Cultura

Cosa succederebbe se la Chiesa pagasse quel che deve allo Stato italiano?

Illustrazione tasse vaticano

Tra quello che non paga e quello che paghiamo per lei, quanto costa all’Italia la Chiesa cattolica?

Se lo chiedono in molti, e da molto tempo. Per esempio, il sito Concordat Watch raccoglie tutti gli accordi tra Stati e Vaticano—i cosiddetti “concordati”—discutendone anche le conseguenze finanziarie. E ha una pagina dedicata proprio ai costi della Chiesa cattolica per lo Stato italiano, dove riporta la stima di quattro miliardi di euro all’anno fatta nel 2007 da Curzio Maltese, che nel 2008 pubblicò uno dei principali testi sul tema—il saggio La questua—dove il costo totale viene valutato a 4,5 miliardi.

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Eppure non è chiaro—e probabilmente non lo è anche allo stesso Vaticano—quale sia la dimensione dei benefici fiscali ed economici di cui gode la Chiesa cattolica. Lo studio più approfondito disponibile sui costi della Chiesa per lo Stato italiano lo ha però realizzato l’UAAR – Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti.

Secondo le stime dell’UAAR più di un miliardo di euro vengono spesi dallo stato italiano solo per l’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche. Più di un miliardo se ne va anche attraverso l’otto per mille, con cui lo Stato italiano “mantiene la Chiesa cattolica,” come sintetizzava efficacemente a giugno la testata L’Essenziale.

Lo Stato, infatti, divide l’8 per mille del gettito IRPEF (l’imposta sul reddito delle persone fisiche) tra sé stesso e una serie di confessioni religiose con cui ha stretto accordi, e la Chiesa cattolica usa questo denaro sia per progetti caritatevoli sia per sostenere il clero—tutto il clero, anche quello che ha bisogno di pagare gli avvocati dei preti accusati di violenza sessuale sui minori. Considerate che prima che esistesse l’otto per mille (cioè prima del 1985) lo Stato italiano pagava direttamente lo stipendio ai sacerdoti, quindi ora ci va pure di lusso.

A ogni possibile destinatario (le varie fedi o lo Stato) dovrebbe spettare una percentuale di questo 8 per mille in proporzione a quante persone abbiano scelto di destinare questa parte del gettito IRPEF a quello specifico destinatario.

Se metà delle persone vogliono destinare l’otto per mille alla Chiesa Pastafariana, metà dell’otto per mille spetterà a lei (purtroppo la Chiesa Pastafariana non ha accordi con lo Stato per l’otto per mille). Chi non ha espresso alcuna scelta lascia però che sia chi l’ha espressa a decidere la suddivisione.

Quindi, se solo metà delle persone esprimono una scelta e metà di queste persone votano per destinare l’otto per mille a The Satanic Temple (purtroppo The Satanic Temple non ha accordi con lo Stato per l’otto per mille), The Satanic Temple si prende lo stesso metà del totale, anche se è stato scelto da metà della metà delle persone, cioè dal 25 percento.

Risultato: nelle dichiarazioni dei redditi relative al 2020 solo il 28,64 percento delle persone ha scelto di destinare parte dell’otto per mille alla Chiesa cattolica, che però si prende il 70,37 percento della torta.

C’è poi la questione delle tasse che la Chiesa negli anni non ha pagato sulle sue proprietà immobiliari. Dal 1992—cioè dalla nascita della vecchia tassa su edifici e terreni (ICI)—al 2004 la Chiesa ha a volte dato un’interpretazione creativa di quali immobili fossero esenti dalla tassa sulla proprietà.

In teoria l’esenzione riguardava i luoghi destinati unicamente al culto e quelli utilizzati dalla Chiesa (e da enti non commerciali) esclusivamente a scopi sociali e filantropici. In realtà, si notava una certa libertà su cosa fosse considerato esente da Chiesa e comuni.

La situazione è stata chiarita dalla Cassazione nel 2004, quando è stato definito che erano esenti dall’ICI solo gli immobili che non avessero anche scopo commerciale. Ma l’esenzione degli immobili della Chiesa è stata poi ampliata da una legge del 2005 di uno dei governi Berlusconi e—nel 2006—dal successivo governo Prodi, e sono diventati ufficialmente esenti tutti gli immobili in cui si svolgessero attività “che non abbiano esclusivamente natura commerciale.”

