Il problema della sismicità indotta potrebbe essere molto più grave di quanto crediamo

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Esiste un legame tra sismicità e Real Madrid?

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Paradossalmente sì, e il suo nome è Florentino Perez — da una parte proprietario del club madrileno dei Blancos, dall’altra azionista di maggioranza del Gruppo ACS, gigante spagnolo delle costruzioni e dei servizi.

Nel 2013 la sua compagnia ha lanciato il progetto Castor, un grande deposito offshore situato a 1.750 metri di profondità al largo di Valencia e in grado di stipare fino a 1.300 milioni di metri cubi di gas naturale.

Dopo l’avvio del progetto nel 2009, la zona è stata interessata da una serie crescente di episodi sismici, fino all’evento culminante del primo ottobre del 2013 — uno spaventoso terremoto di magnitudo 4,3 della scala Richter.

È stato questo uno dei casi internazionali più recenti di sismicità indotta, definita come una “sismicità generata da variazioni del campo di stress attribuibili ad attività antropiche o a fenomeni naturali non legati alla deformazione tettonica della crosta terrestre.”

In pratica, sismi creati dall’uomo attraverso un panorama di attività molto ampio — dallo stoccaggio di CO2 e gas, alla geotermia e all’estrazione petrolifera.

Sono numerose le attività che svolgono un’azione di stress sulle faglie, traducendosi in alcuni casi nella rottura della roccia e in eventi sismici di differente entità.

Tra queste ci sono l’immissione di acqua ad alta pressione nel sottosuolo per aumentare la permeabilità del terreno nella geotermia; l’utilizzo di esplosivi; la perforazione di pozzi per l’estrazione di petrolio; l’immissione e l’estrazione continua di gas e CO2 nel caso dello stoccaggio di questi ultimi.

Nel caso di Florentino Perez, i danni creati dal progetto Castor causarono alla sua controllata ACS un processo che si chiuse con un obbligo di risarcimento di oltre 1,350 miliardi di euro, nonché la sospensione delle attività di stoccaggio nell’impianto.

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Ma quello della sismicità indotta non è solo un problema spagnolo.

In Olanda le trivellazioni di gas naturale nell’area di Groningen, avviate negli anni ’60 da Shell ed ExxonMobil, hanno reso sismica una zona fino a cinquant’anni fa mai interessata da terremoti.

Se per decenni le due compagnie impegnate nell’attività estrattiva hanno ridimensionato il problema respingendo le accuse di essere causa della sismicità nell’area, nel 2012 si sono dovute arrendere —quando un terremoto di magnitudo 3.6 Richter ha causato numerosi danni alle abitazioni della regione.

Nel settembre del 2015 si è poi arrivati ad una sentenza storica, che obbliga le due compagnie estrattive a risarcire gli abitanti dell’area tanto per i danni materiali creati alle abitazioni, quanto per il drastico calo del valore degli immobili dovuto all’improvvisa sismicità dell’area.

Si parla di un piano di risarcimenti che coinvolge oltre 100mila edifici, per una spesa totale a carico delle compagnie di circa 5 miliardi di euro.

Problemi di sismicità indotta si trovano poi in numerosi altri Paesi. Negli Stati Uniti, l’Oklahoma è martoriata da eventi sismici di origine antropica arrivati ormai ad una magnitudo Richter vicina al 6 — col passaggio da uno-due terremoti all’anno superiori alla magnitudo tre fino al 2008, ai 585 del 2014.

In Svizzera, la provata origine antropica di alcuni terremoti ha portato alla chiusura dei due impianti geotermici di San Gallo e Basilea. In Canada invece, proprio in questi giorni sono state interrotte le operazioni della Repsol nell’Alberta per l’avvio di attività investigative sul presunto legame tra l’attività estrattiva ed il terremoto di magnitudo 4.2 Richter avvenuto il 12 gennaio.

Tra i paesi interessati da sismicità indotta spicca anche l’Italia. Quello dell’origine ‘indotta’ dei terremoti è stato un tema taciuto fino al 2013, quando a seguito del decreto sblocca-Italia sono state introdotte misure di monitoraggio più stringenti per gli impianti impegnati nelle attività a rischio.

L’argomento divenne tabù negli anni ’60, a seguito della pubblicazione di alcuni articoli da parte del Prof. Pietro Caloi che individuavano un nesso causale tra le attività dell’uomo e la sismicità registrata al Vajont nel periodo precedente alla tragedia. Si diffuse così l’idea che questi ripetuti sismi causati dall’uomo furono una delle cause alla base della tragica frana del 1963.

