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Il documentario su un boss 19enne che mostra come la realtà sia peggio di Gomorra

Emanuele Sibillo camorra

Aggiornamento del 03/05/2021: La settimana scorsa a Napoli sono state arrestate 21 persone accusate di associazione di tipo mafioso, estorsione, traffico di stupefacenti e altri reati: appartenevano al clan Sibilloche prende il nome dal boss del centro storico ucciso a soli 19 anni nel 2015. Le forze dell’ordine hanno anche rimosso gli altarini dedicati a Sibillo disseminati per la città; stando alle indagini, un commerciante era stato costretto a inginocchiarsi di fronte ad un busto prima di subire un’estorsione. Per l’occasione, riproponiamo dai nostri archivi la storia di Sibillo raccontata nel documentario ES17.

Nell’estate del 2015 via Orozio Costa, una strada stretta e senza vie di fughe nel pieno centro di Napoli, è considerata una vera e propria “via della morte” dove “ormai [si spara] peggio di Baghdad.” A definirla così, in una telefonata intercettata dalla polizia, è Gennaro Buonerba—il giovane leader del clan dei “capelloni,” che in quella via hanno il loro fortino.

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Il contesto è quello di una ferocissima guerra di camorra, portata avanti da paranze contrapposte a colpi di “stese,” sparatorie e assalti armati. Come quello del 2 luglio, quando sei ragazzi a bordo di tre scooteroni entrano nella via a notte fonda e sparano. I “cecchini” dei “capelloni” rispondono e colpiscono alla schiena uno di quei ragazzi, che morirà nel giro di pochissimo tempo. Il ragazzo era Emanuele Sibillo, 19 anni e un nome già importante: quello, cioè, di un boss di nuova generazione che voleva conquistare il centro di Napoli.

È proprio dall’ingresso di quegli scooter nel vicolo, ripreso da una telecamera di sorveglianza, che inizia ES17 – Dio non manderà nessuno a salvarci. Andato in onda domenica su Sky Atlantic, il documentario—che prende spunto dal romanzo La paranza dei bambini di Roberto Saviano—è co-prodotto dalla divisione digitale del gruppo Gedi e da 42° Parallelo, ed è scritto dalla giornalista di Repubblica Conchita Sannino e dall’autrice Diana Ligorio.

La storia—narrata con tecniche di non-fiction e spalmata su diverse piattaforme (in particolare: un lungo reportage di Sannino pubblicato lo scorso venerdì su Repubblica, nonché una webserie)—è incentrata sia sulla fulminante ascesa criminale di Sibillo sia sulle ragioni che l’hanno portato, come ha scritto lui stesso in un post su Facebook, a “morire sempre sul sentiero di guerra e mai sul sentiero della pace.”

Al di là della cronaca, mi dice Ligorio al telefono, “volevamo raccontare un caso in cui non fosse necessario giudicare, o dividere tra ‘bene’ e ‘male’. E così ci siamo posti la seguente domanda: è possibile raccontarlo attraverso Emanuele?”

La carriera di Sibillo è precoce. Il primo arresto risale al gennaio del 2011, quando la polizia—che indaga sullo stato di fibrillazione dei clan del centro storico—irrompe nell’abitazione della famiglia. Emanuele, allora 15enne, viene sorpreso mentre si libera di due Beretta calibro 9; con lui sono portati via il padre Vincenzo, un ex artigiano pregiudicato, e il fratello maggiore Pasquale (detto Lino) che era già agli arresti domiciliari.

Sibillo viene trasferito nella comunità Oliver dell’associazione Jonathan. Lì, ricorda a Repubblica la responsabile Silvia Riccardi, si fa notare per “l’attitudine a fare il capo,” per non volersi esprimere in dialetto e per tenersi costantemente informato—dai tg ai quotidiani, passando per le biografie di Che Guevara, Bin Laden e dei padrini di mafia.

Tornato in libertà dopo un periodo tra il carcere di Nisida e una nuova comunità a seguito di una breve fuga, Sibillo partecipa a diversi summit di camorra e progetta una vera e proprio ribellione contro i clan storici del centro di Napoli. Lo scenario e gli equilibri, del resto, stavano cambiando in profondità: in una relazione della Direzione Investigativa Antimafia si legge di “una molteplicità di gruppi che hanno capillarmente infiltrato il territorio” e che fanno uso di una “violenza non proporzionata rispetto agli obiettivi.” Tra i protagonisti “si trovano discendenti di storiche famiglie locali che sembravano definitivamente scompaginate” da pentiti e inchieste. Non a caso, al fianco di Sibillo si schierano giovani appartenenti a clan di peso come i Giuliano, i Brunetti e gli Almirante, attivi in un’area che va da Forcella al rione Maddalena.

L’obiettivo è triplice: controllare il centro di Napoli; affrancarsi dal dominio di clan storici come i Mazzarella; e farsi pagare le tangenti (anche sugli introiti dello spaccio) dai loro alleati.

Ma ES17 non si concentra solo su questo. Uno dei personaggi chiave del documentario è Mariarka Savarese, la compagna di Sibillo. È stando a stretto contatto con lei che gli autori sono riusciti ad accedere ai video girati con il cellulare, che raccontano lati inediti del giovane boss. Il primo, mi dice Diana Ligorio, è il suo “aspetto giocherellone: in fondo era pur sempre un ragazzino. Lo si vede da come gioca con Mariarka, oppure quando si dondola sull’altalena.”

