Per i quattro gatti che ancora non ne avessero sentito parlare, Dark Polo Gang è un collettivo romano formato da DarkSide, Pyrex, Tony e Wayne. Da giugno è disponibile in free download il loro album d’esordio Full Metal Dark, primo prodotto ufficiale della Gang, interamente prodotto da Sick Luke, quel Sick Luke figlio di Duke Montana, che, se si esclude una traccia prodotta in collaborazione con un tale Nino B., si è occupato interamente delle basi del progetto. Nel mix sono completamente assenti i featuring e i ragazzi sciorinano rime sul crinale tra ermetismo e incomprensibilità a tema droghe, vestiti e soldi: “Se non si tratta di soldi, lascio perdere”.
Internet scarseggia di informazioni a riguardo e, volendo saperne un po’ di più su di loro, provo a mettermi in contatto con Pyrex, che a sua volta mi rimbalza verso Sandro (ALXSSVNDROMAN, il loro videomaker, ndr) e di lì a due giorni riusciamo ad organizzarci per fare quattro chiacchiere. Ho appuntamento con la Dark Polo Gang in un appartamento in cui si appoggiano, proprio sopra lo studio in cui registrano la loro musica. È un posto a Lungo Tevere, non molto lontano da dove è stato girato “Neve A Settembre“, singolo uscito pochi giorni fa e che anticipa Crack Musica di Tony Effe e DarkSide, di prossima pubblicazione; durante il corso del 2016 sono in arrivo vari progetti solisti diretti dagli altri membri del gruppo, con titoli programmatici come Succo di Zenzero di Wayne o The Dark Album di Pyrex.
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Per provare a capire cosa si celi dietro il fenomeno Dark Polo Gang, un piccolo caso partito da Roma e che si sta diffondendo fino (o forse soprattutto) a Milano, in culo a tutti gli antagonismi di bandiera. Saluto i ragazzi e ci sediamo in circolo, distribuiti su due divani di pelle nera e un paio di sedie. Alle nostre spalle c’è un balcone, ma la finestra rimarrà rigorosamente chiusa per tutta il tempo, finché la stanza non si sarà strasformata in una specie di bagno turco senza vapore.
Iniziamo a far girare la porra e partiamo con le domande.La prima cosa da mettere in chiaro quando si prova a parlare della realtà Dark Polo Gang è che ai ragazzi non frega un cazzo di ciò che puoi pensare o dire della loro musica, con tutte le conseguenze positive e negative che questo comporta. Una forma di arroganza che, per qualche aspetto, può ricordare da vicino l’attitudine di Bello Figo Gu. Naturalmente anche a loro fa piacere quando popolarità e seguito aumentano, ma ciò che gli interessa è continuare a fare le loro cose coerentemente con un’estetica fatta di rime scritte di getto, a modo loro: “La cosa è che facciamo sta robba e non ce ne frega un cazzo del resto. È un po’ come quando tratti male una pischella e quella ti chiama”, mi spiegano mentre ridono. Non riesco bene a capire se stiano ridendo di me.
È proprio la spontaneità con cui sono scritte le strofe a rappresentare il tratto distintivo della Dark Polo, e chi ascolta la loro musica percepisce che sono e suonano esattamente come appaiono, senza filtri, censure o processi creativi particolarmente articolati. A puntargli addosso l’attenzione nazionale è stata “Cavallini”, che è uscita in anteprima su Noisey, quando ancora nessuno sapeva chi fossero. Il pezzo è costruito su un beat di Charlie Charles e la strofa di apertura è affidata a Sfera Ebbasta, nonostante sia un pezzo accreditato a loro. Già la scelta di non aprire il loro singolo più celebre potrebbe dare il via a molte dietrologie (basti pensare a tutte le critiche che ha dovuto sucarsi in passato Earl Sweatshirt quando ha deciso di aprire il suo album di debutto con una strofa di Vince Staples), ma probabilmente non ci hanno nemmeno pensato.