“Fino agli anni ’60-’70 le varie compagnie non avevano alcun problema a spiegare il modo in cui veniva gestita la sismicità indotta e come essa venisse mantenuta al di sotto di una certa soglia,” racconta a VICE News Marco Mucciarelli, Direttore del Centro Ricerche Sismologiche OGS. “Poi si è passati ad un negazionismo totale: la sismicità indotta ha improvvisamente cessato di esistere.”

Secondo uno studio dell’ISPRA, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, dagli anni ’60 ad oggi – ovvero il lasso di tempo per cui sono presenti dati che hanno permesso uno studio approfondito – i terremoti di origine indotta in Italia sono stati sedici.

Tra questi, il più forte è stato senza dubbio il terremoto dell’Amiata del primo aprile del 2000, che con la sua magnitudo compresa tra il 3.6 e il 4.1 della scala Richter ha causato anche danni alle abitazioni locali.

L’ipotesi della natura indotta del terremoto fu respinta ai tempi tanto dall’Enel, titolare dei diritti di esplorazione geotermica nell’area, quanto dalle istituzioni. Alla fine venne dichiarato lo status di calamità naturale, con il conseguente inserimento dei costi della ricostruzione nella spesa pubblica statale e senza l’apertura di alcun procedimento giudiziario.

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In molti si sono spesi in questi anni per dimostrare la natura indotta di quel terremoto. Nel paper Faults strengthening and seismicity induced by geothermal exploitation on a spreading volcano, Mt. Amiata, pubblicato nel 2015 sul Journal of Volcanology and Geothermal Research, un gruppo di ricercatori italiani giunge alla conclusione che nell’area “una percentuale relativamente alta (vale a dire circa il 5%) degli eventi registrati ha origine dall’idro-fratturazione.”

Tra questi ci sarebbe anche il terremoto del primo aprile del 2000, come spiega a VICE News Andrea Borgia, geologo della European Development Research Agency (EDRA) e docente presso il Dipartimento di Mineralogia di Milano, nonché uno degli autori del paper.

“Quel terremoto è il classico esempio di terremoto innescato, scatenato cioè dal fatto che veniva pompata acqua nel sottosuolo per idro-fratturare la roccia ed aumentarne la permeabilità — il cosiddetto fracking. Il tremore armonico generato dal pompaggio era così elevato che 15 giorni prima dell’evento avvertii il medico di Abbadia SS sulla possibilità che ci potesse essere un terremoto.”

Negli anni a seguire il fracking è stato vietato, e si è passati alla fratturazione della roccia per mezzo di esplosivi — un’evoluzione che tuttavia potrebbe non aver migliorato di molto la situazione, almeno secondo Borgia. “L’esplosivo crea un’onda d’urto che aumentando la pressione nei fluidi di poro tende a spaccare le rocce,” continua lo studioso, “e in fin dei conti è simile al fracking.”

Il fatto che ci siano voluti così tanti anni per dimostrare la natura antropica di alcuni terremoti è dovuto al fatto che fino al 2013 non vi era alcun obbligo, per le compagnie impegnate nella attività estrattive, di rendere pubblici i dati raccolti. Non solo: il monitoraggio sismico delle aree soggette allo sfruttamento avveniva per mano delle stesse compagnie, che gestivano in modo diretto le reti sismiche installate nei differenti impianti.

La somma di tutti questi elementi ha causato, in passato, un problema di trasparenza. “Nel corso degli anni sono riuscito a realizzare qualche lavoro sul tema, come quello sulla Diga di Ridracoli” spiega a VICE News Mucciarelli, “ma erano eventi straordinari, mancavano proprio il materiale e i dati su cui lavorare.”

Come detto, qualcosa è cambiato a partire dal 2013.

Con l’introduzione delle nuove linee guida, non solo tutti gli impianti – tanto quelli legati alla geotermia quanto quelli impegnati nello stoccaggio di gas e CO2 – devono dotarsi di sistemi di monitoraggio più seri, ma devono anche rendere pubblici i dati a disposizione.

In caso di terremoti indotti superiori alla magnitudo 2 della scala Richter, si procederà ad una limitazione nelle operazioni di estrazione e stoccaggio. Se l’eventuale sisma superasse la magnitudo 3, l’impianto verrebbe invece chiuso.

Nonostante ciò, qualche problema di trasparenza esiste ancora, secondo i ricercatori. “Le linee guida non sono immediatamente obbligatorie ma sono ad adesione volontaria,” spiega infatti Mucciarelli, che sottolinea come questo comporti la loro adozione quasi automatica da parte degli impianti più recenti e tempi lunghi per quelli più vecchi — soprattutto a causa dei costi di adeguamento elevati.

