Billy Hayes racconta com’è tornare a Istanbul dopo essere stato l’uomo più odiato della Turchia

C’è stato un lungo capitolo, durato circa trent’anni, in cui la Turchia ha detestato Billy Hayes. Hayes era nella lista delle persone ricercate per terrorismo, l’Interpol aveva un mandato di cattura a suo nome e le sue possibilità di movimento erano estremamente limitate. Due settimane fa, però, Hayes ha contribuito a issare la bandiera turca su Wall Street.

Se avete visto Fuga di mezzanotte, vincitore di un Oscar nel 1978, saprete già cosa è successo ad Hayes. Il film, scritto da Oliver Stone, e l’autobiografia di Hayes, diventata un best-seller, raccontano il suo arresto nel 1970, la sua detenzione in un carcere turco e l’evasione, avvenuta cinque anni dopo—ma tra le due cose ci sono alcune differenze fondamentali, che sono il motivo per cui Hayes era così odiato in Turchia.

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“Credo sia stata colpa della scena del tribunale,” spiega Hayes parlando del film di Stone. “Quella dove insulto quel ‘popolo di porci’ che ‘si scopano i figli e le figlie’. Quella scena ha creato molto più oltraggio di quella in cui uccido la guardia, dato che quest’ultima non era un personaggio molto simpatico.” ​ 

​La sua storia è iniziata a Istanbul il 6 ottobre 1970, quando aveva 23 anni. Nativo di Long Island, era stato arrestato per aver tentato di salire a bordo di un aereo per New York con due chili di hashish attaccati al petto con del nastro adesivo, è stato accusato di spaccio di droga ed è stato condannato a quattro anni e due mesi da scontare in una prigione turca. Ma poche settimane prima del suo rilascio, fissato per il 1975, la corte ha prolungato a sua sentenza a 25 anni. Questo fatto ha indotto Hayes a progettare la sua evasione.

A causa della nuova sentenza, Hayes era riuscito a ottenere il trasferimento nella prigione sull’isola di İmralı. Tre mesi dopo, di notte e durante una tempesta, è fuggito a bordo di una piccola barca e ha remato per 27 chilometri nel Mar di Marmara. Al mattino ha raggiunto le coste turche, nei giorni successivi ha attraversato il paese e poi, quasi cinque anni dopo il giorno del suo arresto, ha attraversato il confine con la Grecia.

Una volta tornato in America, Hayes è diventato una celebrità. La sua autobiografia Fuga di mezzanotte è uscita nel 1977. L’anno successivo, al festival di Cannes, ha assistito alla prima dell’adattamento cinematografico del libro, dove ha incontrato la futura moglie Wendy West. Hayes era libero, innamorato e nessuno poteva mettergli i bastoni fra le ruote. La sua vita era bellissima.

Ma il ritratto della popolazione turca offerto dalla pellicola ha fatto sì che la Turchia si guadagnasse una bruttissima reputazione negli Stati Uniti. Il turismo americano verso il paese ha registrato una forte flessione da cui non si è mai del tutto risollevato, mentre sull’onda del successo del film gli americani di origine turca hanno subito non poche discriminazioni. Per molti turchi Hayes era il responsabile di quest’ondata di xenofobia, e per decenni, in Turchia, è stato disprezzato da tutti. Solo nel 2007 è riuscito a tornare in modo semi ufficiale nel paese e chiedere scusa alla popolazione attraverso i media. Agli occhi dei turchi, la sua redenzione è stata completata solo di recente, quando la Turkish American Cultural Alliance ha chiesto a Hayes di issare una bandiera turca sopra il Toro di Wall Street durante una cerimonia per commemorare il novantesimo anniversario della nascita della Repubblica di Turchia.

Oggi, nello spettacolo Riding the Midnight Express, Hayes racconta la sua vita e risponde alle domande dal pubblico, chiarendo le differenze tra il libro, il film e la realtà—il che comprende anche alcuni aneddoti su come sia riuscito a trasportare dell’hashish negli Stati Uniti per tre volte prima di essere arrestato, e su come non abbia ucciso quella guardia.

Ho fatto colazione con Hayes in una tavola calda di Manhattan. Abbiamo parlato di come è stato tornare in Turchia, di come si sballavano i carcerati nelle carceri turche durante gli anni Settanta e di molte altre cose.