“Quando scrivo una canzone dico solo quello che sto pensando sul momento. Oggi posso dì che mangio il pollo al curry e non mangio sushi, e domani il contrario. Siamo tutte teste diverse: a Tony per esempio je piace er sushi, ma a me me fa proprio schifo”, mi dice DarkSide, quando provo a chiedergli dei loro testi. L’immaginario della Gang è composto anche riferimenti calcistici, Totti e De Rossi, e poi Fendi, Gucci, Brooklyn, pezzi e grammi nei nei jeans. Nella intro di Full Metal Dark Pyrex lo dice proprio, lo sai che sono G-Star, e queste scelte li rendono forieri di una certa romanità che, anche inconsapevolmente, rimane appiccicata addosso e arriva a frange di pubblico che fino ad ora il rap se l’erano inculato solo perché durante l’intervallo all’Olimpico di Roma fanno sentire Radio Italia.
Il concerto a Milano, andate a 2.20 per una piccola perla.
Il punto è proprio questo, che la Dark Polo Gang potenzialmente può arrivare al ragazzino che la domenica è in Curva Sud a preparare gli striscioni per la partita e ha creato un nuovo pubblico ibrido che fino ad ora questa cosa del rap non se l’era mai cacata di striscio, o che è fermo a “In Da Club” di 50 Cent. Si è creata, insomma, una nuova frangia di ascoltatori; un pubblico ibrido attratto più dall’immaginario che dalla musica in sé che si incastra all’interno di un processo in atto già da da tempo, forse addirittura (iconofraficamente parlando) da “PES” dei Club Dogo. Magari questo nuovo pubblico, il pubblico di Sfera, del nuovo Achille Lauro, di Ghali, ha già iniziato un processo di modificazione dei gusti generali e magari nel giro di un altro anno ribalta del tutto il mercato del rap italiano, che ne sai? Loro di sicuro non lo sanno: “Abbiamo agito senza un vero e proprio schema: molte cose ce le ritroviamo dentro anche se non c’è una ragione così esplicita”. Forse sono proprio questi riferimenti tutt’altro che elaborati a permettere alla Dark Polo Gang di arrivare a un pubblico fatto di ragazzini (e non) privo di basi propriamente hip-hop. Tutto si trasforma in un calderone di basse e concetti base, in un mix puramente stilistico in cui l’estetica dei loro video diventa una parte integrante, se non addirittura fondamentale.
Quando provo a farli parlare della realtà da cui provengono, mi rispondono che la vicinanza dei loro quartieri gli ha permesso di affiatarsi e unirsi fin da ragazzini: una realtà di provenienza che una volta tanto non ha nulla a che spartire con le periferie, perché loro sono tutti ragazzi del centro: “Rione Monti, Trastevere, Campo de’ Fiori. Il contesto romano ci ha uniti, le serate e le droghe ci hanno reso parte di un movimento, qualcosa così. Non veniamo dalla povertà o dalla merda, abbiamo una base culturale che ci ha spronato a fare delle cose”.
Sono proprio le esperienze comuni a essersi trasformate in un collante e la musica è stata soltanto il modo più facile di esprimere e raccontare la realtà che li circondava: “Ci conoscevamo tutti da pischelletti; siamo sempre stati fratellini. Abbiamo sempre creato situazioni un po’ al limite di quello che se pò fà a st’età, e avevamo capito di poterne parlare attraverso il rap”, mi dicono. Determinante, in questo senso, è stato l’incontro con Sick Luke: “È lui che ci ha dato le prime produzioni vere ci ha fatto capire che potevamo fare sul serio; prima era una cosa così, un po’ campata per aria, ma da quando è arrivato lui è cambiata storia, da lì in poi si è concretizzato tutto. Quando abbiamo iniziato a fare i primi video con Sandro abbiamo capito che c’era un filone a unirci tutti”.
