Il mercato delle recensioni false su internet è sempre più vasto

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Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!

L’altro giorno, dando un’occhiata alla classifica dei libri più venduti su Amazon, ho appreso con enorme felicità il fatto che “Succhi freschi di frutta e verdura” fosse al 14esimo posto, in forte ascesa e da 740 giorni in top 100.

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Benché non nutra alcun dubbio sul fatto che l’approfondimento sugli “ingredienti e le proprietà nutritive per migliorare la salute” possano avere un pubblico largo e coinvolto, ho voluto soffermarmi sui meccanismi che dovrebbero regolare l’ingresso, l’evoluzione e l’uscita dei libri dalle classifiche su siti di questo tipo. Approfondendo un caso recente.

Qualche settimana fa, per esempio, “Everything Bonsai” è entrato nella sezione giardinaggio della classifica dei libri di Amazon UK, scalandola rapidamente. Il testo era numericamente e qualitativamente ben recensito, malgrado i grossolani errori di grammatica e le intere sezioni prive di senso.

L’unico problema, però, è che “Everything Bonsai” era stato messo insieme in due giorni dal Sunday Times. E che i commenti fossero tutti finti.

L’inchiesta del giornale inglese—dal titolo “How to fake a bestseller“—intendeva infatti dimostrare quanto fosse facile ‘bucare’ il sistema di Amazon con qualche sterlina investita nell’acquisto di recensioni false e positive. E raccontare i meccanismi del mercato sotterraneo dell’astroturfing.

Si tratta di un termine nato nel settore del marketing a metà degli anni Ottanta, che definisce la creazione di consenso dal basso—per beni, servizi, prodotti, candidati politici—”a tavolino”. Un feedback posticcio, creato ad arte grazie all’aiuto di persone generalmente pagate per produrre commenti positivi attorno alla cosa reclamizzata, e innescare un meccanismo in grado di influenzare gli altri.

Benché la pratica esista da sempre, e sia stata sistematizzata da qualche decennio dal marketing, su internet l’astroturfing ha trovato una nuova vita, nuovi prodotti, e nuovi potenziali “collaboratori.”

Come dimostrato dall’inchiesta del Sunday Times, infatti, non è difficile assoldare un “professional review writer,” un autore professionista di recensioni disposto a investire il proprio tempo e a spendere i propri complimenti a comando.

Il sistema è complesso e molto funzionale, tanto che—segnala il giornale—è possibile comprare pacchetti di recensioni “all’ingrosso,” con prezzi che vanno dai due ai tre euro a recensione. Al Sunday Times, fanno sapere, sono bastate 56 sterline—circa 80 euro—per lanciare “Everything Bonsai” nell’olimpo della letteratura per giardinaggio per qualche giorno.

Il successo di “Succhi freschi di frutta e verdura” non sarà stato sicuramente inflazionato da un’orda di feedback positivi che ne avrebbero accompagnato l’ascesa. Ma la cosa mi ha portato indirettamente a voler approfondire meglio il fenomeno della creazione fittizia di consenso per prodotti su internet, e come questa regola e influenza i nostri acquisti.

Stando a uno studio della Harvard Business School citato dal Sole24Ore a metà ottobre, il fenomeno del finto feedback positivo avrebbe un valore commerciale “inestimabile” e sarebbe in grado di influenzare l’acquisto o la prenotazione online “in modo molto importante.”

“L’incremento dei guadagni per un albergo o un ristorante con buone recensioni è stimato fra il 5 e il 9 percento.” Al contrario – si legge – “una brutta nomea digitale può avere effetti pesantissimi sul fatturato.”

In parole povere, se internet ci ha dato la possibilità di danneggiare o promuovere la reputazione di un ristorante con la libera espressione del giudizio personale, quello stesso effetto – con un relativo esborso monetario – può essere amplificato, e diventare un’orda di pollici in su capaci di influenzare la scelta di chi verrà dopo di noi.

O peggio, una selva di pollici versi in grado di annichilire il giro di affari di quell’esercizio – almeno online.

La rete—si chiedeva non a caso l’esperta di diritto digitale Deborah Bianchi—”è davvero così democratica da rovesciare le logiche del mercato, oppure c’è sempre qualcuno che ci mette lo zampino?”

Servizi come Amazon, Tripadvisor, o qualsiasi altro sistema che prevede di lasciare il proprio giudizio su qualcosa, rendono infatti l’immissione di quello stesso giudizio semplice in modo quasi disarmante.

