“Nel tempo la gente ha capito che vedere l’etichetta sul collo con la scritta Triple A era sinonimo di naturalità e buone pratiche agricole.”
Qualche mese fa sono stato invitato in una villa del 1700 appena fuori Bologna tutta addobbata a festa. E a buona ragione, visto che la festa in questione era per i 20 anni di Triple A, il primo vero distributore di vino naturale in Italia.
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Al mio arrivo, circondato da persone che bevevano e chiacchieravano incredibilmente distesi e felici, mi hanno piazzato in mano un bicchiere di vino rosso e del pane come benvenuto. E ho proprio pensato che tutta l’essenza di Triple A fosse racchiusa in quel gesto: pane e vino; convivialità e amore per le cose semplici, per la terra.
Il resto della giornata è stato speso tra un banchetto di vino e un altro, passeggiata inframmezzata da pezzi di salami e formaggi di piccoli produttori, una pastasciutta con una pasta da sballo e la visione di un signore che braciava una carne bellissima in mezzo al grande giardino. È finita, naturalmente, che ero bello brillo e assai felice.
Ma ora un passo indietro, perché la storia che voglio raccontarvi non è tanto quella di me spappolato in un giardino bolognese, ma di questo mondo che, da anni, è un simbolo di cose fatte per bene.
Forse avrete visto qualche volta delle bottiglie in enoteche con una piccola etichetta ovale che recita “TRIPLE A” sul collo. Forse avrete pensato che si leggesse all’inglese, traipl ei (giuro che pensavo si leggesse così).
Le tre “a” di triple a, però, sono un acronimo tutto italiano: Agricoltori, Artigiani, Artisti.
Iniziata da Luca Gargano, patron-guru di Velier, distributore molto incentrato su cose buone e soprattutto persona che ha fatto conoscere il rum di livello al grande pubblico (sarebbe più giusto dire che l’ha educato), questa nuova distribuzione di vino doveva essere un filo coerente con la sua persona, le persone che ha conosciuto nel suo percorso decennale e la sua filosofia di fare sì affari, ma con roba di grande qualità.
“Devi metterti nei panni di un distributore di vino di 20 anni fa,” mi racconta Margaux Gargano, che gestisce il catalogo Triple A. “Mio padre, che all’epoca distribuiva vini convenzionali, a un certo punto si è reso conto che usciva affaticato dalle degustazioni e tutto gli risultava piatto. Parlando, ricercando, ha capito che il motivo erano i lieviti selezionati, che toglievano carattere al vino. Così, di colpo, ha cancellato tutto il catalogo vini e ha cominciato a interessarsi di naturalità biodinamica nel vino.”
Provate però davvero a immaginarvelo: affari da un sacco di soldi buttati al vento per inseguire un’idea. Non è azzardato dire che quello che successe 20 anni fa fu una vera e propria rivoluzione; parlare non di cantine ma di territorio e di persone, di terra e di diversità.
“Se ti dovessi dire cos’è Triple A, ti direi che non è solo un catalogo,” continua Margaux Gargano. “Le persone che entrano —che vengono selezionate— poi fanno come parte di una famiglia. In effetti chi abbraccia questo tipo di agricoltura naturale ha un po’ le idee degli altri, condivide dei valori come una grande famiglia.”
Ed era una grande famiglia che ho visto, spalmata su tre piani di villa: gente felice di fare il vino in questo modo, di vivere la terra a tutto tondo in questo modo.
Uno di questi produttori, Francesco Brezza, mi ha raccontato cosa significa per lui fare vino: “Sono nato nella mia azienda, letteralmente. Con mio padre che già trattava la terra in maniera sana, circondato da mucche al pascolo.” Tra l’altro la sua Tenuta Migliavacca è stata la prima in Italia ad avere il certificato Demeter, il più importante organismo che certifica l’agricoltura biodinamica, nel 1965. “Noi siamo non solo completamente autosufficienti, ma lavoriamo per la terra, per la sua salubrità. A me non interessa molto andare ai convegni e alle fiere, perché ho delle mucche da sfamare, cose da raccogliere, una terra da rispettare.”
“Ho sempre creduto nei rapporti veri, non è mai stato business fine a se stesso. E loro sono stati i primi a credere in me, il mio primo vero rapporto esterno con il mondo del vino.”
A proposito di etichette, chiedo a Margaux Gargano perché non hanno mai deciso di fare una vera certificazione che attesti la buona produzione di quei vini. “Per noi è iniziata per differenziarsi tra gli scaffali: certo, dovevi fidarti, ma nel tempo la gente ha capito che vedere l’etichetta sul collo con la scritta Triple A era sinonimo di naturalità e buone pratiche agricole. Non volevamo addentrarci in pratiche legali e amministrative complessissime, non era quello il concetto.” E continua: “Ad ogni modo ci sono dei criteri e tutte le cantine vengono ispezionate e devono rispettare criteri di biodinamica e buone pratiche agricole.”
Oggi, a quanto mi dice, il 50% dei produttori sono italiani, il 30% francesi e il 20% vengono dal resto del mondo. “Luca Gargano non ha solo deciso che la strada migliore del vino fosse quella naturale, ma che anche territori non famosi per il vino dovessero essere considerati. Per questo fu anche tra i primi a parlare di vini argentini, sudamericani e sudafricani.” Per dovere di cronaca non c’è solo la Francia, si trovano anche produttori austriaci, per esempio.
Tra i produttori italiani, un nome di punta è sicuramente quello di Arianna Occhipinti, molto conosciuta e apprezzata nel mondo dei vini naturali sia in Italia sia all’estero. E ci ho fatto due chiacchiere. “Sono affezionatissima a Triple A,” mi ha raccontato. “Luca Gargano venne nel 2004 quando i miei primi vini erano ancora in affinamento, assaggiò direttamente dalla produzione e mi disse che lo avrebbe voluto non appena fosse stato pronto. È davvero come essere in una famiglia.”
E riguardo alla fiducia che è necessaria instaurare con distributori e persone, mi ha anche detto: “Ho sempre creduto nei rapporti veri, non è mai stato business fine a se stesso. E loro sono stati i primi a credere in me, il mio primo vero rapporto esterno con il mondo del vino. Oggi vivo il mio vino in maniera personale —cioè come rapporto con la mia terra, con introspezione— e lo mescolo con l’esterno, con le cose che mi fanno aprire. Persone, scambi, incontri: questo è come esprimo il vino nelle mie bottiglie.”
Agricoltori, artigiani, artisti. Può sembrare una manovra di marketing, ma non lo è. Questa gente semina la terra, la lavora con le proprie mani e tira fuori sempre bottiglie che sono espressione di sé stesse e sé stessi.
Sono artisti più puri di molti altri nelle gallerie d’arte.
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