Tra amuchina, mascherine e assalti ai supermercati, la settimana scorsa l’emergenza del nuovo coronavirus (SARS-CoV-2) ha reso abbastanza evidente l’incapacità di tanti italiani di reagire razionalmente nei momenti difficili, complici anche una copertura mediatica che ha utilizzato toni sensazionalistici a più riprese, e il rapido diffondersi di false informazioni nei gruppi WhatsApp e sui social.
Di conseguenza, è stato alimentato anche nel resto del mondo il panico nei confronti dell’Italia, e ora il rischio è di pagarne abbondantemente il prezzo a livello economico. Ecco perché, davanti all’assenza di nervi saldi degli ultimi giorni, ho pensato di chiedere un’opinione a chi vive aspettando proprio momenti come questi: i prepper.
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I prepper sono una variegata sottocultura di uomini e donne che si preparano ad eventi disastrosi e al collasso, provvisorio o temporaneo, del normale funzionamento della società a causa di terremoti, attacchi terroristici, epidemie e apocalissi nucleari.
“Tutto nasce dalla preoccupazione, vissuta in maniera razionale e non paranoica, che qualcosa nella nostra quotidianità possa andare storto e manchino temporaneamente i servizi della società moderna,” mi spiega via chat Giulio, docente di escursionismo e prepper da un paio d’anni.
Giulio vive sempre con provviste per dieci giorni. Inoltre, ha uno zaino pronto contenente un pannello solare chiudibile, powerbank, fornelli a gas con cartucce e borraccia filtrante per l’acqua, kit di primo soccorso e altro ancora. Tuttavia, quando gli chiedo se il coronavirus finora ha cambiato qualcosa nelle sue abitudini, mi risponde che “l’unica differenza è che la mia compagna da una settimana sta a casa lavorando in smart working.”
Con un approccio fatto di tanta previdenza, non c’è da stupirsi se i prepper hanno sorriso davanti agli assalti al supermercato. “Ci prendevano per i paranoici di turno, poi di colpo ho iniziato a ricevere telefonate da gente che mi chiedeva cosa comprare. Ma se vuoi fare le scorte, non le fai nei momenti di caos, [quando] si comprano sciocchezze spendendo una fortuna. Il panico dell’ultimo minuto è esattamente ciò che andrebbe evitato,” racconta via chat Vincenzo, prepper di lunga data e autore di due capitoli del libro Prepping. Ma al di là di questa piccola rivincita personale, Vincenzo mi confida che davanti a eventi che alterano il regolare funzionamento della società, a preoccuparlo sono soprattutto gli esseri umani. “Tutti si concentrano sull’evento in sé,” mi dice, “ma la follia della folla che ne segue è una cosa a cui pochi pensano.”
Un timore condiviso da Alessandro, gestore di Portale Sopravvivenza, uno dei siti italiani più seguiti da chi si avvicina al prepping e il survivalismo. “Non essendo un esperto in ambito sanitario mi affido alle valutazioni dell’ISS, del Ministero della Salute e dell’OMS. Sono preoccupato? Sì, ma più per certe reazioni che per il virus,” mi spiega in una email Alessandro. “La gente sembra completamente in balia del panico, vivo in Valle d’Aosta e ci sono negozietti in vallate sperdute che sono stati svuotati dai turisti, per non parlare della corsa alle mascherine. Perdere la razionalità e la ragionevolezza è stato molto più semplice di quanto mi aspettassi. Cosa succederebbe se ci fosse un evento davvero grave?”
Per via della psicosi coronavirus Portale Sopravvivenza ha visto schizzare gli accessi. “Ho dovuto aumentare le risorse sui server, c’è stato un paio di volte un sovraccarico del sistema. Gli articoli più cercati e cliccati sono stati su maschere antigas e scorte,” racconta Alessandro. “Dagli analytics ho notato che per la maggior parte si trattava di nuovi utenti al primo accesso, molti hanno anche acquistato online e fatto provviste cliccando su alcuni link.”
Per Alessandro non è una cosa negativa, ma il segnale che si è rotto un incantesimo. “Prepparsi non significa temere un’apocalisse nucleare o l’arrivo degli zombie, ma diventare consapevoli che viviamo all’interno di un sistema socio-economico più fragile di quanto crediamo.”
Vincenzo e Alessandro vorrebbero che l’esperienza della scorsa settimana portasse a una seria riflessione su stili di vita, comportamenti e modelli di consumo, necessaria per trovarsi pronti per la prossima crisi, sia essa sanitaria, climatica o sociale. Ma non si illudono che questa consapevolezza maturi davvero nelle persone.
