Salute

Anche gli uomini soffrono di disturbi alimentari, ma è più difficile che ne parlino

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Se l’anoressia è una spinta continua alla magrezza, la vigoressia è una spinta alla muscolosità—che spinge i ragazzi a dire cose come “mi sento flaccido, poco definito” allo stesso modo in cui le donne dicono “mi sento grassa”

Qualche settimana fa ho letto uno dei migliori articoli sulla cultura della dieta che mi fosse mai capitato di leggere. L’autore è l’attore americano Matthew McGorry, il cui ruolo più famoso è quello della guardia carceraria in Orange Is The New Black.

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Nel suo pezzo pubblicato su Medium, McGorry racconta del suo passato di disturbi alimentari, della grassofobia che caratterizza Hollywood, delle ricadute anche sugli attori maschi e di come ora che ha preso peso gli venga detto che non può più interpretare il protagonista nei film. “Per molto tempo pensavo che ‘paffuto’ fosse la cosa peggiore che potessi essere,” ha scritto. “[Pensavo che] gli uomini dovessero essere duri, forti e rudi.”

L’esperienza di McGorry dimostra come l’idea che i disturbi alimentari colpiscano esclusivamente le donne sia sbagliata. “Solo il 5-10 percento dei malati di anoressia e il 10 percento dei malati di bulimia in Italia sono uomini,” mi ha detto Viviana Valtucci, dietista con approccio non prescrittivo. “Però i generi si equivalgono nel binge eating [il disturbo da alimentazione incontrollata, NdR]. E poi c’è la vigoressia, l’ossessione per un corpo muscoloso, che non è ancora una malattia classificata ma colpisce soprattutto gli uomini.”

Se l’anoressia è una spinta alla magrezza, continua, la vigoressia è una spinta alla muscolosità—che spinge i ragazzi a dire cose come “mi sento flaccido, poco definito” allo stesso modo in cui le donne dicono “mi sento grassa”: quasi come se fosse uno stato d’animo, ovviamente negativo. Non sentirsi abbastanza muscolosi o non sentirsi abbastanza magri sono due modi diversi di manifestare lo stesso senso di inadeguatezza rispetto a standard imposti dalla società.

L’ossessione per il fitness è una parte imprescindibile della cultura della dieta. Ogni volta che affronto questi argomenti mi arriva una caterva di commenti del genere: “Sì ma la salute, sì ma fare sport fa bene, sì ma che avete contro le palestre.” Io non ho niente contro le palestre: pratico attività sportiva abbastanza regolarmente e sono assolutamente convinta che abbia numerosi benefici mentali, oltre che fisici.

Spesso però dietro all’obiettivo salutista—che comunque non ha un valore morale e non può diventare la scusa per giudicare, offendere, discriminare—se ne nasconde un altro, essenzialmente estetico: raggiungere una certa percentuale di grasso o una certa forma del corpo, in linea con quello che la società ci presenta come più attraente.

Spesso questi ideali sono raggiungibili solo attraverso regimi (alcuni dei quali, come la dieta paleo o quella chetogenica, vanno molto di moda proprio tra gli uomini e sono visti come più “virili”) insostenibili nel lungo periodo, o magari vengono accompagnati dall’uso di sostanze anabolizzanti e altre abitudini dannose, che possono creare molti più danni alla salute di addominali poco definiti o spalle strette.

Dovrebbe suonare un campanello di allarme se il mio impegno nel cambiare il mio corpo comincia a prendere tutto il mio tempo, inizio a trascurare le relazioni, a diventare compulsivo

Giuseppe Magistrale del Centro Pugliese per i Disturbi Alimentari mi racconta della sua personale esperienza. “La mascolinità tossica crea ideali corporei irraggiungibili,” dice, “lo so perché io stesso ho respirato quell’atmosfera.”

Magistrale, spiega, praticava body building e power lifting, per lui “un mondo che mi dava una grande sensazione di forza e riparo, in cui dividevo tutto tra corpo giusto vs corpo sbagliato. Avevamo l’ossessione del peso e delle percentuali di grasso. Ricordo che su un forum di fitness un ragazzo aveva scritto ‘Non so se ci voglio provare con quella ragazza finché il mio braccio non ha raggiunto 44 cm’. [Io e altri] avevamo sviluppato un adattamento patologico in cui tutto ruotava intorno al corpo.”

