Il 19 aprile 2022 Chloé Bertini, 26 anni, passa la sua prima notte in carcere per imbrattamento e danneggiamento di una sede dell’ENI, il gigante energetico italiano, a Roma. Il giorno seguente, insieme ai due altri attivisti contro la crisi climatica arrestati con lei, viene rilasciata e rimandata a processo.
Poco più di un mese dopo, il 16 giugno, Chloé e altri attivisti, sedendosi a terra in mezzo alla carreggiata, bloccano il GRA, l’anello autostradale intorno alla Capitale simbolo di traffico e inquinamento. In un video si vede un automobilista che minaccia Chloé di investirla, avanzando con la macchina. “Sappiamo che la possibilità di essere insultati o aggrediti esiste e siamo tutti preparati,” mi racconta quando ci sentiamo al telefono.
Videos by VICE
Chloé e gli altri sono attivisti di Ultima generazione, movimento di lotta non violenta e disobbedienza civile sul tema dell’emergenza ecologica e climatica del network A22 diffuso in sette Paesi europei. I movimenti di questo tipo sono in continua crescita nel mondo, e in tutta Europa: un altro esempio è Extinction Rebellion, che solo nel nostro continente conta 824 gruppi in 38 paesi, tutti con l’obiettivo di spingere i governi ad attivarsi seriamente nel contrasto dei cambiamenti climatici.
Le forme di protesta e disobbedienza civile organizzate sono di diversi tipi: alcune con l’obiettivo di sensibilizzare e far parlare del tema, come ad esempio le azioni alla Galleria degli Uffizi di fronte alla Venere del Botticelli il 22 luglio, o al dipinto Peach Trees in Blossom di Van Gogh a Londra lo scorso 30 giugno; altre dirette a bloccare siti inquinanti, altre ancora includono modalità come lo sciopero della fame.
Il 2 settembre Francesco Bollini, 16 anni, inizia uno sciopero della fame, che durerà otto giorni, per le vie di Milano. È il primo a cominciare una staffetta di scioperi della fame con altri attivisti per ottenere un incontro pubblico con i leader dei maggiori partiti e chiedere, a chi poi vincerà le elezioni, di approvare un decreto per bloccare trivellazioni e centrali a carbone. Francesco rientra nel 15 percento di giovani europei tra i 15 e i 35 anni che in un sondaggio condotto da IPSOS si dichiarano “estremamente preoccupati” dalle conseguenze dei cambiamenti climatici.
Si è avvicinato ai movimenti di disobbedienza dopo aver partecipato ad un incontro sulla crisi ambientale a Pavia, la sua città. “Penso tutti giorni a questi temi, sono immerso in questa sensazione di ansia, che credo sia una componente essenziale [per agire] che dovrebbe far parte della vita di tutti,” mi racconta. “Invece intorno a me vedo che le persone conoscono il problema ma non esiste un reale coinvolgimento emotivo e non ne percepiscono l’urgenza. Questo senso di leggerezza che vedo mi devasta.”
La scelta dello sciopero della fame è maturata proprio con l’obiettivo di creare empatia in chi lo avrebbe visto: “presto mancheranno cibo e acqua se non cambiamo le cose, e mi è sembrato quindi la forma di protesta più coerente. È stata l’opportunità di entrare in contatto emotivo con chi mi vedeva,” continua. “Lo scorso anno ho cercato di portare il tema della crisi climatica in classe, ma è molto difficile comunicare solo attraverso i dati e i numeri.”
Il tema dell’ansia e dello stress causati da una profonda consapevolezza della catastrofe climatica, sottolineato anche da un recente studio dell’OMS che chiede ai governi di considerare le problematiche di salute mentale legate al timore dei cambiamenti climatici, è centrale anche per Chloé.
“Qua non stiamo parlando di amore per la natura, qua parliamo di sopravvivenza.” Eppure, continua, “le persone vivono come se questo problema non le toccasse ed è frustante passare giorni impegnati in azioni come il blocco di autostrade o azioni dimostrative contro grosse multinazionali e poi tornare alla propria vita e sentire intorno a te parlare di vacanze o di progetti futuri come se nulla stesse accadendo.”
Per lei è una forma di “dissonanza cognitiva”, ovvero una “specie di negazionismo climatico leggero in cui le persone hanno le informazioni di quello che sta succedendo al nostro pianeta, ma comunque non sentono di esserne coinvolte, di dover agire.”
