È giusto paragonare Matteo Salvini e Marine Le Pen?

Dopo una campagna elettorale segnata dagli scandali giudiziari e dall’allerta terrorismo, ieri in Francia si è votato per il primo turno delle elezioni presidenziali. I primi due candidati, e quindi coloro che il 7 maggio si sfideranno al ballottaggio per la presidenza francese, sono Marine Le Pen e Emmanuel Macron, che hanno ottenuto rispettivamente il 21.5 e il 23.7 percento dei voti.

SI tratta di un risultato importante da molti punti di vista, che consegna la Francia in una situazione storica senza precedenti e completamente ribaltata rispetto alle elezioni di cinque anni fa. I grandi sconfitti sono infatti i partiti tradizionali: mentre François Fillon, il candidato del partito repubblicano, si è posizionato terzo, Benoît Hamon, per il partito socialista, ha raggiunto appena il sei percento dei voti.

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Dall’altra parte, se Jean Luc Melanchon, il candidato della sinistra, ha ottenuto un quarto posto insperabile solo fino a qualche giorno fa, i due vincitori sono per la prima volta nella storia della Francia recente i candidati di due partiti che non hanno precedenti al governo. Il primo, Emmanuel Macron, è l’ex Ministro dell’Economia del governo Hollande e rappresenta la vera novità politica di queste elezioni, presentandosi con un partito centrista in un sistema storicamente bipolare. Ma la protagonista indiscussa è Marine Le Pen. La candidata del Front National, il movimento di estrema destra fondato dal padre, ha confermato le previsioni della vigilia, ottenendo un secondo posto che conferma l’ascesa dei populismi nelle democrazie occidentali e la minaccia alla tenuta l’Unione Europea. 

In Italia, il nome di Marine Le Pen è associato direttamente a quello di Matteo Salvini, così come il Front National viene naturalmente considerata la versione francese della Lega Nord. Non a caso, è stato proprio Salvini uno dei primi politici italiani a commentare il risultato delle elezioni francesi, esultando per il successo della leader del Front National. Ma quanto c’è di vero in questo paragone? Il successo del Front National può veramente venir replicato in Italia dalla Lega Nord? Ho cercato di capirlo con l’aiuto di Nicola Genga, politologo e autore del libro Il Front National da Jean Marie a Marine Le Pen.

La Lega e il Front National nascono molto distanti, e questo fa sì che fino a solo dieci anni fa il paragone tra i due partiti sarebbe stato del tutto inappropriato.

Da una parte La Lega nasce a metà degli anni Novanta come un movimento profondamente legato a un preciso territorio geografico—il nord Italia—e a un preciso scopo politico, il federalismo. Nonostante la Padania immaginata dalla Lega Nord sia da sempre “bianca e cristiana“, i tratti xenofobi e discriminatori sono subordinati all’obiettivo della sua indipendenza. Non a caso, la Lega degli anni Novanta non trova una collocazione precisa nello spettro politico, ma si allea con chi utile per portare avanti la propria agenda, parlando esclusivamente a un certo tipo di elettorato.

Dall’altra parte, il Front National viene fondato nel 1972 da Jean-Marie Le Pen. Si tratta di un partito esplicitamente ricollocabile nell’estrema destra, che nasce dall’insieme di una serie di gruppi dichiaratamente neo-fascisti.

Con gli anni, i diversi percorsi dei due partiti, motivati dalla necessità comune di trovare spazio nei rispettivi scenari politici, fanno sì che le due agende vadano a convergere; oggi le similitudini sono numerose.

“La Lega Nord, pur rimanendo un movimento profondamente legato a un certo territorio, negli ultimi anni, con Salvini ha tentato di diventare un movimento nazionale: attraverso l’alleanza con Fratelli d’Italia cerca di raggiungere anche il sud contro cui una volta si scagliava, e lo slogan Roma Ladrona è stato necessariamente abbandonato per cercare target, quali l’Europa e l’immigrazione, che le permettessero di penetrare in tutto il territorio,” mi dice Genga.

Un processo diverso ma volto allo stesso fine, quello di superare le barriere (in questo caso politiche) dentro cui operava, è avvenuto anche all’interno del Front National, che pur rimanendo un movimento marcatamente di destra ha cercato di rivedere la propria immagine per attirare un elettorato più ampio.

La responsabile di questo processo è stata Marine Le Pen, che ha preso il posto del padre nel 2012 per poi sostenere la sua espulsione (votata a maggioranza dai vertici del partito) tre anni dopo proprio in seguito all’ennesima affermazione a difesa del nazismo—”le camere a gas sono un dettaglio,” frase che gli è recentemente costata una condanna.

“Il programma politico del Front National si è modificato molto dagli anni Ottanta a oggi: prima c’era un approccio più liberista in economia, oggi c’è un’attenzione maggiore allo stato e alle sue funzioni—uno stato che deve essere potente ma anche provvidente, non uno stato minimo come nella tradizione della destra riformista francese,” commenta Genga.

“Analogamente,” continua, “nella Lega c’è stato, rispetto all’approccio liberale e liberista di Bossi, il tentativo di ripensare lo stato in un senso della destra chauvinista, uno stato sociale che pensi prioritariamente ai cittadini del paese, che faccia suo il concetto di preferenza nazionale.”

Oggi, i programmi dei due partiti presentano moltissimi tratti in comune, come dimostra l’alleanza che li vede insieme in Europa.

