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Com’è ‘Sono tornato’, il film comico sul ritorno di Mussolini

Tempo fa era circolata sui social una foto scattata alla fermata dell’autobus di piazza Zama a Roma, dove compariva un uomo pelato con l’uniforme di Mussolini. Si trattava di una campagna marketing per Sono tornato, film del regista Luca Miniero (Benvenuti al sud e Un boss in salotto) che esce oggi al cinema.

La trama è piuttosto semplice: nel 2017 il Duce (interpretato molto bene da Massimo Popolizio) torna misteriosamente in vita, e usando la sua proverbiale abilità retorica diventa una star televisiva—sia come stand up comedian, sia come ospite di veri talk show (come Bersaglio mobile di Enrico Mentana) e finti programmi modellati sulle trasmissioni di Maria De Filippi. In tutto ciò, per tastare l’umore degli italiani, il Mussolini-che-tutti-scambiano-per-un-comico gira l’Italia insieme all’aspirante documentarista Andrea Canaletti—interpretato molto male da Frank Matano.

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La pellicola è un remake pressoché pedissequo di Lui è tornato, film comico tedesco del 2015—a sua volta adattamento del libro omonimo di Timus Vermes del 2012—in cui si immagina il ritorno di Hitler nella Germania contemporanea. E “pedissequo” non è un eufemismo: per la quasi totalità del film le scene, i protagonisti e la tecnica mista film/documentario (con riprese dal vivo e interviste alla gente comune) sono le medesime.

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In Germania, nonostante diverse critiche, il libro ha avuto un inaspettato successo di pubblico—parzialmente dovuto, per Vermes, al disorientamento nel “realizzare che Hitler può essere attraente” e al fatto che non averlo dipinto come un mostro avrebbe costretto i lettori a interrogarsi sui motivi dell’ascesa del nazismo. “Prima abbiamo cercato di non nominarlo. Poi l’abbiamo trasformato in un mostro. Poi ci abbiamo riso sopra. Questo è il prossimo passo,” ha dichiarato.

Frasi del genere non avrebbe senso in Italia, per motivi storici e culturali. In tedesco esiste il Vergangenheitsbewältigung, la riflessione critica sul nazismo e il superamento costruttivo del passato (anche attraverso il processo di denazificazione). Qui, appunto, no. Tra lo stato fascista e quello repubblicano c’è stata una certa continuità, come ha documentato il recente Gli uomini di Mussolini; mentre i crimini del regime sono stati amnistiati o collettivamente rimossi, grazie a storielle come quella del “cattivo tedesco” e del “buono italiano.” Per questo, credo che il più grosso problema di Sono tornato—oltre a Frank Matano—sia la trasposizione nel contesto italiano.


Una recensione del Fatto Quotidiano dice che col film “il cinema italiano ha infranto un tabù decennale.” A ben vedere, tuttavia, non esiste alcun “tabù decennale”—né al cinema (si pensi a Mussolini ultimo atto di Carlo Lizzani), né fuori. Basta guardare le prime pagine di certi giornali, i muri delle città, le bufale sui social, il linguaggio di certi politici, il nostalgismo kitsch di Predappio, i talk show che invitano i fascisti in nome del “pluralismo democratico.” E potrei andare avanti a lungo.

Abbastanza paradossalmente, tutto ciò è a malapena accennato in un film che ha Mussolini come protagonista. D’accordo: c’è la scena nel circolo neofascista, ci sono i saluti romani dei passanti alla fine, ma nient’altro. L’intenzione del regista, dopotutto, è quella di non mettersi “su un territorio ideologico” ma di “riflettere sui desideri degli italiani”—che è poco più di una frase fatta.

In base a quanto dichiarato da Miniero in alcune interviste, inoltre, il reale obiettivo polemico del film è il “populismo” che ha già “profondamente condizionato tutta la società grazie a un sistema dei media complice.” Il populismo però non è uguale al fascismo: sono cose diverse, come tentano di spiegare (invano) tutti i maggiori esperti sul tema.


Se si confondono i due piani si ottiene il Mussolini di Sono tornato: una specie di avatar interscambiabile con altri politici che spara frasi ad effetto, è abilissimo a manipolare i media e a tratti non sembra nemmeno ideologicamente fascista.

Siamo lontani da opere satiriche come quella del fumetto Quando c’era Lvi, che pure prende spunto dal romanzo di Vermes. Piuttosto, è un pigro adattamento che però lascia fuori la domanda di fondo di Lui è tornato: la Germania del ventunesimo secolo si è liberata del tutto delle tossine naziste?

Il libro (non il film) si chiude con Hitler—in procinto di scrivere un nuovo Mein Kampf e condurre una sua trasmissione—che guarda dei manifesti con la sua faccia e lo slogan “Non era tutto sbagliato.” Il valore sta dunque nello scavare sul rimosso nazista per illuminare il presente democratico; nel descrivere come l’ora e l’allora si compenetrino più di quanto l’opinione pubblica tedesca sia disposta ad ammettere.

In Italia è dal 1946 che una parte di questo paese è convinta che non sia stato tutto sbagliato. E alla fine, forse, un titolo (e una trama) più adatto sarebbe stato Non vi ho mai abbandonato, stronzi, e continuo a essere qui con voi.

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