VICE: Il tuo spettacolo non è un’improvvisazione, giusto?
Billy Hayes: È stato un’improvvisazione per 40 anni! Racconto le stesse cose che ho raccontato per quarant’anni. La gente mi invita alle feste, mi fa fumare una canna e mi ritrovo a raccontare queste storie.

Mi spiace di non aver portato una canna. Quando eri in carcere potevi scrivere? C’è qualcosa che è andato perso o che ti è stato sottratto?
Oh sì, un mucchio di roba, incluso un romanzo su un pazzo che viveva sottoterra insieme a una scimmia di nome Vito.

E la scimmia gli rollava le canne?
La scimmia parlava la lingua dei segni… Ma ora è andato perduto. L’avevo regalato a un italiano di nome Pino, che stava per uscire di prigione. Sapevo che, in un modo o nell’altro, sarei uscito. E lui avrebbe dovuto portare tutta quella roba al consiglio americano. Non ho mai saputo che fine abbia fatto.

Scrivevi anche prima di andare in prigione?
Sì. Avevo frequentato la facoltà di giornalismo alla Marquette University. Volevo lavorare in pubblicità. Poi ho capito com’era veramente il mondo della pubblicità e ho lasciato perdere.

La prigione ti ha salvato dal quel mondo.
Esatto. Scrivevo dei racconti brevi e li mandavo alle case editrici, ma venivano sempre rifiutati. Ho provato con le riviste Field & Stream, Boy’s Life, Adventure e roba simile. Era deprimente sentirsi rifiutato. Così ho deciso di andare in giro per il mondo per fare esperienze e scrivere.

Quindi in carcere i libri erano permessi.
Sì, c’erano un sacco di libri. Ma ogni tanto le guardie arrivavano e facevano un controllo. Entravano nelle celle e mettevano tutto a soqquadro. Più tardi ho scoperto che sequestravano tutti i libri e li mandavano a una libreria di Istanbul che li rivendeva ai turisti al [Grand] Bazaar. I libri andavano e venivano. Li portavano via, poi qualcuno ne ordinava uno, o se lo faceva portare, e faceva il giro. Anche le persone andavano e venivano. C’erano anche un po’ di stranieri. Se venivi beccato con una canna o con un po’ di marijuana, anche in piccole dosi, il minimo che ti beccavi erano 20 mesi. Quindi tanti arrivavano, scontavano i loro 20 mesi, e se ne andavano.

Nel film, qual è il personaggio più realistico?
Max, interpretato da John Hurt. Un tipo allampanato, con le lenti degli occhiali rotte… Si faceva spesso di una roba chiamata gastro. Era una medicina per lo stomaco. L’ho scoperto nella mia prima notte in carcere, per via dell’odore. La scaldava su di un cucchiaio con una candela e poi se la iniettava con degli aghi che giravano per la prigione. Una roba schifosa che l’ha distrutto. Ogni tanto si riusciva a trovare anche dell’eroina. Soprattutto dopo che me ne sono andato. In Midnight Express Letters, che sono le lettere speditemi dai miei amici che ho inserito e commentato nel libro, si racconta di un periodo in cui in tutta la prigione si era diffusa l’eroina. Ma prima di quel momento si trovava di rado. Andava e veniva. Quello che c’era sempre era l’hashish, e alcune strane pasticche. A me non piacciono, ma le prendevano in tanti. E quando è arrivata l’eroina pare sia stato molto, molto brutto. Dato che la dose è piccola, è facile da nascondere. Ovviamente a portarla dentro erano le guardie, gli addetti al carrello del cibo e chiunque avesse contatti con l’esterno… Oppure veniva lanciata oltre le mura. C’erano migliaia di modi in cui farla entrare, e dentro c’era un mercato redditizio.

E tu di cosa ti facevi? Girava marijuana simile a quella che si trova in Marocco?
In Marocco c’è il kif, no? Quasi polvere, praticamente. Quella che avevamo lì era di ottima qualità. Oggi, ovviamente, l’erba che si trova negli Stati Uniti è altrettanto buona. Ci sono un sacco di idioti che la coltivano in idroponica, fanno innesti—cose folli! Ma all’epoca al mondo non c’era nulla di paragonabile a quell’hashish, ecco perché l’avevo portato con me in America e avevo iniziato a venderlo ai miei amici. In sei mesi l’ho fatto fuori tutto. Ne ho ricavato quasi 5.000 dollari.