Ma come si fa a capire quando si è a rischio? “Mi dovrebbe suonare un campanello di allarme se il mio impegno nel cambiare il mio corpo comincia a prendere tutto il mio tempo, inizio a trascurare le relazioni, a diventare compulsivo, “spiega Magistrale. “Il problema non è il fitness, il problema è adottare il fitness come soluzione a tutti i problemi. Per provare a cacciare via una vergogna per il mio corpo che alla fine mi rimarrà sempre.”

C’è inoltre un’altra questione: gli uomini fanno più fatica a chiedere aiuto. “Di solito se si rivolgono a uno psicoterapeuta lo fanno per altri problemi e quello dell’ossessione per la forma fisica emerge in seguito,” riferisce Magistrale. La circostanza è confermata anche da Valtucci. “Ora le donne hanno più modelli a cui rifarsi nel percorso della body acceptance,” spiega, “gli uomini invece no. E finiscono per soffrire silenziosamente. Le richieste d’aiuto spesso arrivano da madri e fidanzate preoccupate.”

Se fino a qualche anno fa il mio feed era pieno di #fitspo, contenuti che mi ricordavano continuamente di bruciare le calorie di quel biscotto che avevo appena mangiato soffrendo in palestra tra atroci tormenti, ora l’ho riempito di un’altra ispirazione: guarigione dai disturbi alimentari, antigrassofobia, femminismo intersezionale. A produrre quei contenuti sono quasi tutte donne.

Quando parliamo di battaglia contro la cultura della dieta parliamo di un sistema di privilegi e discriminazioni da smantellare

Tra i pochissimi uomini c’è Riccardo Onorato, alias Guy Overboard. Nato nel 2012 come luogo dove parlare di moda al maschile, il suo blog gli ha permesso di conoscere blogger donne attiviste nel campo della body positivity e di rendersi conto che vivevano esperienze simili alla sua, tra cui la difficoltà a trovare le taglie. A quel punto ha deciso di parlarne, per spingere altri ragazzi ad aprirsi su argomenti come il rapporto con il cibo e con il proprio corpo e a non sopprimere le proprie emozioni. “Credo che sia importante far sentire la mia voce di uomo per dimostrare che si può essere vulnerabili, e avere dubbi sul proprio corpo o su stessi, restando comunque uomini,” mi dice.

Secondo Onorato l’orientamento sessuale ha un peso in questo rapporto problematico con la virilità. “Tanti maschi gay hanno maggiore difficoltà a rinunciare allo status che riescono a raggiungere grazie al cambiamento del loro aspetto fisico e incarnando le norme culturali della mascolinità, perché viviamo in un mondo ancora troppo omofobo per permettergli di sentirsi uomini in maniera libera ma sicura,” prosegue. E questo non fa che aumentare negli uomini gay i disturbi dell’immagine corporea e i comportamenti alimentari disordinati. Secondo la National Eating Disorder Association statunitense, il 42 percento degli uomini con DCA si identifica come gay.

I disturbi alimentari sono una realtà che ho vissuto in prima persona e non metterei mai in dubbio che sia il corpo della donna quello oppresso dalla nostra società: il corpo oggettivizzato e iper-sessualizzato, il corpo la cui bellezza—e magrezza, e giovinezza, e desiderabilità per lo sguardo maschile—sembra la nostra unica risorsa, e a cui viene chiesto continuamente di cambiare, migliorare, diventare sempre più piccolo.

Però quella contro la diet culture è una battaglia fondamentale per tutti, a prescindere dal genere. “Quando parliamo di battaglia contro la cultura della dieta parliamo di un sistema di privilegi e discriminazioni da smantellare,” conclude Riccardo Onorato. “I motivi di salute e forma fisica che gli uomini si raccontano sono comunque figli di quell’insieme di credenze che equiparano una certa forma corporea a un valore, che elevano alcuni corpi rispetto ad altri e che opprimono coloro che non rispettano questi ideali costruiti culturalmente.”

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