“La mancanza di un cocktail bar mi ha fatto venir voglia di aprirne uno. Ma i costi di gestione sono paragonabili a quelli di New York e Londra.”
Venezia non è mai stata nel radar degli amanti del bere miscelato: sì, è la patria dello Spritz e del Bellini, ma abbiamo sempre pensato che fosse tutto lì. In una città calpestata — dati pre-Covid — da 12 milioni e spicci di persone l’anno, non ci sono praticamente dei cocktail bar “normali”, come ce ne sono nelle altri grandi città d’Italia.
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Lo scorso dicembre ci ho fatto ancora più caso quando sono arrivato in città per un evento impensabile fino a qualche anno fa: la Venice Cocktail Week. Io ho avuto la fortuna di essere stato invitato — il che ha significato passare due interi giorni a bere dal pomeriggio alla notte, nei bar o nelle grandi sale degli alberghi di lusso (e usare la mattina per pregare che la testa non mi scoppiasse in vaporetto.)
“Oggi abbiamo l’80% dei turisti e il 20% di veneziani durante la settimana, mentre nel weekend si inverte”
Il mio tour alcolico, dopo 5 ore di treno, è iniziato direttamente dall’hotel in cui alloggiavo, il Molino Stucky Venice, con un paio di drink: un Negroni rivisitato con la grappa al posto del gin -niente male- e un classico Manhattan che ci sta sempre bene, ma che si è fatto sentire forte e chiaro. Poi, carico, sono partito in esplorazione. Non avevo grandi idee di che tipo di cocktail bar avrei trovato a Venezia, famosa per i suoi baretti, i bacari, in cui il costo di uno Spritz rasenta il ridicolo (circa 2 euro).
“Venezia è una città statica, che vive del passato, ed è anche il suo bello,” mi dice Paola Mencarelli, organizzatrice della Venice Coctail Week (e della Florence Cocktail Week). “Di miscelazione si è iniziato a parlare da poco, fino ad ora ci si atteneva ai grandi classici nati e serviti qui, oltre ai tradizionali bacari. Considera che quasi mai era stata fatta una guest con bartender di altre città o paesi. Vista la costante presenza di un turismo di altissima fascia non hanno mai sentito l’esigenza di aprire dei cocktail bar ‘normali’.”
Bloody Mary veneziano
“Uno dei più grandi problemi qui a Venezia è che gli hotel ti mettono in soggezione, se non sei abituato”
Io intanto vago nella nebbia più fitta che abbia mai visto e mi dirigo verso l’hotel St. Regis. Nonostante la giacca bianca dei bartender, questo è uno dei luoghi di miscelazione più interessanti di Venezia. E lo si capisce proprio dal loro Bloody Mary.
“Ogni Bloody Mary di ogni St. Regis del mondo ha delle particolarità del posto in cui ci si trova [il Red Snapper, come si chiamava ai tempi per non offendere la sensibilità dei clienti, è stato inventato in quello di New York, N.d.R.],” mi racconta il bar manager Facundo Gallegos, che si è fatto le ossa al Connaught Bar, oggi miglior bar al mondo. “Per il nostro, che si chiama Santa Maria in onore alla chiesa di Santa Maria che sta di fronte l’hotel, ho pensato di inserire l’uva, simbolo del Veneto, in forma di grappa e di verjus, per dare l’acidità che sarebbe del limone. E poi abbiamo chiarificato il succo di pomodoro e infuso la vodka con il rafano, che si trova spesso nei Bloody Mary, ma che è anche un ingrediente veneto.”
E così mi bevo il loro Santa Maria e funziona, eccome se funziona. Il pomodoro non è pesante come i normali succhi, tira fuori note acerbe interessantissime e ne fa un cocktail su cui ci si deve fermare a pensare un po’. Il che è sempre un bene. Il St Regis è anche uno di quei bar d’hotel dove non ti senti in soggezione: “Con la struttura moderna e un giardino riusciamo a essere più easy.”
