita di campagna. “Il fatto di stare in una fattoria vuol dire vivere in prima persona la crescita della pianta e le stagioni, capire che l’orto va avanti, non ti aspetta. L’approccio è stato lo stesso tra carne e verdure, ed è molto stimolante: non si butta via niente, neanche le foglie dei cavoli in autunno, che di solito sono materiale di scarto”. 

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Cipollotto rosso ripieno di fiordilatte al sambuco, salsa di vino ippocratico. Foto di Stefano Delìa, per gentile concessione di Arso.

Per le tecniche invece, l’ispirazione è nel fuoco. “Qui il barbecue è sempre acceso, cerco di dare anche al vegetale questo aroma che è uno degli ingredienti centrali di questa cucina, e passa quasi tutto tramite la fiamma viva”. Mi racconta poi di una zuppa di castagne con le rape in cui le rape vengono coltivate, raccolte, maturate secondo una tecnica asiatica, congelate, arrostite e poi assumono una consistenza molto simile alla carne. “Le abbiamo messe a maturare dentro la sala del ristorante. È il piatto più amato da tutti”. 

Luna S. Ferrari – Fòla 

A Milano in particolare, non siamo più abituati a mangiare verdure di qualità, ed è per questo che siamo partite dalla materia prima

Milano ha un sacco da fare su questo fronte, essendo una città molto attenta alle nuove direzioni. Da Agosto 2021 ospita Fòla, pasticceria, bottega di quartiere e gastronomia vegetale. A creare la proposta della cucina, soprattutto zuppe, verdure e insalate, c’è Luna S. Ferrari, insieme alle colleghe Tine e Claudia. “L’anno scorso ci siamo incontrate e nessuna di noi era particolarmente soddisfatta di quello che stava facendo. Volevamo lavorare in questo settore ma senza rinunciare a tutto”. 

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ll team di Fòla. Estrema sinistra Luna S.Ferrari. Foto per gentile concessione del locale


Da qui è nata Fòla. “Sulle verdure ci scommetto e ci scommetterò sempre” racconta Luna “Diciamocelo: a nessuno piace mangiare verdure bollite. Ma il problema è che in Italia il vegetale è ancora associato al pensiero punitivo della dieta. Poco olio, poco sale, quindi poco gusto. A Milano in particolare, non siamo più abituati a mangiare verdure di qualità, ed è per questo che siamo partite dalla materia prima”. 

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Patate dolci, tahina, melograno. Foto per gentile concessione di Fòla

Luna mi racconta di aver fatto molta ricerca per l’apertura e dell’importanza di stringere rapporti con fornitori affidabili, con cui scambiare opinioni e ricette. “Poi sicuramente c’è quel pizzico personale, nel mio caso internazionale. Io vengo da due culture, quella filippina e quella italiana, i miei erano entrambi agenti di viaggio, quindi ho avuto la fortuna di poter viaggiare da sempre. Ho voluto portare un po’ di questi elementi in Fòla. È una sfida sì, ma è anche divertente spiegare alla sciura di Milano perché sulla pappa al pomodoro ci mettiamo il sommacco”. 

Pier Daniele Seu – Seu Pizza Illuminati 

Quando abbiamo aperto, la pizza vegetariana era una cosa carente: verdure grigliate e mozzarella, una penitenza.

Anche la pizza ha avuto la sua rivoluzione verde. Una rivoluzione lenta, perché anche se nasce come piatto veg, lavorare su questi temi in modo creativo non era affatto semplice. Pier Daniele Seu ha saputo creare un vero hype intorno alle pizze vegane. “Nel nostro locale c’era tantissima richiesta, anche per orientamenti religiosi. Quando abbiamo aperto, la pizza vegetariana era una cosa carente: verdure grigliate e mozzarella, una penitenza. Da lì l’idea di spingerci oltre e fare pizze vegane, non solo vegetariane, che fossero davvero buone”. 

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Pizza Assoluto di Zucca. Foto di Andrea di Lorenzo per gentile concessione di Seu Illuminati

La creazione degli assoluti, un lavoro intorno a un solo ingrediente che viene proposto in diverse preparazioni e consistenze, quindi per esempio acido, affumicato, arrostito, parte nel 2018. “Volevamo comporre al palato un gusto completo che desse soddisfazione. Abbiamo cominciato con l’assoluto di pomodoro, in versione sia vegetariana che vegana. Da lì c’è stato l’assoluto di zucchine, di cipolla, di crucifere, di melanzane, di patate, nel menu autunnale di adesso l’assoluto di funghi e di zucca”. Quindi non solo pizze vegane ma con un unico ingrediente e preparazioni lunghe, che si svolgono anche su più giorni.  

Gli assoluti sono diventati poi uno dei marchi di fabbrica di questa pizzeria e il vero “fattore novità” per portare la pizza vegetale a un livello gastronomico. Seu è anche uno dei primi pizzaioli a far comparire la frutta, elemento vegetale spesso di terzo ordine e quasi totalmente assente dai menu dei ristoranti, nelle sue preparazioni, sia dolci che salate. Come nelle nuove pizze assoluto di pesca e assoluto di mele. 

