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State calmi, è solo doppiaggio

A due giorni dall’uscita di Django Unchained, esce su Repubblica un pezzo dal titolo “provocatorio”, in cui si sostiene che al pubblico piacciano più i film in originale, a cui buona parte dei lettori realmente interessati al tema ha risposto con un ironico “Ma va?”, mentre il pubblico non interessato ha continuato a non interessarsene. Nei giorni a seguire non c’è stato un vero e proprio dibattito, a parte in qualche raro caso, più una conferma di una posizione che molti sentono di difendere con la forza e la convinzione tignosa di questi tempi. Per uscire dal circolo vizioso del raccontarcela fra di noi, l’unico modo era intervistare qualcuno che del doppiaggio ci vive: Carlo Valli è la voce italiana di Robin Williams, nonché di decine di altri attori, è stato direttore del doppiaggio dei film che trovate a questo link (sono troppi, non posso elencarveli), in particolare si è occupato di quasi tutte le uscite Pixar degli ultimi anni.

Abbiamo parlato del processo di doppiaggio di un film, e di cosa succederebbe a una persona che ne ha fatto una carriera se tutto questo sparisse. Sapendo che qualcuno considera chi fa il suo lavoro come un male assoluto, il deturpamento di un’arte, sarebbe stato legittimo da parte sua avere posizioni più incattivite, invece è sembrato poco preoccupato e soprattutto molto più tranquillo di chiunque abbia parlato del tema. Alla fine, è solo doppiaggio.

(E sì, ero a tanto così da chiedergli di farmi la voce di Mrs. Doubtfire.)

VICE: Le chiedo subito se ha letto l’articolo uscito su Repubblica, che è stato l’inizio della diatriba tra sostenitori della lingua originale e sostenitori del doppiaggio.
Carlo Valli: Sì, l’ho letto, e la notizia sarebbe che se in una sala proiettano un film in lingua originale, alcune persone lo vanno a vedere. Ogni cinque, sei mesi c’è sempre qualcuno che si sveglia e dice che il doppiaggio non va fatto. Ogni volta che c’è qualcuno che dice queste cose rispondo: fatelo, diamo per tre settimane al mese i film, tutti, in originale. Parlo principalmente del cinema americano, quello che gira di più, e bisogna capire che per gli studios americani è un business, non è un’arte, poi se il film è bello tanto meglio, ma l’intenzione è quella di incassare più dei costi di produzione, e se fosse distribuito solo in lingua originale incasserebbero molto meno. Per questo non lo faranno mai, parlano e basta. Per adesso non è possibile, almeno secondo me.

Chi decide di doppiare il film?
La decisione la prende il padrone del film. Lo manda nei vari Paesi e dice di doppiarlo. Ma è ovvio, altrimenti non incasserebbe niente! Certo che la riempi una sala con il film in originale, c’è sempre stato il pubblico che apprezza l’originale, ma riempie una sala sola, non 47. Ho sentito dei registi italiani che si lamentavano del doppiaggio, pur girando film in inglese e ridoppiandoli in italiano.

Un regista si può lamentare del doppiaggio perché mina l’integrità dell’opera.
È vero, ma per far fruire un film al maggior numero di persone, il film va doppiato, per lo meno in Italia. È vero che a volte il doppiaggio tradisce o sminuisce il tipo di opera, però molto più spesso aiuta e arricchisce il film. Parlo solo di cinema, non mi riferisco al doppiaggio televisivo, che ormai è un disastro.

Perché è un disastro?
I tempi sono più stretti, i costi all’osso, è un continuo ribasso dei prezzi. Se vuoi girare un film bene ti servono degli attori bravi, se vuoi fare un buon doppiaggio ti servono i doppiatori bravi. E in questo mestiere, come in tutti i mestieri, più sei bravo, più guadagni. Ora però ci sono sempre meno soldi, quindi si chiamano gli attori un po’ meno bravi, che chiedono meno soldi, si cerca di fare in fretta, si fanno meno anelli [si chiamano così le porzioni in cui è diviso il film per il doppiaggio, durano massimo un minuto].

Questo discorso vale sia per cinema che per TV?
È molto peggio in TV, i turni sono come una catena di montaggio. Quando si lavora molto in fretta per finire tutto il lavoro che bisogna fare è chiaro che non si fa bene. Solo che ora non si possono mantenere più i tempi di una volta e così ne soffre la qualità. I doppiatori italiani sono bravissimi, ma è chiaro che un film con Benigni doppiato in americano perde, così come certi telefilm, ad esempio M*A*S*H, che erano indoppiabili e bellissimi.

Quanto tempo ci vuole a doppiare un film, dalla consegna dell’originale fino all’arrivo nelle sale?
Dipende molto dal tipo di film, se è lungo, corto, poco parlato, molto parlato, se ha tanti personaggio o no. Un film facile in sala doppiaggio si fa anche in dieci giorni, due settimane per il doppiaggio. Prima c’è la traduzione, che prende circa una settimana. Poi la traduzione va adattata e ce ne voglio più o meno altre due. Per i film lunghi può volerci anche un mese in sala di doppiaggio. Poi c’è la sincronizzazione, perché per quanto bravi siamo, capita di attaccare un secondo dopo il movimento delle labbra. Poi c’è il missaggio, che dura almeno tre giorni. Alla fine, per tutto il processo, ci vogliono un paio di mesi.