Più in generale, come ha risposto la comunità prepper alla psicosi di questi giorni? “Quella dei prepper è una comunità estremamente eterogenea, molti hanno osservato l’evolversi della situazione con attenzione ma senza psicosi,” mi chiarisce Giulio, aggiungendo però che “se vai nei gruppi Facebook ti renderai conto che anche tra di noi alcuni si sono fatti prendere dalle paranoie, facendo scorte compulsive di mascherine e disinfettanti, qualcuno anche di armi, mentre altri si sono lasciati andare a teorie del complotto e sostengono che tutto questo sia architettato, non si sa bene da chi e perché, ma faccia parte di un piano più grande. Chi dice per venderci poi il vaccino, chi dice per mettere in ginocchio la nostra economia e sovranità.” [Stando a quanto verificato dall’autore in modo indipendente, l’uso di armi appare, come in altre occasioni, inteso in relazione al possibile collasso della società, e non a un sentimento di ostilità verso le persone contagiate. Giulio ha confermato che le discussioni relative alle armi sono ricorrenti nei gruppi e sempre intese a tutela dell’individuo nel contesto di scenari del tutto apocalittici.]
Giulio ammette di non essere rimasto indifferente davanti alla scena di interi paesi bloccati per quarantena e si dice preoccupato per l’ulteriore instabilità sociale provocata da un’ipotetica recessione economica. Allo stesso tempo, fa un ragionamento che è purtroppo quasi totalmente assente dal dibattito di questi giorni: i cambiamenti climatici ogni anno peggiorano e continuano a essere ignorati dai più, sebbene di fatto causino già consistenti danni all’economia e morti per eventi catastrofici, e, in una prospettiva futura, possano creare molti più problemi e instabilità di una sola epidemia.
Non è solo lui a pensarla così: l’OMS stima che tra il 2030 e il 2050 la crisi climatica provocherà ulteriori 250 mila morti ogni anno. Mentre per l’Agenzia Europea dell’Ambiente solo in Italia l’inquinamento dell’aria è già la causa di circa 80 mila decessi l’anno. Per non parlare poi della parte economica: l’IPCC calcola che entro il 2050 le perdite economiche dovute all’emergenza climatica oscilleranno tra gli 8 e i 15 trilioni di dollari.
Ma se un’emergenza apparentemente astratta come quella climatica non può competere mediaticamente con quella immediata e specifica di un virus, non bisogna dimenticare che il riscaldamento globale può giocare un ruolo importante nello sviluppo e nella diffusione di epidemie, perché altera le relazioni ecologiche alla base della trasmissione di malattie infettive. Inoltre, compromettendo il permafrost—cioè il ghiaccio più antico che si trova sul nostro pianeta—può causare il risveglio di virus e batteri antichi rimasti finora dormienti.
Nel 2016 in Siberia, per esempio, lo scioglimento di uno strato di permafrost ha liberato la carcassa di una renna infettata con l’antrace, causando un’epidemia che ha provocato la morte di oltre 2.000 renne, il ricovero in ospedale di 96 persone e la morte di un bambino di dodici anni.
E se l’aumento delle temperature e il conseguente rilascio di agenti patogeni sembra uno scenario da film apocalittico, è vero anche che la conservazione di questi batteri e virus nel ghiaccio è fondamentale per studiare la storia climatica ed evolutiva del nostro pianeta—come ha dimostrato uno studio pubblicato quest’anno e condotto su campioni prelevati nel 2015 da un ghiacciaio in Tibet, in cui un gruppo di scienziati ha rilevato tracce di 28 gruppi virali sconosciuti. In altre parole, salvare il ghiaccio è importante per molti più motivi di quelli che pensiamo.
La settimana scorsa, Fridays for Future Italia ha commentato la situazione attuale dicendo che, perlomeno, la risposta globale al coronavirus offre un barlume di speranza: decisioni rapide e senza precedenti sono possibili.
Ma non dobbiamo augurarci di arrivare al momento in cui l’unica misura possibile per affrontare il cambiamento climatico sarà contenitiva, come quella necessaria davanti a emergenze sanitarie dove prevenire il contagio è fondamentale per proteggere le persone più deboli nella società e non sovraccaricare un sistema sanitario che deve poter garantire mezzi ed energie ai normali pazienti.
La stessa militarizzazione applicata in questi giorni nelle “zone rosse” della Lombardia e del Veneto, se portata su scala globale per l’emergenza climatica può inasprire discriminazioni e violenza verso chi avrebbe invece più bisogno di aiuto.
Se c’è una lezione che possiamo imparare dai prepper è che ripensare la propria vita davanti a una potenziale minaccia è una pratica che richiede tempo, consapevolezza delle fragilità della società e soprattutto costanza. E che se la catastrofe è causata dall’uomo, come nel caso della crisi climatica, si può intervenire prima di essere costretti a vivere in un bunker.
Nota: Una versione precedente dell’articolo riportava che i danni economici dovuti alla crisi climatica oscilleranno tra gli 8 e i 15 trilioni di dollari entro il 2100. La data della proiezione dell’IPCC è però il 2050 e il pezzo è stato corretto per riflettere il dato.