Innanzitutto, entrambi fanno del loro cavallo di battaglia il tema dell’immigrazione. Eppure, se i toni usati sono molto simili, il livello di maturità politica è estremamente diverso. Se la Lega usa l’immigrazione come bersaglio comunicativo senza poi disporre di un programma preciso (basta leggere le Linee Guida del partito sul tema) il Front National di Marine Le Pen, anche in vista di queste elezioni, ha posizioni definite, sostenute da un programma concreto.

Nonostante la dichiarazione ad effetto con cui in un comizio di qualche giorno fa Le Pen si è spinta a promettere una moratoria sull’immigrazione legale, nel suo programma si parla dei determinati punti: ristabilire le frontiere nazionali, inasprire le misure per ottenere il diritto d’asilo, mettere un tetto massimo all’immigrazione legale di 10mila persone all’anno, uscire da Schengen, impedire la naturalizzazione di persone in situazione di illegalità, abolire lo ius soli, abolire la doppia nazionalità extra europea.

Per quanto riguarda gli altri capisaldi dei due partiti, entrambi puntano sul patriottismo e sulla priorità nazionale, sul tema della sicurezza (collegato in tutti e due i casi a quello dell’immigrazione) e sulla revisione degli accordi Europei. Proprio su quest’ultimo tema, mentre la Lega ha più volte dichiarato di voler uscire dall’Europa, Le Pen ha nel suo programma la proclamazione di un referendum in merito.

Se quindi a livello di temi i due partiti risultano piuttosto simili, rimangono delle differenze sostanziali che ne condizionano vastamente la forza politica. La prima, come già detto, risiede proprio nel livello di concretezza con cui questi temi vengono portati avanti, la seconda è da trovare nei due personaggi e nel modo in cui questi arrivano all’elettorato.

“Ci sono alcuni tratti in comune tra Le Pen e Salvini: sono entrambi genitori, sono entrambi divorziati, sono entrambi relativamente giovani—non solo anagraficamente, ma nell’approccio alla vita sociale. Marine Le Pen all’interno del suo partito veniva chiamata la discotecara perché amava i locali notturni. Salvini amava lo stadio, e proprio su un coro da stadio è caduto qualche tempo fa,” commenta Genga. “Ma nelle loro origini e nel modo di comunicare ci sono delle differenze importanti,” continua.

Nello specifico, Marine Le Pen, continua Genga, è un avvocato che ha sempre condotto una vita aristocratica—basti pensare che è cresciuta nel castello donato al padre da un ricco militante. Salvini, al contrario, ha un passato da studente fuori corso che si divideva tra giornalismo e attivismo, con un approccio più popolare e più diretto. “Non si tratta solo di un aggiustamento presidenziale di Marine Le Pen,” commenta Genga, “sono stili diversi.”

Stili che si rispecchiano nel modo in cui i due comunicano e usano i social. Se la Le Pen in passato non ha rinunciato a sferrare attacchi a effetto (su tutte la volta in cui ha pubblicato il video di una decapitazione dell’ISIS in risposta a un giornalista che l’aveva paragonata allo Stato Islamico), in generale mantiene un profilo molto più basso e istituzionale rispetto a quello di Salvini. “Salvini è più spregiudicato, Le Pen è più patinata: c’è una certa solennità in lei, un po’ per le aspirazioni presidenziali, ma un po’ anche per l’idea che i francesi hanno di se stessi, un’idea molto alta della cosiddetta Francia eterna,” mi dice Genga.

In merito alle aspirazioni presidenziali, Marine Le Pen, da sempre molto attenta alla sua immagine, ha fatto dell’ammorbidimento di questa uno dei punti fondamentali del suo programma politico—parte di quell’intento già menzionato di superare i confini di un determinato elettorato. Al di là di quale sarà il risultato del ballottaggio, con un partito che ha ottenuto più del 20 percento e che raccoglie i consensi che vanno dai sostenitori di estrema destra alla classe operaia all’elettorato che si riconosce nell’estrema sinistra di Mélenchon ed è stanco del sistema, Le Pen in qualche misura è sicuramente riuscita nel suo scopo.

“Se vogliamo parlare di elettorato e c’è da fare un parallelo tra Italia e Francia,” mi dice Genga, “il discorso cambia: più che parlare di Lega Nord possiamo parlare del MoVimento 5 Stelle. È certo che Le Pen non raggiunge la stessa trasversalità, eppure ha guadagnato buona parte di una classe operaia che una volta, anche in Francia, votava partito comunista così come gran parte dei voti di chi si schiera apoliticamente contro il sistema,” conclude Genga.

Non a caso, la differenza principale tra i due partiti è che mentre Marine Le Pen punta all’Eliseo, Salvini sembra destinato a rimanere un personaggio dal peso mediatico più forte di quello politico—costretto in una coalizione, quella di centrodestra, che difficilmente riuscirà mai a rappresentare. Per quanto riguarda il ballottaggio, Marine Le Pen ci arriva ampiamente sfavorita: la grande mobilitazione che portò il padre a perdere con solo il 17 percento dei voti nel ballottaggio del 2002 e il fatto che tutti gli altri principali candidati, a eccezione di Melanchon, abbiano chiamato i loro elettori a far fronte comune contro il Front National rendono la sua sfida difficile. Comunque, non un risultato da sottovalutare per un partito di estrema destra, e soprattutto un risultato a cui la Lega Nord di Salvini molto difficilimente potrà mai aspirare. 

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