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Carlo Valli legge alcune battute da

I film vengono consegnati prima dell’uscita nelle sale in America per il doppiaggio?
Delle volte sì, ora sempre di più. Una volta il film usciva in America e poi veniva da noi, che con calma lo doppiavamo. Adesso ci mandano le versioni preliminari, prima che escano in sala, che nell’ambito dell’animazione non è mai una sola, si arriva anche a tre versioni. È curioso anche il metodo che hanno loro di doppiare il cartone: loro prima registrano tutto il film con gli attori, e poi fanno l’animazione, servendosi dei movimenti delle labbra dell’attore che ha recitato la battuta. Fanno muovere la bocca con il sonoro sotto. Noi invece dobbiamo fare il contrario.

Di quanto sono cambiate le tempistiche?
Tieni conto che quando ho doppiato Good Morning Vietnam abbiamo fatto circa 60 turni di doppiaggio, un turno dura tre ore e se ne fanno tre al giorno. Oggi i turni sono sempre di tre ore tre al giorno, ma se ne fanno massimo 30, 40 quando va bene. Per Lincoln mi pare che non se ne siano fatti più di 35.

Questo cambiamento è dovuto anche al download illegale dei film, o è solo una questione di costi?
Mah, non saprei. Probabilmente anche per quello, perché gli americani hanno la tendenza a far uscire i film in contemporanea in tutto il mondo, quindi quando arriva va doppiato in fretta.

Ho visto che lei ha doppiato un personaggio in Fringe.
Sì, ho doppiato Walter Bishop.

Le persone che conosco che hanno visto Fringe scaricavano le puntate a un giorno dall’uscita in USA, e quando hanno di fronte una puntata doppiata sono infastiditi, anche paragonandolo al doppiaggio di serie passate. Forse le nuove generazioni di doppiatori sono più scarse delle precedenti?
No, be’, doppiatori bravi ci sono anche adesso, ma sono molto occupati, soprattutto nei film di animazione.

Noi ci siamo occupati di alcuni aspetti a nostro parere negativi dell’adattamento e del doppiaggio, come lo stravolgimento dei titoli. Ci siamo anche occupati della tendenza a tradurre determinate frasi con calchi dell’inglese, o comunque costruzioni inesistenti in italiano. Immaginando un futuro catastrofico dove il doppiaggio rimane solo nei film d’animazione, quanto lavoro perdereste? Insomma, non si vive di sola animazione. Be’, si escluderebbe tutto il pubblico in età prescolare.
Claudio Valli nel ruolo di Rex in uno spin-off di

Wikipedia dice che ha diretto il doppiaggio di molti film della Pixar, è vero?
Sì, li ho fatti quasi tutti.

E anche qui la situazione non cambia più di tanto, nonostante il doppiaggio sia fondamentale?
I film d’animazione hanno un incasso diverso, non solo quello del film ma di tutto il merchandising, i videogiochi e duemila altre strade da cui ricevono soldi. Esistono delle consuetudini quando si deve doppiare un film: si chiamano un adattatore e un direttore che si occupa di trovare gli attori in base al tipo di voci che servono per il film. Per i protagonisti si fanno vari provini che vengono mandati in America, da dove arriva l’ok finale. Ci mandano indicazioni via e-mail su chi va bene, chi no, cosa va lasciato e cosa rifatto.

Lei cosa ne pensa dei personaggi famosi che diventano doppiatori? Non abbassano ulteriormente la qualità?
Si chiamano talent. Se in America Dustin Hoffman doppia un pupazzo è un talent. Io stesso ho chiamato molti personaggi, che non erano attori né doppiatori, a fare doppiaggio, ad esempio Fabrizio Frizzi ha cominciato a fare Woody in Toy Story e continua a farlo. Con molti c’è un decadimento, ma ce lo impongono dall’alto, dall’ufficio commerciale. Poi credo che nessuno vada a vedere Lincoln perché l’ha doppiato Favino. Prima ce ne erano cinque o sei di talent bravi nel doppiaggio, ma un paio sono morti, la maggior parte sono personaggi che appaiono qualche volta in televisione e diventano talent.

Sta parlando di Pino Insegno? Non dica nulla su Pino Insegno.
[ride] No no, Pino è bravissimo. Non so, ci sono anche attori e attrici già famosi che comunque sono bravini, anche se non è il loro lavoro.

Non mi sembra molto preoccupato da questo alzarsi di scudi dei difensori della lingua originale.
Sono convinto che agli italiani non piacciano i sottotitoli e agli americani piaccia fare soldi. Si potrebbe fare una prova, anche solo per non sentire più queste notizie. Il film quando esce dall’America è fatto, lo doppiamo giusto per farlo capire agli italiani, ma il film è quello. Il doppiaggio non è una cosa che deve migliorare il film. Cerca di rendere le emozioni nella nostra lingua al meglio. Non è un passaggio lavorativo che deve passare alla storia.

Quindi secondo lei è banalmente una questione commerciale.
Sì, poi a volte diventa anche artistico, quando ci sono doppiatori molto bravi. Però è una cosa che serve per far capire il film a più gente. Tutto qui.
 

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