Sick Luke mi parla un po’ del processo creativo che sta dietro a ogni strumentale e di come sia difficile riuscire ad accontentare quattro personalità diverse per riuscire a trovare un compromesso che sposi al meglio le caratteristiche peculiari di ognuno. “Di solito stiamo in studio a fare il beat sul momento, ma dipende un po’ dal tipo di disco che dobbiamo fare. Io mi baso abbastanza sul progetto intero, su come dovrebbe suonare, così se ti senti un disco di Pyrex sai che suona in un certo modo, se senti un disco di Wayne suona in un altro e così via. Full Metal Dark suona diverso da questi altri progetti proprio perché ogni disco deve avere certe sonorità. E poi in studio facciamo veramente un sacco di roba, tante cose alla fine neanche escono”.
Pur non volendo “essere contro nessuno”, come ribadiscono più volte mentre parliamo, ci tengono a prendere le distanze dalla rassicurante figura tradizionale del rapper italiano. “Quella del rap classico è un’altra corrente, è qualcosa che non ci appartiene in alcun modo. Tantomeno vogliamo suonare come il rap romano, perché quella roba fa parte di un’altra generazione. Noi non siamo avvelenati con la vita: scopiamo, ridiamo, fumiamo e ci divertiamo a farlo. Si sente nei nostri pezzi”, sostiene Wayne.
Le loro influenze maggiori provengono dal rap americano, più che da quello nostrano e i loro rapper preferiti hanno solo una cosa in comune: “I soldi. Rispetto per chi fa i soldi. Ci piacciono quelli che spaccano: Young Thugh, Gucci Mane, Justin (Bieber, ndr)”. Da ragazzini, comunque, si sparavano il Truceklan: “Soprattutto Noyz Narcos perché ai tempi a Roma girava molto”.
Glielo butto lì, il nome di Bello Figo. “Rispetto per chi brilla”, mi rispondono.
Il fenomeno Dark Polo consiste proprio in questo: hanno allargato il bacino d’utenza di questa musica, e questi cavallini arrivano ovunque (come testimoniano i commenti che inneggiano ai cavallini ovunque compaia una Polo Ralph Lauren su Facebook; vedi sotto la voce “accappatoio Polo di Guè Pequeno”).
L’humus culturale di Roma, del resto, non permette a sonorità lontane dal canonico boom bap di diffondersi così liberamente, e chi vuole provare a cimentarsi su tappeti sonori atipici o incongruenti con la romanità spesso rimane spiazzato e deve rivolgersi altrove. I primi a discostarsi da tradizionalissimo cassa e rullante scena romana, con percorsi molto diversi da quello della Dark Polo, sono stati Gemitaiz & Madman, più recentemente (e similmente) Achille Lauro. Eppure anche per loro il consenso è arrivato a fatica, dopo una serie di aspre critiche piovute più o meno da ogni direzione, sia dagli addetti ai lavori che dalla feccia annidata tra YouTube e i forum. Il successo di Achille ha in qualche modo spianato la strada a sonorità più trasversali, più lontane dalla classica impronta romana. In questo momento La Dark Polo Gang si distacca da tutto ciò che proviene da Roma e il fenomeno Dark Polo si basa quasi esclusivamente sul carisma delle teste che la compongono e che hanno costruito un’estetica caricaturale, sboccata e ricercatamente senza filtri, qualcosa che li rende immediatamente riconoscibili: “Ci sta parlare di fenomeno, però poi noi non se n’accorgemo. C’abbiamo questa robba che funziona da sola perché siamo tutti diverse e mo continueremo a fà sta robba. La Dark Polo Gang è Gucci, come tutti sanno. ‘sta roba costosa piace a tutti: vestisse bene, sta’ freschi. Pure prima de fà il rap siamo sempre stati in fissa coi vestiti. Coi soldi, senza soldi, abbiamo sempre stilato. Semo i più fashion del mondo.”
Vesto rosa salmone Kenzo, dice Tony Effe nel singolo “Super Sayan”, che anticipa il nuovo Crack Musica di prossima uscita. Sulla collaborazione con Sfera e Charlie i ragazzi mi dicono che tutto ha funzionato, oltre che per la stima reciproca, per il fatto di condividere il medesimo binario musicale: “Abbiamo conosciuto Sfera a Milano, siamo stati un paio di giorni insieme e poi è sceso a Roma in estate; siamo stati qualche giorno insieme e ad Agosto abbiamo fatto un po’ la traccia, il video e tutto. Aveva ‘sto ritornello e abbiamo fatto ‘sta traccia in pochissimi minuti, un flash.” mi intima Tony, detto Il Fantino.
