Nonostante siano stati in tantissimi a tessere le lodi di Anthony Bourdain, dopo il presunto suicidio commesso dallo chef in Francia lo scorso 8 giugno, non sono mancati i commenti di chi, dalle comunità di recupero, ha spostato l’attenzione sui suoi comportamenti meno glorificanti, giudicando con disprezzo il fatto che lo chef consumasse alcolici durante gli show.
L’autrice e poetessa Mary Karr, nota per gli straordinari scritti sulla sua lotta personale contro l’alcolismo, ha addirittura accusato Bourdain di non aver curato il proprio alcolismo e di non essere mai stato sobrio al 100 percento. Lo chef non ha mai fatto segreto dei suoi trascorsi difficili, intorno ai 20 anni, con eroina e cocaina, anzi, ha sempre sostenuto che questa esperienza l’avesse avvicinato agli svantaggiati, alimentando la sua empatia verso chi soffre ed è vittima di ingiustizie in tutto il mondo.
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Karr, dall’altro lato, considera la dipendenza come la vera rovina di Bourdain. “Vederlo bere alcolici sul set era come guardare un incidente in autostrada al rallentatore,” ha scritto su Twitter. “Era chiaro che avesse disperatamente bisogno di bere. Non riuscivo a guardarlo.” Tra i fan di Karr su Twitter, tra cui molti alcolisti anonimi ora in fase di recupero, si è aperto un dibattito sul caso Bourdain: Se Bourdain fosse stato sobrio come noi, sarebbe ancora vivo. In un altro tweet Karr continua: “…si poteva evitare, se solo non gli fosse stato concesso di bere solo perché era si era ‘ripulito’ dall’eroina.”
Sì, ci è capitato di vedere Bourdain bere alcolici nei suoi show, e occasionalmente fumare cannabis, in Uruguay e ad Amsterdam per esempio. Nel 2013, in occasione di un Reddit AMA, Bourdain si era definito “un caso MOLTO inusuale,” riconoscendo che generalmente le persone rinunciavano a tutto—alcol incluso—per vincere la dipendenza e tornare a una vita normale. Nonostante questa consapevolezza, Bourdain aveva scelto la sua strada.
Dopo aver letto opinioni così dure e giudizi crudeli—Bourdain definito con disprezzo “ubriacone” e “tossico”—mi chiedo se Karr e tutti gli altri abbiano visto gli stessi programmi che ho visto io. Penso a quando in un episodio del 2016 di Cucine Segrete, Bourdain è ad Hanoi, Vietnam, con l’allora presidente Barack Obama e i due brindano con una birra.
É questo il demonio così disperatamente assetato che vedete? Dov’è quel presunto incidente automobilistico che aveva disgustato Karr al punto di non riuscire a guardare il programma? A parte che i test tossicologici relativi alla presenza di droghe e alcol nel corpo di Bourdain non sono ancora stati resi noti, e a parte che il procuratore francese incaricato dell’inchiesta ha dichiarato che non ci sono prove che Bourdain avesse fatto uso di alcolici prima del suicidio.
Messo da parte tutto questo, i commenti di Karr vanno contro ogni certezza, contro ogni teoria moderna secondo cui un programma di recupero dalla dipendenza avrebbe conseguenze su tutta la vita dell’individuo.
Il problema, però, si inserisce in un dibattito più ampio tra vecchia scuola e nuove correnti di pensiero. Dove la vecchia scuola sono coloro che definirei essenzialisti, chi come Karr considera la dipendenza parte integrante dell’identità del soggetto—un’identità immutabile nel tempo, perché ti ricordi cos’è successo l’ultima volta che hai bevuto? Perché rischiare? Questa corrente di pensiero tende a stigmatizzare gravemente la fonte del rischio e a proibire qualsiasi contatto con essa.
Karr ha poi commentato su Twitter che la dipendenza è “sempre crescente e sempre fatale,” delineando chiaramente le basi del pensiero essenzialista, sostenuto dal metodo dei 12 passi che spopola in America, in un paese in cui la terapia per la dipendenza non è regolamentata. Da questa filosofia, nascono frasi come “Se sei dipendente una volta, rimani dipendente per sempre.” La dipendenza per loro non è una malattia, ma una condizione stabile che deve fungere da scudo protettivo contro l’utilizzo di sostanze.
Tra i principi sostenuti dalla vecchia scuola, c’è anche la cosiddetta “cross-dipendenza.” Per questo gli essenzialisti credono che Bourdain, dipendente dall’eroina a 20 anni, corresse un grave rischio di una nuova dipendenza facendo uso di alcol. Per gli essenzialisti, la morte di Bourdain è solo una conferma della loro infausta previsione: “L’unica alternativa agli Alcolisti Anonimi sono i centri di detenzione, gli istituti oppure la morte,” come si legge nel “Big Book” degli Alcolisti Anonimi.
Kenneth Blum, che ha coniato il concetto di sindrome di astinenza cronica o carenza di ricompensa celebrale— reward deficiency syndrome (RDS)—mettendo in relazione per la prima volta l’allele A1 con la produzione di dopamina in casi di grave alcolismo, mi racconta che una persona con un calo di dopamina è più soggetta allo sviluppo di una cross-dipendenza.
“Il fatto che una persona [potenzialmente] possa diventare alcolista nella vita dopo aver fatto uso di cocaina o eroina in precedenza non mi sorprende affatto,” spiega Blum, professore alla Western University Health Sciences a Pomona, California. “È noto che le persone passino da una dipendenza all’altra nel corso della propria vita.”
