Elisabetta Agyeiwaa è nata a Brescia nel 1991. Poco tempo dopo, sua zia l’ha affidata a una sua amica olandese in un piccolo paesino nei Paesi Bassi senza alcun documento. Grazie all’aiuto di un cugino, in seguito ha scoperto che la sua identità era stata rubata—e che sua madre era la responsabile. Trentun anni dopo, Agyeiwaa vive ancora in Olanda e lavora come filmmaker, ma continua a non esistere ufficialmente—una circostanza che rende la sua vita un incubo burocratico.
Non trovando aiuto per risolvere la situazione, ha deciso di raccontare la storia in un breve documentario intitolato Elisabetta, che ha debuttato in settembre 2022 al Netherlands Film Festival. Nel film, Agyeiwaa prova a ripercorrere la sua storia parlando con la zia, il consolato italiano ad Amsterdam e la polizia olandese. In questa intervista, Agyeiwaa ha raccontato a VICE cosa significa non esistere agli occhi della legge e i suoi tentativi di riprendere possesso della propria identità.
Videos by VICE
VICE: Sulla carta, non esisti. Com’è possibile?
Elisabetta Agyeiwaa: Ho un certificato di nascita, ma mia madre—che è arrivata in Italia dal Ghana—non mi ha mai registrata alle autorità italiane. Nel 1993 ha iscritto ai registri un’altra bambina, molto più grande di me, con il mio certificato di nascita. Si tratta molto probabilmente della sorella del padre di mio fratello e di mia sorella. A lei sono stati assegnati il mio nome e data di nascita, ma usando la sua foto e le sue impronte digitali.
A questa altra bambina non è stata data soltanto la mia identità, ma anche un posto nella famiglia. Dopo la mia nascita, mia zia—che viene dal Ghana, ma ha la cittadinanza olandese—mi ha portata nei Paesi Bassi. Lo ha fatto perché mia madre “non ce la faceva” e non era in grado di occuparsi di me almeno per un po’.
Nei Paesi Bassi, mia zia mi ha lasciata a una sua conoscente di nome Marianne, che viveva in un paesino della Frisia. Così lei è diventata la mia madre adottiva. Non ho mai più avuto documenti. Di conseguenza, non ho diritto di voto, non posso accendere un mutuo, né sposarmi o viaggiare fuori dall’UE.
Perché non sei stata in grado di dimostrare la tua esistenza?
È molto difficile dimostrare che sono la vera Elisabetta e non l’impostora. Le sue impronte digitali sono associate al mio nome. Se digiti il mio nome nell’archivio, compare la foto di quella persona. Mia madre, poi, si rifiuta di aiutarmi. Dice che negherà per sempre.
E non puoi farti assegnare una nuova identità? Perché vuoi restare Elisabetta Agyeiwaa?
È semplicemente impossibile. Non si può ricominciare da capo così, serve un genitore che ti riconosca e fornisca una prova della tua nascita. Esistono delle eccezioni, ad esempio per i richiedenti asilo che non sono in grado di ottenere un certificato di nascita perché nel loro paese c’è la guerra. Ma per me è più complesso.
Sono Elisabetta da sempre, tutti mi conoscono così. Non posso assumere una nuova identità legalmente dal nulla. E poi avrò il diritto di essere me stessa, o no? Voglio vivere la vita che sono nata per vivere. Perché dovrei farmi andar bene diventare un’altra persona?
Nessuna persona adulta ha provato a darti man forte per risolvere questo problema?
No. Mia madre non ha mai dimostrato alcun interesse per me. Mi trattavano bene nel paese dove sono cresciuta—pur non avendo documenti, potevo andare a scuola e dal dottore. Di fatto, ero ammessa nella società in tutto e per tutto.
Tutti gli altri abitanti non volevano altro che il mio bene. Non penso che fossero in grado di capire pienamente le conseguenze del fatto di non avere documenti. Se avessero lanciato l’allarme prima, la situazione oggi sarebbe risolta, probabilmente.
Tua madre adottiva è morta quando avevi sette anni. È lì che è iniziato il vero pasticcio burocratico, vero? Dev’essere stata dura.
Assolutamente. Lei è stata la prima persona a insegnarmi che ero meritevole d’amore, cosa che mia madre non aveva mai fatto.
Quando è morta Marianne, è diventato chiaro quanto fosse problematica la situazione. Avrei dovuto ricevere un’eredità da parte sua, ma non ho ottenuto niente. Ero da sola e le autorità non riuscivano a capire chi fossi. Sono stata registrata ufficialmente come “persona senza documenti di origine sconosciuta” e sono diventata “figlia dello stato.” Mi è stato assegnato un tutore, una persona che teneva un fascicolo con i miei dati, cioè informazioni su dove vivevo e come stavo. Senza documenti, non potevo essere adottata e sono passata di casa famiglia in casa famiglia.