Bastava piazzare un altarino in un albergo e ti diventava esente, insomma. L’esenzione—definita un illegittimo aiuto di stato dalla Commissione Europea—è finita quando nel 2012 l’ICI è confluita nell’IMU, ma una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 2018 ha determinato che i mancati proventi del periodo 2006-2011 dovessero essere recuperati.

Il problema è che non si sa quanta ICI non sia stata versata in quegli anni, e anzi l’Italia continua a giustificare il mancato recupero dicendo proprio che la cifra non è quantificabile.

Di solito si parla di cinque miliardi di euro—questo numero lo ha citato persino Fedez—ma sarebbero il totale di tutte le organizzazioni sia religiose sia no profit che hanno goduto dell’esenzione tra 2006 e 2011. Per quanto riguarda la sola Chiesa, il quotidiano della conferenza episcopale italiana Avvenire ha proposto stime molto inferiori, intorno ai 600 milioni di euro.

Comunque, ancora nel 2015 il Corriere della Sera osservava che a Roma solo il 60 percento degli alberghi posseduti dalla Chiesa pagava l’IMU, aggiungendo che nella capitale la Chiesa possiede un quarto degli alberghi. E tutt’ora alcune scuole paritarie non pagano IMU e TASI (la tassa sui rifiuti). Anche in questi casi perché si tratterebbe di attività non commerciali, pure quando sono nella pratica alberghi prenotabili da chiunque online.

A questi costi e a queste entrate mancate vanno aggiunte molte altre voci, spesso difficili da quantificare. Ci sono i contributi statali e locali alle scuole e alle università cattoliche e in generale alla Chiesa, edifici statali concessi solitamente a titolo gratuito come luoghi di culto e ulteriori benefici, agevolazioni e esenzioni fiscali e doganali.

Pure l’acqua consumata dalla Città del Vaticano è pagata dallo stato italiano, sin dai Patti Lateranensi del 1929. E altro e altro ancora. Totale, sempre secondo UAAR: circa 6 miliardi e 750 milioni di euro all’anno, più appunto la cifra ignota di ICI che deve essere restituito. Più 200 milioni che—secondo un’inchiesta del mensile Left—potrebbero arrivare alle ACLI (Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani) grazie a un accordo tra Caritas (ente della Conferenza Episcopale Italiana, che però nega) e INPS per avere la gestione praticamente esclusiva di varie indennità e sussidi nei comuni italiani.

Quindi, cosa potremmo fare con questi sette miliardi? Non è che in Italia manchino settori in cui investire: basta vedere come l’inizio della pandemia di COVID-19 ci ha fatto pesare 40 anni di tagli alla sanità e ai posti letto negli ospedali.

Secondo Pagella Politica, nel 2022 ci è costato sette miliardi il taglio delle accise (le imposte fisse) sui carburanti, quindi se la Chiesa smettesse di pesare sulle casse dello Stato la riduzione dei prezzi dei carburanti potrebbe diventare permanente.

E ancora: nel 2019 Utilitalia (la federazione delle aziende che si occupano di acqua, ambiente, elettricità e gas) aveva valutato a 7,2 miliardi l’investimento necessario per garantire acqua potabile all’Italia anche in vista di condizioni climatiche sempre più estreme. Miglioramenti della rete idrica italiana verranno finanziati grazie al PNRR, ma non farebbero comodo dei soldini in più?

E sette miliardi di euro è anche una cifra vicina alla spesa annuale necessaria a finanziare il reddito di cittadinanza che—comunque la pensiate e con tutte le sue criticità—secondo l’ISTAT nel 2019 ha interrotto dopo 4 anni l’aumento del numero di famiglie in povertà assoluta e nel 2020—con lo scoppio della pandemia—ha evitato la povertà assoluta a un milione di persone.

Insomma: un modo per spendere questi soldi lo troviamo, sempre se smettiamo di spenderli per la gloria del Bambin Gesù.

Aggiornamento del 18/01/2023: Rispetto al testo originario è stata rimossa una frase che descriveva in maniera impropria la natura dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti.