Cultura

10 domande che hai sempre voluto fare a una donna centenaria

Alfia Distefano. Left: black and white picture of young Alfia reading a book. Right: Alfia and her 100-year birthday cake.

Secondo i più recenti dati Istat, l’Italia, insieme alla Francia, è uno dei paesi con la più alta percentuale di centenari in Europa.

Nel 2019 erano quasi 15mila le persone residenti in Italia con cento o più anni, l’84 percento delle quali donne. Stiamo parlando di persone che sono state testimoni di un secolo in cui cambiamenti e innovazioni sono stati tra i più veloci di sempre, e che per nipoti e pronipoti sembrano già preistoria. Voglio dire: avete mai provato a immaginare un modo senza frigorifero? 

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Ho scomodato mia nonna: Alfia Distefano, classe 1921, siciliana e centenaria da poco più di un mese, ci ha raccontato quali sono stati questi cambiamenti e com’è la vita quando superi il secolo.

VICE: Partiamo da qui, avresti mai pensato di vivere così tanto?
Alfia:
Assolutamente no. Non ho mai dato la vita per scontata, certo ho sempre cercato di mangiare il giusto e muovermi tanto, ma credo di aver realizzato che ce l’avevo davvero fatta solo mentre soffiavo le candeline. Ci vuole anche un po’ di fortuna. 

Quali sono stati secondo te il decennio migliore e quello peggiore degli ultimi cento anni?
Il peggiore è stato sicuramente il periodo della seconda guerra mondiale. I miei fratelli erano partiti per il fronte, e io ero rimasta sola con mia madre e mio padre—che era cieco, quindi non fu mandato. Decidemmo di spostarci in campagna perché era più difficile che sganciassero bombe in quelle zone. Più difficile, ma non impossibile.

In particolare ricordo che una volta bombardarono anche le campagne. Fummo costretti a scappare e ci nascondemmo insieme ad altre persone dentro una grotta. Fu terribile, molti non riuscirono a mettersi in salvo e morirono mentre cercavano riparo. Ricordo anche la felicità di quando arrivarono gli americani a liberarci, mentre rimanevamo in pensiero per i miei fratelli che non erano ancora tornati. 

Di decenni belli, invece, ne ho vissuti tanti. Tutto sommato, sento di aver avuto una vita bella e piena—i momenti felici possono esserci sempre, anche nei periodi che ci sembrano più brutti. 

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Alfia con la famiglia. Foto per sua gentile concessione.

Quante persone a cui hai voluto bene sono morte? 
Sarebbe più semplice dire chi è rimasto.

Ogni singola perdita che ho vissuto ha avuto un peso diverso, quella che ha fatto più male è stata la morte di mio figlio. Morì quando aveva cinque anni, fu davvero straziante, pensavo davvero che la mia vita fosse finita lì con lui. Ho capito che non era così quando ho messo al mondo il mio secondo figlio. C’era questa nuova vita davanti a me, e meritava tutto l’amore che riuscivo a dare. 

Anche in questo senso penso di essere stata sempre fortunata, tutte le volte in cui ho perso qualcuno arrivava una nuova vita che mi ricordava che dovevo farmi forza. Successe anche quando morì mio marito nel 1992. Il mio primo nipote aveva appena compiuto un anno: non era ancora arrivato il momento di buttarmi giù.

Hai paura della morte?
L’ho avuta in passato, continuo ad averla nei confronti delle persone a cui voglio bene, ma quando sei così vecchia la morte impari a vederla come qualcosa di giusto ed inevitabile. La morte spaventa davvero solo quando è prematura.

Quanto, secondo te, è cambiato il mondo negli ultimi cento anni?
È cambiato talmente tanto che in realtà neanche saprei quantificarlo. Forse però ne capisco di più il valore perché so come si stava prima. Quando ero giovane non c’era niente di quello che esiste adesso, e non parlo solo di cose come il computer o i telefonini, mi riferisco a cose ben più banali come il frigorifero; il cibo veniva conservato in fondo ai pozzi o nelle cantine, non avevamo l’acqua corrente.

