È in aumento in Italia il numero di vegani e vegetariani: stando al Rapporto Italia 2016 dell’Eurispes, pubblicato a gennaio, nel 2015 l’otto per cento della popolazione italiana si è dichiarata vegetariana (7,1 per cento) o vegana (1 per cento): un aumento di oltre un punto percentuale rispetto al 2015.
Tra questi, il 12 per cento dichiara di essere vegetariano o vegano per tutelare e rispettare l’ambiente. Una delle principali motivazioni che spingono le persone a scegliere un’alimentazione veg infatti, oltre ai benefici per la salute e la salvaguardia degli animali, è proprio quella ambientale.
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Da PETA alla Vegan Society, innumerevoli associazioni e diversi studi promuovono una dieta vegetariana o vegan per aiutare a salvaguardare l’ecosistema. Il consumo di suolo, la produzione di CO2, l’uso delle risorse idriche e la deforestazione sono solo alcuni degli effetti sul pianeta del consumo di massa di prodotti animali.
Già nel 2010 uno studio del Programma dell’ONU per l’Ambiente sosteneva che “una riduzione sostanziale degli effetti sarebbe possibile solo con un cambiamento sostanziale di dieta a livello globale, allontanandosi dai prodotti animali.”
In particolare, secondo lo studio, i prodotti animali sotto forma di carne o derivati come latte o uova hanno bisogno di più risorse e determinano emissioni più alte rispetto ai vegetali. Più il consumo di carne aumenta nei paesi ricchi, più i paesi poveri subiscono un forte impatto ambientale.
Da più parti, quindi, viene auspicata una riduzione del consumo di carne e prodotti animali e un maggiore uso di prodotti agricoli vegetali. Ma, come tutte o quasi le cose di questo mondo, la questione non è semplicemente o bianco o nero, e non può essere risolta con un aut aut: i problemi legati al cambiamento climatico e alla crisi ambientale del pianeta non si risolvono diventando tutti vegani.
Come evidenziato da diversi studi, infatti, una dieta vegana adottata a livello globale non comporta automaticamente benefici per il pianeta e non è necessariamente sostenibile a livello ecologico e ambientale.
In una ricerca pubblicata lo scorso luglio sulla rivista Elementa, un team di scienziati della Friedman School of Nutrition Science and Policy della Tufts University ha analizzato dieci diverse diete – dall’alimentazione americana media attuale, a una dieta onnivora, a una puramente vegana – e ha stabilito quale di queste permetterebbe di sfamare più persone con lo sfruttamento dei terreni agricoli degli Stati Uniti.
E, forse a sorpresa, la dieta più sostenibile dal punto di vista della produzione non è risultata essere quella vegana, ma una dieta vegetariana che comprende il consumo di derivati del latte.
L’alimentazione risultata a più alto impatto ambientale è invece quella attualmente di riferimento per gli Stati Uniti, con un più alto consumo di carne, cereali, grassi e dolcificanti — che destina l’80 per cento delle terre coltivabili alla produzione di cibo per animali (come il fieno), mentre il restante 20 per cento serve a produrre frutta, verdura e cereali destinati agli umani.
A seconda delle diverse stime riguardo a quanto terreno è adatto a essere coltivato, però, le diete che prevedono un consumo moderato di carne possono sfamare più persone delle diete vegane.
Stando a questo studio, quindi, una riduzione del consumo di carne è necessario per rendere più produttivi i terreni agricoli, ma l’eliminazione totale di prodotti di origine animale non è la soluzione più sostenibile.
Questo perché non tutte le terre agricole sono uguali, e non tutte sono coltivabili: ci sono infatti i terreni da pascolo, non adatti alla coltivazione ma utilizzabili per l’allevamento; i terreni agricoli perenni, in cui vengono coltivate piantagioni che resistono tutto l’anno e che fruttano numerosi raccolti, come i cereali destinati all’alimentazione degli animali; e i terreni agricoli coltivati, dove crescono frutta e ortaggi.
Mentre le diete ricche di carne prevedono un utilizzo massiccio di tutti e tre i tipi di terreno, la dieta vegana pura non vede in alcun modo utilizzato il terreno per le coltivazioni perenni, non sfruttando quindi una risorsa importante per produrre più cibo.
Uno studio per certi versi simile a quello pubblicato lo scorso luglio è uscito a novembre 2015 sulla rivista Environment Systems and Decisions. La ricerca analizza l’impatto di diversi tipi di dieta sull’utilizzo di energia, sul consumo di acqua dolce e sulle emissioni di gas serra.
I tre tipi di alimentazione analizzati includono una dieta che prevede la riduzione delle calorie senza cambiare il tipo di cibi consumati oggi dall’americano medio; una che non riduce le calorie ma consuma gli alimenti consigliati dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti; e una dieta che fa entrambe le cose, riducendo le calorie e cambiando gli alimenti assunti.
“Per quanto riguarda l’emissione di gas serra mangiare la lattuga è tre volte peggio che mangiare il bacon.”
Le raccomandazioni del Dipartimento per l’Agricoltura per un’alimentazione salutare prevedono un consumo maggiore di frutta, verdura, derivati del latte e pesce — tutti alimenti che richiedono un uso intensivo delle risorse per essere prodotti in rapporto alle calorie che forniscono.
Per questo, mentre la diminuzione delle calorie assunte riduce di circa il nove per cento il consumo di energia e acqua dolce e l’emissione di gas serra, il consumo di più cibi “sani” aumenta tutti e tre gli effetti: l’uso di energia cresce del 38 per cento, il consumo di acqua dolce del 10 per cento e l’emissione di gas serra del 6 per cento.
A parità di calorie, quindi, per produrre alimenti per una dieta ricca di vegetali si causano più danni all’ambiente che per produrre alcuni tipi di carne.
“Molte verdure comuni richiedono più risorse per caloria di quanto si possa pensare. Melanzane, sedano e cetrioli non ne escono bene rispetto al maiale e al pollo,” ha spiegato Paul Fischbeck, uno degli scienziati che hanno lavorato allo studio. A parità di calorie consumate, “per quanto riguarda l’emissione di gas serra mangiare la lattuga è tre volte peggio che mangiare il bacon.”
Ad esempio, per produrre alimenti come le ciliegie, il mango e i funghi viene consumata più acqua dolce che per allevare qualsiasi specie animale, ma di contro il granturco, le carote e il grano hanno bisogno di meno acqua rispetto alla produzione di carne.
Poco dopo la sua pubblicazione, lo studio è stato presentato sui giornali come una smentita del fatto che una dieta vegetariana fosse benefica per l’ambiente — affermazione confutata poi dagli stessi autori. La ricerca, infatti, non ha analizzato gli effetti di una dieta vegetariana o vegana, ma l’impatto ambientale della produzione di singoli ortaggi, caloria per caloria.
“Non si possono raggruppare insieme tutte le verdure e dire che vanno bene, e non si possono mettere insieme tutte le carni e dire che fanno male,” ha detto Fischbeck all’Huffington Post.
Il succo, quindi, è che considerare una dieta vegana o vegetariana come una panacea a tutti i mali del pianeta risulta un’esagerazione. Così come risulta fuori luogo chi nega che un consumo di carne più basso a livello globale può contribuire a ridurre lo sfruttamento delle risorse naturali.
Non sarà quindi la dieta vegana a salvarci dalla crisi ambientale del pianeta, ma ciò non ripulisce la nostra coscienza dai chili di hamburger che abbiamo consumato in qualche fast food.
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