Fuori dagli hotel
“Uno dei problemi nell’aprire un locale a Venezia è che gli affitti di un locale sono decisamente importanti”
Di cocktail bar che non stiano in un hotel, se ne possono contare solo due: Il Mercante e il Time Social Club. “Vivo a Venezia da 13 anni e ho visto l’evoluzione nel bere di questa città,” mi dice Alessandro Zampieri del Mercante. “Siamo stati i primi a servire un Moscow Mule come si deve e avevamo in bottigliera gin di livello.”
Il Mercante è aperto dal 2016. “Oggi abbiamo l’80% dei turisti e il 20% di veneziani durante la settimana, mentre nel weekend si inverte. Più che i drink, ci interessava riportare l’ospitalità a Venezia.”
L’ultimo bar della lista nella prima giornata è stato il Time Social Bar. Qui, abbastanza provato, mi sono goduto un drink a base di rye whisky, liquore alle erbe, nocino, barolo chinato e gusci di castagne niente male: un Boulevardier dalle note affumicate. Una delle domande che ho fatto è stata se la vicinanza con bacari a buon mercato li abbia costretti ad abbassare i costi: “Tanti non pensano al drink cost,” mi dice Alessandro Beggio. “Quindi no, non abbiamo abbassato i prezzi, sono prezzi normali, 8 euro circa, ma ci siamo ingegnati su come poter risparmiare. Ad esempio ci facciamo la ginger beer in casa.”
Uno dei problemi nell’aprire un locale a Venezia è che gli affitti di un locale sono decisamente importanti. È più facile lavorare in un posto già proprietà di qualcuno, che prendersene uno. E se vuoi fare qualcosa di più complicato di uno spritz, si ricade sempre lì, nei bar degli hotel di lusso. Mi dice ancora Alessandro Beggio: “La mancanza di un cocktail bar mi ha fatto venir voglia di aprirne uno. Ma i costi di gestione sono paragonabili in proporzione a quelli di New York e Londra.”
La giornata era finita, ora mi aspettava un’interminabile camminata da sbronzo e un vaporetto per tornare a dormire. Forse è anche questo uno dei motivi per cui la gente beve in hotel. I canali di Venezia sono affascinanti, ma a volte un taxi lo è di più.
“La gente chiede perlopiù spritz. Forse perché costa meno degli altri: 12,50 euro”
Il secondo giorno, intenso, è iniziato in uno degli hotel più importanti della città, il Baglioni. Qui la miscelazione prende le pieghe della vecchia scuola. Lello Tedesco è un capo-barman AIBES, l’associazione istituzionale dei bartender italiani. “Oggi i ragazzi si credono arrivati dopo un paio d’anni,” mi racconta al bancone, mentre mi serve un Manhattan come lo faceva a Ray Charles a New York. “Ma non sanno cosa voglia dire fare ospitalità: mi sta bene che si creino drink nuovi, ma penso che la giacca e un servizio a tutto tondo sia necessario, come è necessario saper fare alla perfezione i drink classici.”
I caffè veneziani
La tappa successiva è stata un altro unicum che non si trova solo a Venezia, ma a Venezia si trova di più: i caffè. Quegli eleganti caffè in piazza San Marco spesso finiti alla ribalta per gli scontrini troppo alti e che però sono oggi la perfetta sintesi tra cocktail bar e servizio a cinque stelle.
In particolare il Grancaffè Quadri della famiglia Alajmo, che in Veneto ha costruito un piccolo e impeccabile impero veneto della gastronomia. Qui Lorenzo Rossetti mi ha servito un drink al caffè con tanto di panna assolutamente da orgasmo. E perfetto per riprendermi. “Anche qui, nonostante proponiamo qualche drink un po’ più elaborato, la gente chiede perlopiù spritz. Forse perché è quello che vogliono o forse perché costa un po’ meno degli altri: 12,50 euro,” mi dice Lorenzo Rossetti.