Quando sei tornato in Turchia sette anni fa, eri stato ufficialmente perdonato ed eri sicuro che non ti avrebbero arrestato di nuovo?
No, c’era un mandato di cattura dell’Interpol a mio nome. L’Interpol è un’organizzazione molto disorganizzata. Le diverse polizie degli stati agiscono in modo autonomo, quindi è difficile dire chi farà cosa.

Credo che a loro piaccia così.
Lo penso anch’io. A un certo punto sono dovuto andare a Londra e ho contattato il governo inglese dicendo, “Credo che ci sia un mandato di cattura dell’Interpol nei miei confronti.” E loro hanno risposto, “Be’, noi non onoriamo quel mandato”. Quindi ci sono potuto andare, ma ho dovuto fare molta attenzione. Dovevo essere selettivo. Mentre per il resto, per circa 20 anni non mi sono praticamente spostato. Ma volevo tornare in Turchia. Ho sempre voluto sanare quella ferita, cambiare le cose.

Cos’è successo?
​Ho chiesto di poter entrare nel Paese, ma si sono rifiutati. Ero un latitante evaso, su cui pesava un mandato di cattura dell’Interpol, che chiedeva di poter tornare, e loro non me l’hanno concesso. Poi alcuni ragazzi turchi mi hanno contattato dicendomi, “Abbiamo visto un video su YouTube in cui parli di quanto ami Istanbul e del fatto che vorresti sistemare le cose.” C’è stata una conferenza e alla fine mi hanno permesso di tornare. Il capo della polizia mi ha detto: “La migliore immagine che possiamo dare del nostro paese sei tu che cammini libero per le strade di Istanbul… L’immagine peggiore, invece, sarebbe che qualcuno saltasse fuori e ti sparasse in testa mentre lo fai.”

Avevi paura?
Non proprio. Non sai mai cosa può accadere. Ma una volta lì, ero controllato 24 ore su 24. Un tizio ha dormito su una sedia fuori dalla stanza d’albergo dove alloggiavo. Erano seri. C’è stata una grande conferenza, con tutti i giornali e le emittenti televisive. Poi ho potuto dire quello che pensavo, ossia che amo Istanbul.

Com’è cambiata rispetto agli anni Settanta?
È molto diversa. È cambiata moltissimo, nel bene e nel male. Erdoğan e il governo che è al potere ormai da dieci anni hanno fatto della Turchia una grande potenza. L’economia è in crescita. Hanno uno degli eserciti più potenti al mondo, anche se i militari non hanno più tutto il potere di prima. Mentre Erdoğan ha tutto il potere che vuole. L’anno scorso ci sono stati tutti quegli scontri a Gezi Park quando i bulldozer…

Mi trovavo lì.
Eri lì?

Proprio così. Cosa sai delle proteste?
Molto. Seguo sempre quelle notizie. A dir la verità allora stavo parlando con un giornalista turco. A un certo punto stavo discutendo di Malala, la ragazza pakistana a cui avevano sparato… Ho detto, “Il profeta si rattristerebbe nel sapere cosa fanno questi codardi in suo nome.” Lui registrava tutto. Così gli ho detto, “Aspetta, aspetta, fermati… così poi li faccio incazzare,” e lui ha risposto, “Non mi interessa. Devono sentire queste parole”. È stato nel parco per dieci giorni mentre attaccavano i manifestanti con il gas. Ha detto “Non so come si risolverà la questione. Loro hanno tutta l’autorità e il potere, ma la gente è incazzata e c’è questa questione sul secolarismo/religiosità sul tavolo.” C’è ancora molta tensione. Ho paura che si arrivi di nuovo alla violenza. In un certo senso è già in atto.

A proposito di secolarismo ed esercito. Il dovere dell’esercito turco è proteggere il secolarismo.
Lo era.

E oggi non è più così. Ma se la Turchia non risolve la questione…
Loro erano la speranza, e lo sono ancora. Ma se non ci riescono, non so chi possa farlo. È difficile imporre qualcosa—come quegli idioti neocon che provano a “portare in Medio Oriente la democrazia americana.”

Sì, con i fucili. Come prendere a calci un nido di calabroni.
Poi scappano, e i calabroni svolazzano in giro.

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