Proprio questa facilità, tuttavia, fa sì che chiunque possa lasciare più di un commento, con diversi profili, spesso in modo incontrollato. Ed è proprio in questo vuoto che la compravendita di finti giudizi si insinua.

Qualche giorno dopo l’inchiesta del Times, infatti, Amazon ha cominciato ad analizzare sistematicamente un buon numero di commenti lasciati sul sito, scoprendo che molte delle recensioni postate sono praticamente tutte uguali e provenienti dallo stesso indirizzo IP, ma nelle pagine di prodotti a caso—come trovare il commento “Commovente, mi ha letto dentro” sia sotto all’inserzione di un caricatore USB che sotto quella del nuovo libro di Michele Serra.

Approfondendo le ricerche, l’azienda ha scoperto che gran parte di questi commenti giungevano dal sito Fiverr.com, che una piattaforma di compravendita di servizi online. La vicenda si è chiusa con Amazon, che ha fatto causa a centinaia di utenti—e non era neanche la prima volta.

Siti come Fivver.com non sono nuovi nel settore: ad aprile, l’Azienda di Bezos aveva dovuto fare i conti con buyazonreviews.com e molti altri simili, che offrivano pacchetti di recensioni a 5 stelle per qualche decina di euro.

Come segnalato dal Fatto Quotidiano lo scorso agosto, non è difficile imbattersi in offerte di lavoro in cui si cercano “collaboratori” per “microlavori di inserimento testi su portali di internet.” Per poi vedersi proporre un posto come falso recensore per “siti come TripAdvisor o Holidaycheck” da alcune web agency, proprio come per i “professional reviewer” del caso del Sunday Times.

Con un commento di pochi minuti, come certificato dal Fatto, si arriverebbe anche a un compenso di circa 3 euro via Paypal, ma non manca chi – segnala ancora il pezzo – propone addirittura 550 euro per 30 recensioni in 90 giorni—come recensionitripadvisor.it.

Tripadvisor, così come Amazon, in tutto questo ovviamente non c’entra nulla. Ma non sono pochi i casi in cui albergatori e ristoratori indignati si sono ribellati al giro del commento fittizio, se non addirittura contro la piattaforma stessa che li ospita.

Il sito di recensioni per ristoranti e alberghi conta attualmente più di 300 milioni di visitatori unici al mese e circa 60 nuove recensioni al minuto, lasciate da iscritti sparsi per il mondo in grado di spostare le opinioni di chi visita i locali recensiti—e in particolare da utenti italiani.

Nel 2014 il Codacons-Comitas ha scoperto che quasi un terzo delle recensioni sarebbero però state pubblicate da utenti che non hanno mai effettivamente usufruito dei servizi che hanno recensito, e ha lanciato in aprile una campagna chiamata “Albergo Sicuro” con la quale intendeva tutelare i proprietari di alberghi dalle manipolazioni e la concorrenza sleale.

Proprio TripAdvisor, peraltro, nel dicembre del 2014 è stata condannata a pagare una multa da 500mila euro emessa dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per pratica commerciale scorretta, su segnalazione della Federalberghi e dell’Unione nazionale Consumatori—sanzione poi annullata dal Tar.

Ma TripAdvisor non è l’unico portale a soffrire della stessa invasione dei commenti a pagamento—sebbene giuri di essere in possesso di algoritmi in grado di sgamare e segnalare gli utenti sospetti.

Trivago, per esempio, crede nell’auto-regolamentazione della propria community, sperando nel fatto che gli altri utenti riescano a riconoscere i commenti fraudolenti. Su Expedia, ancora, può commentare solo chi ha effettivamente prenotato il proprio albergo.

Negli Stati Uniti, in caso di pubblicità non dichiarata sui blog, agenzia di marketing e blogger rischiano pene pecunarie fino a 11 mila dollari.

Il fenomeno in Italia è regolato da una direttiva europea recepita da un decreto legislativo italiano (il 146/07) che fa riferimento alle pratiche commerciali ingannevoli parando di “affermazioni non rispondenti al vero da parte di un professionista”—”professionista”, non “blogger” o recensore di Forum Essere&Benessere.

È dunque difficile capire come normare la situazione, sebbene – per estensione – spesso si riesca a fa rientrare sotto questo stesso dispositivo i più generici messaggi “subliminali” e gli “imbonitori” che si possono incontrare nella propria vita—in rete e non.

In caso abbiate dei sospetti, tuttavia, potete comunque evitare i bonsai e lanciarvi sulle piante grasse, che stanno bene ovunque le metti e non hanno bisogno né di troppa acqua né di troppa letteratura in merito.

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