“Facciamo anche molti martini cocktail, ma è difficile che la gente ci ordini un drink dalla lista.” Lorenzo oggi lavora da Amo, sempre del gruppo Alajmo, che possiamo considerare un ibrido tra un cocktail bar e un bistrot incastonato in un palazzo storico diventato galleria commerciale. “Da Amo riusciamo a cambiare spesso la drink list e a sperimentare. E le persone lo capiscono meglio rispetto a un luogo storico come il Quadri.” Insomma, c’è speranza.
Erbe di laguna e Martini sempre in hotel
Le ultime due tappe del tour sono l’Experimental Cocktail Club e il The Bar dell’hotel Aman. L’Experimental è parte dell’hotel Palazzo Experimental, ma ha una sua entrata separata. “Uno dei più grandi problemi qui a Venezia è che gli hotel ti mettono in soggezione, se non sei abituato,” mi dice il barmanager Lorenzo Di Cola. “Venezia ha sempre avuto un’attitudine molto agée. Dopo la pandemia, però, e grazie a posti come Il Mercante, la gente ha iniziato a interessarsi a una miscelazione diversa, più curata.”
Venezia è piccola e il suo livello di crescita è limitato: banalmente non puoi aggiungere un’isolotto e creare un nuovo quartiere. Questo, unito alle orde di turisti superiore alla capacità della città, ha fatto in modo che i bacari a buon mercato e i bar d’hotel fossero ben distanti tra loro. E a quasi nessuno interessava investire nella via di mezzo.
Il Martini costa 35 euro. Faccio anche dei mini martini alla metà del prezzo.”
Altra tappa relativamente nuova quella dell’Hotel Excess Venice, un boutique hotel, non distante dall’Experimental, aperto nel 2019, e che ha deciso di trasformare il suo giardino in un posto anche per amanti per i miscelati e un’offerta aperitivo dedicata anche a chi non risiede nell’albergo. La carta fatta ad hoc è di Nonsolococktails —Mattia Pastori e Amadu Bah— che hanno pensato a cocktail su misura per il piccolo ma curato bar. Provo l’Excess Spritz, trasparente con sciroppo di lavanda: profumato, una boccata d’aria fresca prima dell’ultima tappa.
Sono all’Hotel Aman, 5 stelle nel Palazzo Papadopoli del 1500. All’ultimo piano ci vive ancora il conte: insomma, non proprio un posto dove andare per bere un drink al volo. Ma il bar manager Antonio Ferrara le sta provando tutte per renderlo accessibile anche a una clientela ‘normale’. “Qui vogliamo che ti senti a casa,” mi dice. “La prima cosa che ho fatto è stata di togliere la divisa ingessata. E poi abbiamo messo in carta cocktail rivisitati e sperimentali, anche grazie all’aiuto dello chef tristellato Norbert Niederkofler, che ha creato la filosofia cook the laguna — simile a quella che attua nel suo ristorante St. Hubertus, cook the mountain. Quindi stiamo iniziando a usare ingredienti come finocchietto selvatico di laguna e salicornia. In questo modo possiamo servire sia i grandi classici, sia tirare fuori assi dalla manica.”
Nel frattempo io mi godo un paio di martini cocktail in uno dei bar più lussuosi che abbia mai visto a un prezzo decisamente di lusso, 35 euro. “Lo so benissimo che il costo è molto alto,” mi dice Antonio. “Ma la maggior parte della clientela chiede questo. Cerco di aggiustarlo facendo per esempio dei mini martini alla metà del prezzo.”
Sono le 23 e la città è disabitata. Passeggiare barcollando in piazza San Marco senza vedere nessuno in giro, immerso nella nebbia, mi fa sentire in un romanzo dell’800. Venezia ha delle regole tutte sue, legate a tradizioni difficili da scardinare e prezzi e orari che non permettono facilmente di fare imprenditoria.
Però è rincuorante vedere che, se si vuole, non c’è solo Bellini da bere.
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