Questa situazione di criticità ha portato un gruppo di cittadini dell’area dell’Amiata a formare SOS Geotermia, un movimento locale per la salvaguardia del territorio dai rischi legati alle attività antropiche.

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Oltre al problema della sismicità, i cittadini sottolineano come l’attività di ENEL nella zona stia causando un profondo inquinamento dell’atmosfera e del suolo, così come della falda acquifera. “La regione Toscana appoggia il progetto di Enel che attraverso l’enorme guadagno ricevuto dal meccanismo dei certificati verdi, dei sussidi e dei finanziamenti pubblici, distribuisce alla stessa Regione ed ai comuni una pioggia di denaro a titolo di compensazione ambientale” afferma il comitato Amiatino.

Abbiamo chiesto al Prof. Mucciarelli quali sono le aree più a rischio in Italia, al di là di quella dell’Amiata dove ancora oggi si registrano piccole scosse sismiche indotte.

“Il rischio legato alla sismicità indotta segue la mappa della sismicità naturale, ma al rovescio” afferma il geologo, che aggiunge: “Nelle aree ad alta sismicità naturale ci sono norme tecniche che prevedono che gli edifici vengano costruiti bene. Ecco perché qui la sismicità indotta creerebbe meno problemi”.

Le zone più critiche, secondo Mucciarelli, sarebbero attualmente quelle della costa adriatica, la Sardegna e la Val d’Agri in Basilicata. In questi contesti, il sommarsi di eventi a bassa magnitudo nel corso del tempo può accrescere lo stress sulle faglie, con il rischio conseguente di attivazione di una rottura e dunque di terremoti più forti.

Tra le zone rosse il geologo include anche la Pianura Padana. È proprio qui che si è verificato uno dei terremoti più distruttivi degli ultimi decenni, quello che tra il 20 maggio e il 29 maggio del 2012 ha causato ventisette vittime e decine di migliaia di sfollati nell’area emiliana della regione.

A seguito di una pubblicazione di Science nella quale si ipotizzava un parallelo tra il terremoto e l’attività estrattiva nell’area, il Ministero dello Sviluppo Economico decise di istituire una commissione internazionale di esperti al fine di effettuare uno studio approfondito sulla questione.

Il risultato fu la Relazione Ichese – International Commission on Hydrocarbon Exploration and Seismicity in the Emilia Region – che in due anni di lavoro non riuscì però a smentire quanto esposto nell’articolo di Science.

“L’attuale stato delle conoscenze e l’interpretazione di tutte le informazioni raccolte ed elaborate non permettono di escludere, ma neanche di provare, la possibilità che le azioni inerenti lo sfruttamento di idrocarburi nella concessione di Mirandola possano aver contribuito a innescare l’attività sismica del 2012 in Emilia,” si legge nel rapporto.

Il Ministero dello Sviluppo Economico decise allora di formare una nuova commissione di esperti internazionali, questa volta con la sottoscrizione di Assomineraria e di Padana Energia — titolare della concessione estrattiva nell’area. Il nuovo team giunse alla conclusione che non vi fu alcun legame tra attività antropiche e sisma nel caso dell’Emilia Romagna, smentendo di fatto i dubbi lasciati in piedi dal Rapporto Ichese. L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia dichiarò semplicemente di “prendere atto” dei nuovi risultati.

Ciò che stupisce oggi da un punto di vista istituzionale è che nonostante la relazione dell’Ispra, nonostante il lavoro di geologi e sismologi italiani e nonostante i numerosi casi di sismicità indotta documentati all’estero con tanto di risarcimento a carico delle compagnie, il Ministero dello Sviluppo Economico continua a considerare la sismicità indotta da attività antropiche un tema insussistente. “Nessuno degli studi e delle analisi condotte in questi anni ha evidenziato possibili correlazioni fra fenomeni sismici e lo stoccaggio di gas nel sottosuolo in Italia,” si legge sul sito, un’affermazione che in parte contraddice le stesse linee guide approvate dal Governo nel 2013.

“Quello della sismicità indotta è senza dubbio un problema importante per l’Italia, ma resta relativamente piccolo” spiega a VICE News il Prof. Mucciarelli quando gli chiediamo il motivo per cui a livello pubblico si parla così poco della questione.

“Io stesso, per quanto sismologo, più che per la sismicità indotta sono preoccupato per il forte terremoto di magnitudo sette che per quanto ne sappiamo potrebbe avvenire già domani mattina, e per il quale le istituzioni stanno prendendo misure di mitigazione largamente insufficienti rispetto alle necessità.”

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Foto di Simon Fraser via Flickr in Creative Commons