Vedere il mondo cambiare così tanto è stato bellissimo, oggi ci sono tecnologie talmente avanzate che non riesco a capire neanche come funzionino, però se penso da dove siamo partiti, il fatto che riesca a vedere sul cellulare il viso di mio nipote che abita dall’altra parte d’Italia mi riempie il cuore di gioia.

Com’è cambiata, secondo te, la condizione della donna?
Da piccola mio padre diceva spesso “tu saresti dovuta essere un maschio” perché pensava che la mia intelligenza fosse “sprecata” su una donna, le cui uniche preoccupazioni sarebbero state con molta probabilità occuparsi della casa e dei figli. Non era pensabile in generale, e soprattutto in certi contesti, che una donna potesse aspirare a qualcosa di diverso. 

Ora vedo mia nipote, può fare tutto quello che vuole, decidere da sola chi vuole essere, ed è bellissimo e giusto così, anche se ammetto che a me farebbe un po’ paura. 

Secondo un po’ di ricerche oggi i partner si trovano maggiormente con le app di incontri, ma quando eri giovane tu come conoscevate altre persone?
Eh, ai miei tempi era molto diverso. Innanzitutto non si usciva così tanto, stavamo sempre in casa. Le occasioni per uscire erano la messa della domenica, le feste di paese o il teatro, e si era sempre accompagnati almeno da un componente della  famiglia

Se un ragazzo ti notava, si informava su chi eri e a quel punto mandava un parente a casa tua, oppure chiedeva di intercedere al paraninfo, che era un vero e proprio intermediario. Un uomo che sotto compenso andava a casa della famiglia della ragazza che gli piaceva e cercava di organizzare il fidanzamento. 

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Il matrimonio di Alfia. Foto per sua gentile concessione.

Se la famiglia approvava il pretendente, di solito chiedeva il benestare alla ragazza. Se anche lei diceva di sì, si ufficializzava il fidanzamento e il ragazzo poteva andare a trovarla, ma sempre in presenza di tutta la famiglia e mai seduti vicini. Praticamente non conoscevi davvero il tuo fidanzato finché non te lo sposavi. Anche io ammetto di aver davvero conosciuto mio marito solo dopo averlo sposato. Prima sapevo solo che fosse un bel ragazzo di buona famiglia e molto dedito al lavoro.

Non sapevamo neanche cosa fosse il sesso. Gli uomini lo sapevano perché gli veniva spiegato, noi donne spesso arrivavamo al matrimonio ignare di cosa sarebbe successo. Diciamo che imparavi man mano.

Come passi il tempo oggi? 
Da un paio d’anni non riesco più a fare tante cose, mi stanco facilmente e sono un po’ come una foglia in autunno che può cadere da un momento all’altro. Ogni tanto succede, ma se smettessi di fare le cose che mi rendono felice sono sicura che morirei. 

Ad esempio mi piace molto curare il giardino, una cosa che i miei parenti apprensivi considerano pericolosa. Curo i fiori, prendo il sole e chiacchiero con i vicini che passano sempre a salutarmi. 

Nel mio quartiere mi vogliono tutti bene, infatti mi spiace che a causa della pandemia si sia persa la possibilità di chiacchierare per bene. Non sento molto, e comprendere le parole mantenendo le distanze è più difficile.

Speri che ci sia vita dopo la morte?
Sono una donna di fede, quindi sì.  In cuor mio sono certa che ci sia qualcosa dopo la morte, che potrò riabbracciare tutte le persone che ho perso e allo stesso tempo gioire per i traguardi di chi resta. Non ho mai pensato potesse esserci niente di diverso da questo.

Quindi, secondo te quanto dovrebbe durare in media la vita di una persona?
Sicuramente non quanto la mia, so di essere molto fortunata perché nonostante l’età sono ancora in grado di ragionare—ma è anche un po’ una tortura.

Ho la voglia di fare mille cose e il corpo che non riesce a starmi dietro, in più spesso mi accorgo troppo tardi di aver fatto troppo e i dolori la sera sono tanti. In più, quando smetti di essere autosufficiente dipendi in tutto e per tutto dagli altri. Senza mio figlio e mia nuora sarei morta tanto tempo fa, lo dico sempre.

Diciamo che considerando come ci sono arrivata io, 95 anni mi sembrano ragionevoli, ma dipende da persona a persona.

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