Per questo si è avvicinata ai movimenti ambientalisti, inizialmente partecipando ad azioni di protesta artistiche, visto il suo passato da ballerina, per poi unirsi a gruppi di disobbedienza civile perché convinta “che il tempo a disposizione per cambiare le cose sia troppo poco per aspettare un cambiamento culturale profondo.”
“Quando mi sono resa conto che non stavo facendo nulla di fronte a questa catastrofe, mi sono sentita un’ipocrita e questo mi faceva stare male. Delle risate o derisioni delle altre persone invece non mi interessa.” In meno di sei mesi Chloé ha cumulato oltre 10mila euro di multe, svariate denunce per il blocco di autostrade, imbrattamenti, danneggiamenti, oltre a un primo arresto alle spalle e un processo alle porte.
Per Chloé l’aspetto più faticoso dal punto di vista piscologico “è la quantità di cose da fare, il doversi fare avanti anche quando magari si è stanchi o non ci si sente in grado. C’è tantissimo lavoro e poca gente disponibile.”
Il rapporto sui cambiamenti climatici 2021 dell’Unione Europea riporta che il 93 percento dei cittadini considera il cambiamento climatico un problema serio, eppure chi si dedica alla lotta contro i cambiamenti climatici denuncia sempre un certo senso di solitudine rispetto alla maggioranza della popolazione.
Ho chiesto a Giulio, 60 anni, membro di Extinction Rebellion prima e Ultima generazione poi, quanto crede che le persone siano realmente interessate a questo tema: “C’è un problema di distrazione di massa perché i media non fanno una narrazione coerente,” mi spiega. “I profitti miliardari dell’industria fossile sono tali da riuscire a influenzare l’informazione, oltre che il potere politico, e a mantenere i cittadini in quello stato di trance in cui alla consapevolezza di quello che ormai si vede e si vive quotidianamente (siccità, desertificazione, ghiacciai che vanno a pezzi, crollo delle produzioni alimentari) si affianca sempre qualcosa che va ad attenuare la sensazione di catastrofe imminente.”
Giulio nel 2018 inizia a partecipare alle manifestazioni Fridays for Future, ispirato anche dall’attivismo di Greta Thunberg. Diventa così organizzatore e protagonista di numerose azioni degli ultimi anni.
Inevitabilmente ne sono derivate conseguenze legali: “Ho avuto diverse denunce, sanzioni amministrative e due fogli di via, uno dei quali già violato più volte. Sappiamo benissimo quello che facciamo, conosciamo le leggi e ci assumiamo in prima persona la responsabilità di ogni azione.” Anche nel suo caso non è quella legale la preoccupazione principale, piuttosto il fatto che “non è bello sentirsi preso per pazzo quando stai semplicemente dicendo come stanno le cose.” “La cosa più difficile,” continua Giulio, “è vivere in mezzo a ciò che ci circonda e non riuscire più a fingere che la catastrofe climatica sia normale e inevitabile, sapendo che invece non è altro che una follia suicida.”
Secondo la narrazione mainstream, solo le fasce più giovani sarebbero davvero interessate a fare qualcosa di concreto per le questioni ambientali, ma secondo chi è dentro il circuito non è propriamente così. “Ogni fascia d’età è rappresentata, dai 16 ai 65 anni; ci sono studenti, lavoratori, pensionati, persone di diverse regioni,” mi spiega Giulio. “Con una certa prevalenza di provenienza dal centro-nord, ma stiamo lavorando per coinvolgere più persone del sud, dove gli effetti del surriscaldamento e della desertificazione sono già presenti e si faranno sempre più gravi.”
In un recente sondaggio del King’s College di Londra, il 17 percento degli intervistati nel Regno Unito ha dichiarato di non credere ad alcuna correlazione tra attività umana e innalzamento delle temperature. Tradotto: milioni di persone non ritengono ci sia nulla da cambiare nel loro stile di vita. “Si deve sperare che sia possibile ottenere i risultati. Non c’è tempo per non crederci,” chiosa Francesco.
Quando domando se c’è il rischio che questi movimenti, frustati da una mancanza di ascolto da parte di governi e opinione pubblica, possano estremizzarsi, Giulio mi risponde: “è difficile dirlo in questa fase, ma esiste un eco-fascismo che, insinuandosi nella narrazione della crisi eco-climatica, porta in realtà disvalori camuffati da ‘recupero delle tradizioni’ e degli antichi modi di vivere. Per questo la nostra adesione ai principi della nonviolenza è assolutamente radicale. Se un cambiamento positivo e duraturo potrà avvenire nella nostra società, questo arriverà solo con metodi nonviolenti.”
Segui Filippo su Instagram.