Come ti sei mossa per cercare di riacquisire la tua identità ora che sei adulta?
La prima cosa che ho fatto è stata contattare mia madre. Sono anni che cerco di riprendere possesso dei miei documenti attraverso di lei. All’inizio non sapevo che aveva dato a un’altra persona la mia identità. Continuava a raccontare bugie sul motivo per cui non potevo avere accesso ai documenti. Per esempio, mi diceva che prima doveva sposarsi con il padre di mio fratello e mia sorella, in modo da regolarizzare le sue carte prima. Mi sono lasciata abbindolare per anni.
Intorno a Natale 2015 ho ricevuto una telefonata da mio cugino in Ghana. Finalmente, mi ha rivelato la verità. Ho subito chiesto spiegazioni a mia madre, che ha negato tutto. Ha detto che mio cugino era pazzo, mi ha fatto una scenata e mi ha addirittura bloccata in modo che non la contattassi più.
Sono andata alla polizia olandese, ma non mi ha aiutato in alcun modo. Nel 2017 sono tornata a Brescia e mi sono presentata al comune, alla polizia, all’ufficio immigrazione—neanche lì hanno voluto ascoltarmi. Ero completamente bloccata. Nessuno voleva prendersi la responsabilità del caso.
Ho sentito spesso persone dire che dovrei “essere felice di poter almeno vivere nei Paesi Bassi.” Come se dovessi rallegrarmi di non avere il diritto di voto nel mio paese!
Che rapporti hai con tua madre?
Pessimi. Non le importa niente. Non mi chiede come sto, non mi manda gli auguri di compleanno e non viene a trovarmi. In passato veniva nei Paesi Bassi di tanto in tanto—a volte la incontravo, quando stava da mia zia.
Mi ha detto che poteva fare quello che voleva con le carte dei suoi figli, che era un suo diritto come madre. È estremamente sgradevole. Preferisce litigare che avere una conversazione civile. Mi ha urlato contro, sbattuto porte, mandata al diavolo. È il suo modo di affrontare la situazione.
Almeno hai capito perché ha dato a un’altra la tua identità?
Non ne ho idea. Quello resta un grande punto interrogativo. Perché la mia stessa madre mi ha fatto una cosa del genere? È già abbastanza doloroso che non si sia presa cura di me, perché continua a infierire? E perché ha dato a quest’altra bambina il mio posto nella famiglia? Non ha mai voluto rispondere a queste domande. Spero che un giorno troverà la forza di chiedere scusa, ma ho paura che non succederà mai.
Le ho scritto una lettera nel documentario. Abbiamo parlato via internet e, dopo un po’ di insistenza, l’ha letta. Il giorno dopo mi ha bloccata. Questa è stata la sua risposta.
E hai mai parlato con la donna che ha assunto la tua identità?
Non ho mai parlato con lei, ma mi ha contattata via social media. Mi ha mandato una richiesta di amicizia su Facebook, tra le altre cose. Non l’ho mai accettata, ma ho visto gente che le faceva gli auguri il giorno del mio compleanno. Più avanti, ha improvvisamente iniziato a mettere like a tutte le mie foto su Instagram. Non capisco perché. Lo vedo come un atto di bullismo. Hai già preso la mia identità, almeno vivi la tua vita e lasciami in pace.
Nel documentario parli anche brevemente di tuo padre: non sai chi sia, ma potrebbe essere capace di riconoscerti come figlia e sbloccare la situazione.
Sì, nessuno vuole dirmi chi sia mio padre. Tutto ciò che so è che probabilmente vive in Italia. Spero di essere in grado di trovarlo, un giorno. Forse il documentario mi aiuterà. Credo sinceramente nella giustizia e, nonostante tutto ciò che è successo, confido che le cose si aggiusteranno.
È per questo che hai voluto fare questo documentario?
Spero ancora di trovare una soluzione al problema, prima o poi—e spero che raccontare la mia storia sia d’aiuto. Inoltre ci sono altri bambini e bambine là fuori che sono vittime di furto d’identità da parte dei genitori. Voglio dare loro speranza e attirare l’attenzione sulla loro situazione. Quando ti succede una cosa del genere, ti senti completamente impotente.
All’interno del documentario ho anche intervistato la polizia olandese, che ha ammesso di avermi fatto un torto. Ora ha riaperto il caso.