Alice Delcourt – Erba Brusca 

Ci sono menu in cui abbiamo tanti piatti con la carne, ci sono menu in cui non ce n’è nemmeno uno. Non è nostra intenzione eliminarla, ma vogliamo dargli meno importanza

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Foto per gentile concessione di Erba Brusca

Con il suo orto che gira intorno alla cucina, Erba Brusca è un esempio di cucina vegetale. “Noi non siamo vegetariani, e questa cosa non è casuale” mi racconta Alice “Ci sono menu in cui abbiamo tanti piatti con la carne, ci sono menu in cui non ce n’è nemmeno uno. Non è nostra intenzione eliminarla, ma vogliamo dargli meno importanza”. 

Sul perché abbiamo cominciato a mangiare tanta carne, Alice dice una cosa molto interessante: “L’Italia è sempre stata un paese di piccoli agricoltori, si mangiava moltissima verdura a casa. Se parli con i tuoi nonni, ti rendi conto che andavano al ristorante per un’occasione speciale ed era in quell’occasione che mangiavano piatti di carne. Questa abitudine è rimasta anche oggi, che mangiamo fuori molto di più”.  

È anche un atto politico. È una questione di responsabilità usare verdure e, soprattutto, verdure locali

Ma tornando a noi, cerco di capire come rendere queste benedette verdure così appaganti, anche per quelli che le schifano: “Le verdure sono super interessanti, pongono una sfida molto più grande perché dobbiamo lavorare per renderle interessanti anche per i nostri clienti. A me magari piace il broccolo arrosto, ma non è quello che posso servire. Per questo bisogna capire i sapori di base di ogni verdura, il loro flavour profile, per poi impiegare più tecniche sullo stesso ingrediente: possiamo essiccare, fermentare, grigliare, friggere”. Inoltre c’è sicuramente un fattore etico nella scelta di mettere i vegetali al primo posto: “È anche un atto politico. È una questione di responsabilità usare verdure e, soprattutto, verdure locali”. 

Diego Rossi – Trippa 

Il mio sogno è una cucina fatta di verdure con contorno di carne


Ho trovato poche persone nella mia vita, che non fossero vegane o vegetariane, che avessero riflettuto così tanto sul rapporto tra carne e verdure come Diego Rossi. Certo quel nome, “Trippa”, potrebbe portare fuori strada. “Da noi ci sono sempre almeno tre piatti di verdure, dico almeno, perché poi ce ne sono anche cinque” mi racconta “Le verdure entrano in primo piano nella mia cucina e quindi tutta la carta cambia in base alla stagionalità. Il mio sogno è una cucina fatta di verdure con contorno di carne”. 

La scelta di mettere al centro le verdure viene dall’esperienza contadina di famiglia: “Non ho mai mangiato tanta carne, perché a casa mia non si usava. Il manzo, quello che tutti considerano la carne, non entrava. C’era il salame che faceva mio nonno, il pollame, le uova e le frattaglie. E tante verdure. Quando sono uscito di casa ho incominciato a mangiarne di più, poi negli ultimi anni ho limitato molto il consumo perché sento che non fa bene e non mi piace come viene approcciata nel nostro sistema. Sono sei anni che non la compro e non la mangio a casa. Ovviamente ho aperto un ristorante a base di carne e ho fatto i conti con il mio mestiere, ma ho cercato di dargli un’altra impronta, usando le frattaglie ad esempio. Quando mi dicono “Vado da Trippa a mangiar carne”, sinceramente un po’ mi girano”. 

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Cime di rapa ripassate con una crema di pere, lampascioni sott’olio e pecorino. Foto per gentile concessione di Diego Rossi

Mi chiedo come si possa portare la stessa golosità del vitello tonnato e della trippa fritta su piatti vegetali: “Si prende una verdura e si cerca di lavorarla il meno possibile per mantenere il suo profumo, il suo sapore e la sua consistenza. Lì sta la bravura del cuoco, riuscire ad abbinare ingredienti, che siano verdura, frutta, frutta secca, cereali, legumi, in maniera che diventino golosi. Te lo spiego meglio con un piatto. In questo momento nel menu si sono le cime di rapa ripassate con una crema di pere, lampascioni sott’olio e pecorino. Abbiamo le pere Angelica che danno dolcezza, il burro untuosità e grassezza, le cime di rapa, che sono quel tipo di brassicacee che, se cotte in un certo modo, ricordano un po’ la fibra della carne alla masticazione, l’acidità dei lampascioni e per finire il pecorino”. 

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Diego Rossi. Foto di Marco Paone, per gentile concessione di Trippa.

Al formaggio è difficile rinunciare perché è il primo ingrediente che dà sapidità e umami: “Se tu inondi una verza arrosto di fonduta, da un piatto banale diventa un piatto goloso. Per riassumere, direi una somma di cotture ed equilibrio tra gli ingredienti. Ovviamente ci sono tecniche, come la rosticciatura e la rosolatura, che ti danno la reazione di Maillard, ce l’hanno anche le verdure, esattamente come nella carne”. 


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