Poi c’è, ovviamente, “l’aspetto del compagno, quello più intimo. Era una persona molto affettuosa e molto fisica, lo si percepisce da come scherza con Mariarka.” Insomma, chiosa l’autrice, “in questi video c’è sicuramente l’aspetto più privato, quello che ci fa entrare in una relazione di profondità con lui.”

Savarese, inoltre, racconta la routine quotidiana di Sibillo: “Tornava dalla strada verso le sei del mattino e si metteva a letto. Si svegliava verso le tre o le quattro del pomeriggio; si faceva la zuppa di latte con le gocciole o i pan di stelle e prendeva il telecomando: Uomini e Donne, i tronisti, la De Filippi dal letto.” Una volta a settimana, continua la ragazza, “ci vedevamo anche Gomorra, era forte. Poi la sera spesso andavamo a ballare.”

Quando entrambi hanno 18 anni nasce il loro primo figlio. In parallelo, sul versante criminale, Sibillo sta completando la sua transizione in “ES17”—dove “ES” sono le iniziali, e 17 rimanda alla diciassettesima lettera dell’alfabeto (la S, appunto) ma anche alla “sfiga che brucia.” La trasformazione è anche fisica: Emanuele si fa la cresta e si lascia crescere la barba, inaugurando quel filone di giovani camorristi affascinati dallo stile e dalla brutalità dello Stato Islamico.

A questo proposito, e visto che si è appena citato Gomorra, vi sarete accorti che il personaggio di Sangue Blu è modellato anche su Sibillo. E guardando il documentario, in effetti, tornano in mente alcune delle questioni sollevate dalla serie: è lei ad ispirare la realtà, oppure riporta comportamenti che già esistono? Ho girato queste domande direttamente a Ligorio. “Lavorando sul racconto del reale, ci siamo accorti che la realtà va veramente oltre Gomorra,” mi risponde. “Tant’è che la mia impressione è che i ragazzi della paranza si appropriassero di alcuni codici di Gomorra ma al tempo stesso li portassero più avanti, sviluppandoli in un’ottica di autonarrazione.”

Nel frattempo, l’attivismo sempre più spietato della paranza di Sibillo attira le attenzioni degli inquirenti. A giugno del 2015 finiscono in carcere circa sessanta giovani affiliati delle varie famiglie, mentre Sibillo, insieme a suo fratello Lino, riesce a non farsi arrestare e diventa latitante.

Mariarka, in ES17, racconta addirittura che “a un certo punto ho pregato che facessero più in fretta le guardie a capire dove era latitante. Io ho sperato che Emanuele finisse dentro, ma non l’ho mai detto, non avrei potuto.”

Per il clan dei “capelloni,” è l’opportunità per rialzare la testa. I Buonerba annunciano l’intenzione di non pagare più il pizzo, e questo scatena la durissima reazione di Sibillo e compari. I vari ferimenti nella “Baghdad” di via Oronzio Costa—tra cui quello di uno dei più efficaci sicari di ES17, il 17enne Antonio Napoletano detto “Satana”—spingono ES17 ad agire di persona, nonostante la latitanza.

La decisione si rivela del tutto scriteriata: Sibillo è da tempo il pezzo più grosso da colpire, e infatti i Buonerba si concentrano su di lui. Oltre alle immagini dell’irruzione degli scooter nella stradina, nel documentario si vedono i momenti finali del capo della paranza—ossia il disperato trasporto all’ospedale Loreto Mare, fatto anche dal fratello Pasquale (che verrà preso quattro mesi dopo).

Il documentario si concentra anche sulle eredità lasciate—nella sua pur brevissima vita—da ES17. Dopo la sua morte, mi dice Ligorio, Sibillo in certi quartieri è diventato “una sorta di mito,” che rappresenta un punto di riferimento “per generazioni che hanno bisogno di una forma di riscatto, e che hanno visto in questo ragazzo una sorta di angelo custode che li protegge dalle malefatte.”

A livello di immaginario, poi, ES17 ha influenzato sia la realtà—in suo onore sono state fatte scritte sui muri, video-tributi su YouTube, travestimenti di carnevale e persino una vera e propria cappella votiva nel palazzo dove abitava in vico Santi Filippo e Giacomo—che la fiction.

C’è pure un altro tipo di eredità: Sibillo lascia due figli maschi (l’ultimo non ha fatto in tempo a vederlo), in una famiglia dove gli uomini sono in carcere o morti. E Mariarka, verso la fine, dichiara esplicitamente che ai propri figli vuole raccontare qual è stata la vita del padre perché possano fare una scelta diversa. “Non è un’eroina anticamorra,” mi spiega Ligorio, “non ha questa consapevolezza. Nella sua vita di adesso, però, ha chiaro una cosa: non vuole vedere né carcere né morte.”

L’ultima eredità di Sibillo è quella più amara, e riguarda quello che l’autrice chiama “il fallimento dei progetti educativi.” Quando era in comunità, “Emanuele si era fatto subito notare per le sue doti da leader, e per le capacità nello scrivere e nel parlare. Solo che, una volta uscito, ha deciso di mettere queste doti al servizio di un progetto criminale.”

Non è stata colpa delle comunità, ovviamente, né si trattava di un destino scolpito nella pietra. Nel numero di novembre 2012 del giornale della comunità, Sibillo parlava di camorra in questi termini: “Ormai l’illegalità è da anni radicata, abbatterla appare impossibile e bisogna essere molto bravi ad allontanarsi da certi contesti criminali.” Quello che, alla fine, ES17 ha deciso di non fare.

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