Il video è stato girato in una trap-house di Roma centro. Peraltro, Sfera Ebbasta e Charlie Charles sono recentemente entrati nel roster di Roccia Music. A conferma di un’estraneità proprio territoriale a certe sonorità, non possiamo dimenticare come, un po’ di tempo fa, quelli di Roccia Music furono costretti ad annullare un concerto a Roma per scarsa affluenza di pubblico pochi minuti prima dell’inizio.
Appare più che ovvio, allora, che prima di suonare a Milano i ragazzi della Dark Polo non si fossero mai esibiti dal vivo; a quanto pare, Roma è una città che non scommette sui suoi talenti. “A Roma abbiamo fatto solo due serate. Ma erano più mezze feste private tra amici… a Milano invece c’era un pacco di gente. Addirittura trecento persone sono rimaste fuori, non sono riuscite a entrare per quanta gente è venuta!”; gira voce, poi, che qualcuno sia svenuto e rimasto su un tavolo a collassare per tutto il concerto.
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Le collaborazioni dei Dark Polo si contano sulle dita di una mano: tra queste, menzione d’onore a “Pezzi” di DarkSide e Ketama126, un earwurm potenzialmente ancora più letale di “Cavallini”. Altrettanto ovvio è che i ragazzi, nati e cresciuti in un contesto culturale del genere, abbiano dovuto fare affidamento pressoché esclusivamente sul loro affiatamento: “Non siamo mai stati nel giro di nessuno. Giochiamo con le nostre regole. Sandro, quando ci fa i video, sapendo chi siamo può riprodurre al meglio la nostra estetica. Il nostro beatmaker è uno dei migliori nella scena. Siamo su un altro pianeta: Avatar!” E scoppiamo di nuovo a ridere, questa volta per autocompiacimento, credo.
Una soluzione autarchica, la loro, e praticamente obbligata, date le premesse di partenza. Le cose a Roma sembrano iniziare ad andare diversamente adesso e la città, pur continuando a rimanere una prigione, che usa il silenziatore (così viene descritto l’ambiente romano in “Nascere e Morire a Rione”), sembra che stia allentando le sue sbarre. Il dissenso non è più aprioristico o politico e qualche spiraglio si sta aprendo verso nuove contaminazioni sonore, se sia positivo o negativo non ci è dato stabilirlo.
Altra cifra stilistica del collettivo sono i ritornelli – li ascolti una volta e non li scordi più: se siete riusciti a smettere di ascoltare la sopra citata “Pezzi”, date un ascolto a “Backflip” di Side e Wayne. Le vostre storie finte come wrestling. Lo so che il significato della parola backflip te lo sei andato a cercare su Google.
A proposito del triplo sette che i nostri ripetono spesso, anche nel ritornello sopra citato, “777 è come il jackpot alle slot machine; ricchi per sempre, vincere. Fanculo il pareggio”, mi dice Side. Si preannuncia un anno pieno di trap, insomma, e chissà che qualcuno non decida di scommettere anche su questi Cavallini: i ragazzi potrebbero aver inconsapevolmente oliato le consolidate dinamiche di questo stupido gioco del rap (italiano), esaltando ed esplicitando la componente ludica, fino a costringere un’intera città a sbattere la testa contro tutte le ipoteche culturali che si è faticosamente costruita nel corso degli anni; ipoteche che iniziano ad essere sempre più ingombranti per la sua crescita e per il suo sviluppo, non solo musicale.
Quando mi trovo già in metropolitana per tornare a casa, Sandro mi chiama per avvisarmi che ho dimenticato il caricabatterie del telefono nell’appartamento dei ragazzi. Questa città non ti perdona nulla.
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