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Non possiamo più fermare la crisi climatica, ma possiamo ancora gestirla

incendi grecia

Se c’è una cosa chiara, ormai, è che nessuna persona è al sicuro dalla crisi climatica. Il 9 agosto 2021 un report pubblicato dall’IPCC (il gruppo intergovernativo dell’ONU sul cambiamento climatico) ha lanciato l’ultimo allarme: alcuni dei cambiamenti causati dall’attività umana sull’ambiente sono già “irreversibili” e “miliardi di persone sono in pericolo immediato” per questo.

A luglio 2021, in Germania, Belgio, Olanda e Austria piogge torrenziali hanno causati danni devastanti e ucciso oltre 200 persone, mentre molte altre risultano ancora disperse. Una seconda ondata di piogge violente ha colpito un’altra parte del Belgio e Londra, dove alcune stazioni della metro e diversi ospedali sono finiti sott’acqua. Nello stesso periodo, piogge torrenziali hanno causato la morte di 115 persone sulla costa occidentale dell’India e ha allagato la città di Zhengzhou in Cina.

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Durante l’agosto del 2021, una serie di incendi violenti ha colpito entrambi i lati dell’Atlantico. Il Dixie Fire, che brucia da metà luglio in California, è diventato il secondo incendio per dimensioni della storia, estendendosi per quasi 1900 chilometri quadrati e costringendo all’evacuazione migliaia di persone. In Europa del sud, le fiamme hanno inghiottito Turchia, Grecia e Italia. In Russia, milioni di acri di foreste siberiane sono bruciati, dopo mesi di clima caldo e secco in modo anormale.

Alcuni di questi eventi erano prevedibili—per esempio, l’India è da sempre soggetta alla stagione dei monsoni, che porta con sé piogge intense—ma l’intensità di questi fenomeni meteorologici è esacerbata dal cambiamento climatico, un problema che non farà che peggiorare. Come António Guterres, segretario generale dell’ONU, ha avvertito: “[Il nuovo report dell’IPCC] è un allarme rosso per l’umanità.”

Dopo decenni di rifiuto, rabbia, compromessi e depressione, quelle che seguono sono solo alcune delle verità scomode che dobbiamo accettare per poter venire a patti con il senso di lutto che proviamo per il clima. Non è troppo tardi per salvarci dall’apocalisse imminente, ma lo sarà presto.

Limitare l’aumento delle temperature globali a 1,5°C non ci terrà al sicuro

Durante l’Accordo di Parigi del 2015, i governi del mondo hanno concordato sull’obiettivo di limitare l’aumento delle temperature a “ben al di sotto dei 2 gradi, preferibilmente sotto 1,5 gradi Celsius, rispetto ai livelli preindustriali.” Il trattato è stato firmato da 197 Paesi e ratificato da 191, e comprendeva l’impegno da parte dei principali inquinatori di ridurre le proprie emissioni, creando una timeline di obiettivi intermedi e meccanismi di verifica.

Il report di agosto dell’IPCC conferma che le temperature sono aumentate di 1,1°C dall’inizio del Novecento, e che superare gli 1,5°C è ancora possibile. Ovviamente, l’estate 2021 ha dimostrato che la situazione non è positiva neanche ai livelli attuali—per cui se non riuscissimo a stare entro gli ambiziosi limiti di Parigi, il mondo in cui vivremmo sarebbe molto meno sicuro di ora.

L’aumento delle temperature globali sarà percepito in modo diverso da parte a parte di mondo. Stando all’IPCC, le aree colpite più gravemente saranno l’Artico in inverno e le regioni alle medie latitudini durante l’estate. La comunità scientifica stima che il pianeta si stia riscaldando di 0,2 gradi ogni decennio, e che, quindi, raggiungeremo la soglia di 1,5 gradi in più tra il 2026 e il 2052.

Stando ai dati dell’IPCC, in un clima più caldo di 1,5 gradi, le ondate di caldo estremo diventeranno sempre più frequenti e diffuse, con conseguenze che non possiamo prevedere del tutto. Per esempio, nel 2018 svariate centrali nucleari distribuite tra Finlandia, Francia, Germania, Svezia e Svizzera—sono state spente perché l’acqua di raffreddamento era troppo calda.

Al contrario, alcune regioni del mondo subiranno piogge sempre più intense, con relativi rischi di alluvione. Altre ancora vedranno intensificarsi i periodi di siccità. L’IPCC sottolinea anche che un aumento di 1,5 gradi potrebbe portare all’estinzione dell’8 percento delle specie vegetali, il 6 percento degli insetti e il 4 percento dei vertebrati—ma l’impatto varierà di ecosistema in ecosistema. Tra il 70 e il 90 percento delle barriere coralline, che sono particolarmente vulnerabili, potrebbero scomparire. Il report indica inoltre che questi numeri diventeranno ancora più allarmanti se superassimo i 2 gradi di aumento delle temperature.

Non stiamo facendo abbastanza per restare sotto 1,5 gradi di aumento delle temperature

Limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi è di per sé un compromesso. Passare da dove siamo ora (1,1 gradi oltre la media preindustriale) a lì aumenterà comunque il numero di eventi naturali catastrofici—ma puntare alla soglia dei 2 gradi avrebbe conseguenze molto più drammatiche.

Stando a Climate Action Tracker, un’organizzazione indipendente che analizza il comportamento dei Paesi rispetto agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, solo due Stati al mondo sono sulla giusta strada per rispettare il limite: Marocco e Gambia. Il resto, compresi tutti i membri dell’Unione Europea, sono sulla strada per un aumento di 3 gradi o più.

Quando il clima diventa più caldo, la maggior parte degli effetti avvengono gradualmente. Ma la comunità scientifica sa che esistono dei cosiddetti “punti di non ritorno,” ovvero “soglie per cui un cambiamento minuscolo può spingere un dato sistema in uno stato completamente diverso,” come spiega Carbon Brief, un sito di notizie a tema cambiamento climatico con sede nel Regno Unito. Per esempio, c’è una temperatura massima oltre la quale la corrente del Golfo non scorrerà più e la foresta pluviale dell’Amazzonia diventerà una savana.

Questi cambiamenti potrebbero essere irreversibili e nessuno può stabilire con certezza la temperatura esatta a cui si verificheranno. È inoltre possibile che interagiscano tra loro, scatenando un effetto domino. Il limite di 1,5°C di aumento è stato deciso proprio sulla base del fatto che la comunità scientifica è relativamente sicura che a questi livelli non sarà innescato nessuno di questi “punti di non ritorno.”

Per restare entro 1,5 gradi di aumento, gli anni che vanno da ora al 2030 sono cruciali. Nel 2019, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) ha stimato che le emissioni dovranno crollare del 7,6 percento ogni anno per raggiungere l’obiettivo. Nel 2020, cioè l’anno che ha visto il declino di emissioni di CO2 più consistente della storia per via della pandemia, la riduzione è stata solo del 5,8 percento.

Ai ritmi attuali, avremo un clima tra i 2,1 e i 3,9 gradi più caldo entro il 2100—un mondo in cui per le civiltà contemporanee sarà pressoché impossibile funzionare.

La responsabilità delle risposte alla crisi climatica non è distribuita equamente

I paesi in cui l’industrializzazione è un processo ancora in corso—e dove molte persone non hanno accesso a fonti di energia pulita—emettono moltissima CO2. Sarebbe facile puntare il dito contro Cina, India e Russia, ma è importante ricordarsi che le responsabilità della crisi climatica non sono suddivise equamente.

Stando a un report del 2017 prodotto dal Carbon Disclosure Project, 100 grandi aziende sarebbero responsabili del 71 percento delle emissioni di gas serra totali dal 1988. Un aggiornamento del report prodotto nel 2020 rivela che 20 di queste sono responsabili da sole di un terzo di tutte le emissioni prodotte dal 1965. Ovviamente si tratta soprattutto colossi dei combustibili fossili, molti dei quali ricevono ingenti sussidi dai governi di tutto il mondo, compresi quelli europei.

Inoltre, i paesi più ricchi hanno storicamente inquinato in quantità spropositate. Come ha dimostrato un paper del 2020, il loro sviluppo ha provocato la maggior parte delle emissioni dell’ultimo paio di secoli, oltre ad aver sfruttato “il lavoro e le risorse del Sud del mondo.” Tutt’ora, dopo anni di azioni climatiche, l’UE e gli Stati Uniti da soli sono responsabili del 23 percento delle emissioni, nonostante rappresentino solo il 10 percento della popolazione mondiale.

Nel 2015, i paesi ricchi hanno concordato di investire 90 miliardi di euro in sostegni economici per i paesi poveri per aiutare la loro transizione a fonti di energia più pulite e mitigare gli effetti della crisi climatica. Al momento, questi interventi non sono al punto a cui dovrebbero essere—e saranno oggetto di discussione accesa alla COP26 a novembre 2021.

I piani più ambiziosi che abbiamo per affrontare la crisi climatica non sono abbastanza radicali

Per prevenire una catastrofe climatica, dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni nel futuro molto prossimo e raggiungere lo zero appena possibile. Parlo al plurale perché la cosa riguarda ogni settore di qualsiasi Paese.

Per anni, le azioni per il clima sono stata raccontate in termini di responsabilità personale: se vuoi fare la differenza, segui una dieta più eco-friendly, prendi i mezzi pubblici, riduci i tuoi consumi materiali. Questo fa sì non ci sia abbastanza attenzione su una serie di decisioni molto più difficili e importanti, che prevedono la completa ristrutturazione di enormi settori della nostra società—come quello energetico, edile, dei trasporti e di agricoltura, allevamento e generale gestione delle risorse alimentari.

Il problema è che anche i piani più ambiziosi che abbiamo non puntano abbastanza in alto. Per esempio, ad aprile 2021, l’UE ha presentato il ”Green New Deal” europeo, che punta a ridurre le emissioni del 55 percento entro il 2030 e portarle a zero entro il 2050. Il piano—che deve ancora essere approvato da tutti e 27 gli stati membri e dal parlamento europeo—comprenderà misure come la chiusura degli impianti a carbone, veti sulle macchine a benzina e diesel e una tassa sui combustibili degli aerei.

È un piano molto ambizioso, specialmente perché potrebbe diventare legge, ma non è ancora compatibile con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Stando a un’analisi condotta da Climate Action Tracker, per raggiungerli davvero l’UE dovrebbe ridurre le emissioni del 65 percento—non del 55—entro il 2030 e finanziare nel frattempo azioni per il clima in altri paesi.

In risposta al report dell’IPCC, il segretario generale dell’ONU António Guterres ha chiesto a governi, investitori e industrie di tutto il mondo di concentrarsi sul costruire un futuro a basse emissioni, dicendo, “Questo report deve suonare come un rintocco funebre per i combustibili fossili, prima che distruggano il nostro pianeta.”