Tuttavia, i sostenitori delle nuove scuole di pensiero non sono d’accordo con questa tesi. Chiamerei questo gruppo i contestualisti, perché non si attengono a credenze assolute, ma riconoscono la complessità delle varianti in gioco in ogni singolo caso di dipendenza, e sono consapevoli che il problema non sia permanente. Nella loro visione, gli esseri umani sono creature in continua evoluzione, in grado di imparare dai propri errori, maturando nel tempo.
Piuttosto che basarsi su aneddoti clinici raccolti negli incontri AA, il pensiero dei contestualisti è sostenuto da enormi studi fatti su scala nazionale, come questo sondaggio condotto dal Recovery Research Institute all’interno del Massachusetts General Hospital, che ha rilevato come circa la metà delle persone guarisca in modo naturale (remissione spontanea) senza cure specifiche e senza il supporto di gruppi di ascolto per AA.
Il tasso di “guarigione non assistita” si alza ulteriormente nel caso dell’alcolismo. Circa il 75 percento degli individui che riesce a uscire dalla dipendenza dall’alcol, lo fa senza alcun aiuto esterno, né incontri AA, così afferma un sondaggio del 2009 del National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism. Questo dato potrebbe sorprendere gli essenzialisti come Karr, ma la metà degli individui che hanno, per definizione, un “problema con l’abuso di alcol” tornano a bere dopo la guarigione, sempre secondo lo stesso sondaggio.
In realtà, non sono certo che Bourdain avesse mai dichiarato apertamente di aver ridotto l’uso di eroina e cocaina. Eppure, gli essenzialisti sostengono che fosse cross-dipendente dall’alcol. Per rispetto, mi rifiuto di fare delle speculazioni sul rapporto di Bourdain con gli alcolici, ma in generale, ci sono tantissimi casi di persone che sono tornate al “social drinking” dopo aver risolto una tossicodipendenza, in particolare se questo problema risale a molto anni prima.
Ian McLoone, capo terapista nella Clinica Alltyr di St. Paul, Minnesota, sostiene che la cross-dipendenza sia un mito da sfatare. Cita uno studio del 2014 pubblicato su JAMA Psychiatry in cui alcuni ricercatori della Columbia University avrebbero definito il fenomeno un “folklore clinico.” E spiega, “Il mito della cross-dipendenza è fondato sull’idea che un soggetto incline alla dipendenza abbia più probabilità di chiunque altro di cadere in dipendenze sempre nuove—eroina, cannabis, esercizio fisico, cibo ecc. Ma le prove che abbiamo sembrano non reggere a un esame scientifico.”
“È come se, una volta che qualcuno viene etichettato come tossico, non si possa più tornare indietro,” dice McLoone.
Lo stesso studio JAMA ha rilevato, inoltre, che la dipendenza grave in giovane età potrebbe diventare uno scudo protettivo da una seconda dipendenza in età più adulta—esattamente il contrario di quello che sosteneva la teoria della dopamina di Blum. In quel famoso Reddit AMA, Bourdain aveva praticamente detto la stessa cosa: “Forse proprio perché ho avuto esperienze così terribili in passato, non sono mai stato tentato da una ricaduta.”
Eppure, tutti gli studi e le ricerche del mondo non sembrano avere alcuna influenza su Karr. Perché alla fine il dibattito è sull’identità stessa.
Solo il 46 percento delle persone con una dipendenza alle spalle si considera in fase di disintossicazione, secondo lo stesso sondaggio condotto dal Mass General’s Recovery Research Institute. Ovviamente questo potrebbe essere dovuto alla stigmatizzazione in società: ammettere apertamente che ti stai disintossicando potrebbe avere conseguenze sulla tua carriera, le persone potrebbero giudicarti, perché dopotutto, l’uso di droghe è un crimine, e chi è tossicodipendente è un criminale. Ma Bourdain non si considerava in fase di disintossicazione perché, be’, non sarebbe mai stato accettato in un gruppo, visto che comunque beveva e fumava le canne.
Il motivo per cui Bourdain si definiva un “caso MOLTO inusuale” è che aveva continuato a bere alcol, dopo avere combattuto l’eroina con il metadone, la cocaina e una grande forza di volontà. Tuttavia, dopo aver analizzato la ricerca citata in questo articolo, appare chiaro che in realtà il suo non fosse un caso così isolato. Sembra che ci sia una spaccatura a metà tra chi sceglie l’astinenza totale e si considera in fase di disintossicazione sempre, e chi invece trova un compromesso senza rinunciare completamente a ogni tipo di sostanza.
Al giorno d’oggi, però, i media tendono ad avere un approccio sensazionalista sulla dipendenza, parlando di casi estremi e presentando la totale astinenza come unica via possibile per la guarigione ed è per questo che probabilmente il caso di Bourdain ci sembra molto inusuale.
Anthony Bourdain è stato un eroe per tante persone, per svariati motivi. Per me, lui era l’anti-eroe. Come lui, ho avuto dei trascorsi con l’eroina quando avevo poco più di 20 anni. A 23 anni ero già in cura e dopo qualche anno di astinenza totale, ho deciso che non faceva per me. Tre o quattro anni fa, ero in un bar svedese a Chicago e insieme alla mia compagna abbiamo bevuto del glögg—un vino caldo e speziato che ho trovato alquanto disgustoso. Ancora oggi ridiamo della mia ricaduta con il glögg, eppure quella è stata la fine dell’astinenza per me. Oggi mi gusto un gin tonic a cena e so che ci sono ancora tantissime cose che devo imparare.
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Questo articolo è apparso originariamente su Tonic US