Come Di Maio ha usato il complottismo per far digerire il condono ai suoi elettori

di maio vespa manina

Da che mondo è mondo, ogni politico che si rispetti si sceglie i propri nemici—a volte vedendoli anche dove non esistono, altre creandoli da zero. E per quanto ami dipingersi come una novità rispetto al resto della politica, il MoVimento 5 Stelle non fa eccezione.

Qualche mese fa, nei giorni caldi dell’approvazione del cosiddetto “decreto dignità,” Luigi Di Maio era arrivato a evocare una “manina” malvagia che si anniderebbe negli uffici del ministero dell’economia e della ragioneria generale. In una relazione tecnica allegata al decreto, infatti, era emersa la possibilità che la misura avrebbe fatto perdere 8mila posti di lavoro all’anno per dieci anni.

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“Mi faccio proprio una risata,” aveva detto il vicepremier, “perché 80 mila posti in meno è un numero che non sta da nessuna parte.” Lo stesso aveva aggiunto di avere contro “lobby di tutti i tipi,” e che “quel numero è apparso la notte prima che il decreto legge venisse inviato al Quirinale. Non è un numero messo dal governo.”

Tuttavia, a un certo punto è venuto fuori che la firma sotto quella relazione era proprio del Ministro del Lavoro. Il quale avrebbe dovuto essere a conoscenza di quei numeri, visto che gli erano passati sotto gli occhi. Alla fine, per uscire dall’angolo Di Maio se l’era presa con i “tecnocrati che vanno contro la volontà del governo” invece di essere “a servizio del popolo.”

Bene: ci risiamo. Ieri sera il vicepremier ha rispolverato la “manina” da Porta a Porta. Questa volta la manina sarebbe comparsa nel decreto fiscale, in particolare nella parte della “pace fiscale” (leggi: condono). “Domani sarà depositata una denuncia alla procura della Repubblica,” ha detto mentre lui e Bruno Vespa compulsavano l’articolo 9 del decreto, “il testo della ‘pace fiscale’ è stato manipolato.”

Contestualmente, sulla pagina Facebook di Di Maio è apparso un post con i “+++” d’apertura e l’annuncio che “nel testo trasmesso alla presidenza della Repubblica, ma non accordato dal consiglio dei ministri, c’è sia lo scudo fiscale sia la non punibilità per chi evade. Noi del MoVimento 5 Stelle in Parlamento non lo votiamo questo testo se arriva così.”

Poco dopo, però, è arrivata la smentita dai piani alti. “L’’ufficio stampa della Presidenza della Repubblica precisa che il testo del decreto legge in materia fiscale per la firma del Presidente della Repubblica non è ancora pervenuto al Quirinale,” si legge in un tweet.

Le domande intorno a questa vicenda sorgono spontanee: cosa cazzo abbiamo appena visto? È l’ennesimo capitolo dell’incompetenza grillina, che nel frattempo sta diventando sempre più dannosa (stamattina lo spread ha superato i 300 punti base)? Oppure Di Maio ha le traveggole? O ancora: c’è un gigantesco scazzo dentro la maggioranza di governo?

Proviamo a capirci qualcosa, partendo dal procedimento di approvazione dei decreti. Anche se non è così risaputo, quando il consiglio dei ministri comunica di aver fatto una legge molto spesso quella legge ancora non esiste. In breve, come ha spiegato su Facebook il giornalista dell’Huffington Post Pietro Salvatori, il funzionamento è questo:

Il Cdm vara una legge, che spesso esiste solo a livello di bozza; dopo il varo il governo a vario titolo definisce l’articolato, lavorando per bozze che man mano ne affinano il testo; il testo diventa definitivo solo dopo la bollinatura della Ragioneria che lavora di concerto con il Dagl [ Dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi]; il testo così formato arriva a Palazzo Chigi; il presidente del Consiglio—non un ufficio qualunque, proprio lui—lo trasmette al Quirinale per la promulgazione.

In caso di testi complessi, come lo è il decreto fiscale, il tempo per trovare la quadra in tutti questi passaggi si allunga e iniziano a circolare diverse bozze—lo stesso Salvatori dice di averne ricevute ben quattro. Quella che Di Maio ha esibito da Vespa è pertanto una bozza, probabilmente l’ultima scritta nel pomeriggio di ieri, e non il testo definitivo.

A livello politico, però, è una bozza molto significativa: dentro c’è lo sfondamento di ogni paletto della “pace fiscale” che coincide perfettamente con quanto richiede la Lega da tempo. E i Cinque Stelle, pur non chiamandolo con il suo nome, stanno facendo molta fatica a far digerire al proprio elettorato il solito condono.

Su questo tema, come riporta un retroscena del Corriere della Sera, nella maggioranza ci sarebbe parecchia tensione. Fonti di Palazzo Chigi riferiscono che Giancarlo Giorgetti—il sottosegretario leghista molto vicino a Salvini—è “furioso con il vice pentastellato” sia per la sfiducia dimostrata nei suoi confronti che per la tendenza di alcuni “big del M5S” a “sospettare di tutto e di tutti” e per “l’abitudine di denunciare i contrasti in tv invece che a Palazzo Chigi.”

Di Maio, e lo staff comunicazione del M5S, non hanno scelto a caso quella bozza; e di più, la piazzata da Vespa è frutto di una strategia decisa a tavolino. Come nel caso del decreto dignità, anche in questo caso Di Maio ha optato per una forma di “cospirazionismo light” per togliersi dall’impaccio di una misura impopolare da un lato, e dall’altro per non attaccare frontalmente i propri alleati.

Solo che, e qui sta il punto, non gli è venuta un granché bene. Parlando di denunce (infattibili) in procura Di Maio non solo ha fatto un gran casino: ha fatto proprio una figuraccia.

La figura di quelli seri l’hanno fatta invece quelli della Lega, che ieri sera hanno detto: “Non sappiamo niente di decreti truccati, stiamo lavorando giorno e notte sulla riduzione delle tasse, sulla legge Fornero e sulla chiusura delle liti tra cittadini ed Equitalia.” E secondo La Stampa, addirittura, Salvini non si sarebbe trattenuto dalla risate: “Ma come si fa a prendere sul serio una roba del genere? Sono accuse surreali e incredibili.”

Insomma: invocare continuamente oscure trame di palazzo o fantomatici complotti internazionali potrà pure galvanizzare i seguaci della tua pagina Facebook e solleticare il tuo elettorato sul momento, ma a lungo andare ti farà assomigliare a uno asserragliato in un bunker con il cappello di stagnola in testa.

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