L’altra mattina, complice il caos social scatenato da #sfidaaccettata, io e le mie vicine di scrivania abbiamo rispolverato quel video in cui Erika Linder fa la parte di Leonardo DiCaprio in Romeo+Giulietta, che funziona anzitutto perché prima di somigliare a Jack Nicholson, DiCaprio era il prototipo dell’androginia. Eppure non mi pare che nessuno abbia mai polemizzato su quel filmato o su Leo DiCaprio, no?
Lo dico perché invece altri personaggi o prodotti culturali non sono stati così fortunati, e nelle ultime settimane (e mesi) in tutta Italia si è fatto un gran parlare dello spettacolo teatrale Fa’afafine – Io sono un dinosauro, amato da pubblico e critica, che racconta la storia di un bambino gender fluid che per trovare il suo posto nel mondo sogna di essere un fa’afafine, un appartenente al terzo sesso nella cultura samoana, e del percorso dei suoi genitori per capire che loro figlio non ha niente che non va.
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Ecco, il problema è proprio che il nostro paese è pieno di adulti convinti che quel bambino qualcosa che non va ce l’abbia: Giorgia Meloni, per esempio, ha pubblicamente aderito a una petizione per ritirare la pièce dai teatri, l’assessore alla scuola della regione Veneto Elena Donazzan si è appellata al ministro dell’Istruzione Fedeli perché lo bandisse, Forza Nuova ha parlato di uno spettacolo che continua nell’”opera satanica” di destabilizzazione delle coscienze dei giovani e sul Giornale ci si riferisce al bambino come a “un confuso minestrone di sessi.” Personalmente, la mia preferita è la recensione comparsa su Avvenire che comincia così: “Non sappiamo se Alex sia un bambino affetto da disturbi dell’identità di genere oppure se la sua patologia riguardi la differenziazione sessuale. Nel primo caso siamo nell’ambito delle sofferenze psicologiche, nel secondo dell’endrocrinologia pediatrica.”
Non solo: tutte queste chiacchiere sono sfociate in minacce reali al regista e allo spettacolo, e in alcuni casi nella necessità di differire o cancellare delle date. Motivo per cui questa sera a Genova si terrà una replica gratuita di Fa’afafine, come segno di protesta contro le censure, compensazione ideale per le date annullate, e segno di lotta per la libertà d’espressione artistica e non solo—infatti la lista dei promotori dell’evento è lunghissima e in continuo aggiornamento.
Ho contattato Giuliano Scarpinato, regista e autore di Fa’afafine – Io sono un dinosauro, per parlare delle polemiche, di “teoria gender” e di come lo spettacolo è stato accolto dai ragazzi, a cui era dedicato in prima istanza.
VICE: Partiamo dall’inizio, come ti è venuta l’idea di questo spettacolo?
Giuliano Scarpinato: L’idea nasce dalla lettura fortuita di un articolo su Internazionale che riguardava bambini gender creative o gender fluid—questi sono i termini che i gender studies utilizzano per definire bambini che manifestano una fluidità di genere, che cioè non si identificano pienamente in un genere ma slittano dall’uno all’altro. Ho deciso di affrontare questo argomento perché mi sono innamorato dell’idea che un essere umano così piccino potesse rivendicare il diritto a un’identità specifica, singolare e non necessariamente incasellata in qualcosa di già esistente. Ho quindi iniziato a documentarmi su blog e articoli, sulle vite reali di famiglie che avevano al proprio interno bimbi gender fluid; soprattutto ho letto un libro straordinario, Il mio bellissimo arcobaleno, la cui autrice è mamma di un bambino gender fluid. Da qui è nata la mia storia, che ho sviluppato con [l’attore] Michele Degirolamo.
Quindi ecco, mettiamo subito in chiaro che è una storia che davvero poco ha a che fare con l’ambito sessuale, giusto?
Infatti, io mi fermo un gradino prima, all’identità di genere, che è un fondamento primario nella creazione della nostra identità di individui.
Ho visto che Fa’afafine ha vinto numerosi premi—Eolo Award 2016, Infogiovani – FIT Festival Lugano 2015, Scenario Infanzia 2014—e ottenuto il patrocinio di Amnesty International. Quindi la critica ha ricevuto positivamente l’opera. Quando sono iniziate le polemiche?
Sono partite già durante la prima stagione di tournée [fine 2015-2016], con i gruppi cattolici—da Difendiamo i nostri figli a Generazione Famiglia alle Sentinelle in piedi—che dicono di difendere la famiglia e di combattere la teoria gender, questo mostro che nessuno ha mai visto.
La prima volta che ho scoperto l’esistenza di questi gruppi è stato a Palermo [lo spettacolo è una co-produzione Css Udine e Teatro Biondo Palermo], dove prima che cominciassimo le repliche, sui telefoni di genitori e insegnanti sono arrivati migliaia di WhatsApp che dicevano “attenzione, questo è uno spettacolo diabolico, il regista vuole cambiare sesso ai vostri figli, convertirli all’omosessualità e insegnare loro la masturbazione.” Perché questo è il leitmotif dei movimenti che si scagliano contro lo spettacolo—in modo tra l’altro assolutamente preventivo, perché nessuno di loro l’ha mai visto.
Da gennaio di quest’anno però la situazione si è fatta ancora più calda: perché così tante polemiche sono scoppiate proprio ora? Mi riferisco a una serie di articoli usciti su vari quotidiani tra cui spicca Il Giornale, a Forza Nuova che ha parlato di “opera satanica” etc.
La cosa grave che è avvenuta quest’anno è che alcuni politici—che hanno più visibilità—hanno cavalcato le istanze dei gruppi cattolici: l’assessore alla scuola del Veneto Donazzan ha chiesto alla ministra Fedeli di annullare le repliche dello spettacolo in tutta Italia, Giorgia Meloni ha condiviso sul suo Facebook la petizione scrivendo No Gender, etc. Poi arriviamo alle minacce di violenza fisica da parte di Forza Nuova a Pistoia, e Casa Pound a Bolzano ha trafugato il link al video dello spettacolo che era stato consegnato all’assessore alla cultura per una visione privata e l’ha messo su Facebook per fare incitamento all’odio, organizzando anche una visione pubblica a Bolzano per terrorizzare le famiglie sul contenuto.
Infatti mi dicevi che ormai fate quasi sempre lo spettacolo con la polizia fuori dal teatro—come è successo a Pistoia, Cantù, Bolzano—perché molto spesso arrivano gruppi che vogliono fermarlo, vogliono entrare, hanno i megafoni etc. Ma come finiscono poi queste situazioni, si fa lo stesso lo spettacolo?
Sì, si fa, con la polizia fuori… A Pistoia la prima replica l’abbiamo differita alla sera, alla seconda è arrivata la Lega Nord Toscana, che appellandosi assurdamente alla Giornata della Memoria—che cadeva proprio quel giorno—chiedeva di fermare lo spettacolo; non che si capisse su che basi si riferissero alla Giornata della Memoria… Insomma, c’erano questi tizi che afferravano i bambini tentando dei ficcargli nelle mani volantini contro il gender.
Quello che ho scoperto con tutte queste esperienze è che è uno spettacolo che dovrebbero vedere soprattutto gli adulti, perché il pregiudizio è assolutamente tipico delle costruzioni mentali e culturali degli adulti—i bambini quasi sempre sono scevri da tutto ciò.
Infatti volevo chiederti se a livello di pubblico hai avuto modo di parlare con alcuni ragazzi che sono venuti a vederlo, di sondare le loro reazioni.
Tantissime volte, abbiamo sempre fatto incontri e dibattiti dopo lo spettacolo. Ed è sorprendente e magnifico assistere alle loro reazioni, che denunciano sempre una grande intelligenza emotiva e una grande apertura a tutto ciò che sono le varie possibilità dell’identità. I ragazzi, soprattutto i più piccoli, solitamente si stupiscono che nello spettacolo si vedano dei genitori un po’ in affanno rispetto alla particolarità del figlio, preoccupati e a volte arrabbiati. I bambini spesso mi dicono, “Ma come mai i genitori ci mettono così tanto a capire che Alex è così e basta?”
Ti aspettavi tutti queste polemiche?
Assolutamente no, guarda, io non avevo idea di cosa fosse la teoria gender: è come parlare dell’unicorno o Babbo Natale, solo che l’unicorno e Babbo Natale vorremmo che esistessero sul serio e invece il gender no. Ho cominciato a prendere atto di questa realtà solo quando sono comparse le polemiche. Io semplicemente mi sono imbattuto in una storia che mi piaceva tanto, e dato che sono un uomo di teatro mi sono messo in sala e ho cominciato a lavorarci…
In conclusione, c’è qualcosa che chiederesti ai comuni, alle scuole, ai membri di queste associazioni che si oppongono alla pièce, qualcosa che proponi per creare un dialogo?
Io sono un lavoratore del teatro, non certo uno che si mette in cattedra. L’unica cosa che posso fare è invitare la gente a teatro, perché il teatro nasce come luogo della cittadinanza, come luogo dove scambiarsi idee, opinioni, visioni. Anche ai più dubbiosi, restii, sospettosi, dico sempre venite a teatro, venite a vedere questo spettacolo e poi parliamone faccia a faccia con grande serenità. Solamente attraverso il dialogo ci si può aprire all’altro da sé.
Lo spettacolo di questa sera al Teatro della Tosse di Genova è gratuito, ed è stato reso possibile grazie alla collaborazione di Giardini Luzzati – Spazio Comune, Teatro della Tosse, Teatro Stabile di Genova, Officine Papage, Arci Genova e molti altri enti. Se non puoi partecipare, trovi tutte le altre date di Fa’afafine – Io sono un dinosauro qui.
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