Tutto inizia con un fastidio che mi colpisce solitamente mentre sto lavorando: può essere un mal di testa, una fitta allo stomaco, una botta al ginocchio che mi fa vedere le stelle ogni volta che sfioro la gamba con la mano. In un secondo momento attenuo con un antinfiammatorio e/o antidolorifico, e infine la sera, a letto, quel fastidio diventa l’oggetto delle mie ricerche davanti a uno schermo luminoso. Così, ogni volta che sto male finisco in un vortice di link, forum e articoli medici che mi conducono negli abissi delle diagnosi più nere.
Questa routine è da moltiplicarsi per tutti i giorni in cui il dolore persiste, finché le mie esplorazioni nel delicato mondo delle informazioni sulla salute diventano sempre più frequenti e lunghe, superando il tempo che spreco per le stories su Instagram. E so di non essere l’unico. Ma quanto è sbagliato questo comportamento? Andare direttamente dal medico non sarebbe cosa buona e giusta? Perché non riesco a smettere, pur sapendo che cercare i sintomi su internet non è una buona idea?
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Secondo uno studio del 2018 condotto dal Centro Medico Santagostino, circa il 97,6 percento del campione di pazienti intervistato ha dichiarato di ricercare in piena autonomia le informazioni sulla salute online. “Sono due gli aspetti attorno ai quali si concentrano gli interessi: i sintomi (75,9 percento) e le patologie (73,9). Al terzo posto quelle sui farmaci, con il 67,6 percento delle risposte (modalità di somministrazione, effetti collaterali etc.), a questi seguono le informazioni riguardanti gli esami e l’interpretazione dei referti,” si legge nei risultati dello studio.
Sono indubbiamente dati molto alti perché presi tra pazienti, e non mi stupirebbe affatto se appartenessero tutti ai “17 milioni [ di italiani] che soffrono con grande frequenza di piccoli disturbi che incidono sulla loro vita,” come si legge in un articolo Il Sole 24 Ore. Nello stesso articolo, riportando i dati di una ricerca del 2017 condotta dal Censis in collaborazione con Assosalute, si afferma che gli italiani che si affidano di primo acchito a internet per informazioni sullo stato di salute sono il 28,4 percento (36,9 tra i millennial, generazione a cui appartengo).
Ora: la più grande obiezione che viene posta alle persone che googlano i loro problemi di salute è che su internet è facile incappare in fonti inaffidabili. Il sito della Fondazione Veronesi ha ripreso il vademecum della Health on the Net Foundation, secondo cui un sito di informazione medica per essere affidabile: 1. deve riportare chiaramente il nome dei suoi proprietari o sponsor. 2. non intende sostituirsi ai consigli del medico. 3. deve possedere un comitato editoriale o un comitato consultivo 4. deve contenere informazioni accompagnate da referenze esplicite e, se possibile, da link di pubblicazioni scientifiche. Infinite, è necessario verificare la data dell’ultimo aggiornamento o la data di copyright per assicurarsi che il sito contenga informazioni recenti.
A confermarmi che queste verifiche siano necessarie è Laura Guaglio, psicologa e psicoterapeuta: “informarsi su fonti affidabili è indispensabile, ma questo non significa che l’utente non possa provare lo stesso ansia nel leggerle e metabolizzarle.” Dal canto mio non posso far altro che confermare: ogni volta che scorro un articolo medico, c’è sempre quel paragrafetto che per dovere di cronaca—e con tutti i disclaimer del caso—mi informa sulla remota possibilità che mi stia per toccare un grave male. Dopo cerco di non pensarci più, ma c’è gente che ci entra in fissa.
“Il costante stato di preoccupazione generato dall’ossessiva ricerca di informazioni sul nostro stato di salute su internet è definito cybercondria, termine che fonde la parola cyber e la parola ipocondria,” continua Guaglio.
“Sintetizzando al massimo, questo significa che una persona ipocondriaca—che vive costantemente con la paura che i propri sintomi possano essere un campanello d’allarme di gravi patologie—sarà molto propensa alla cybercondria. Ma può capitare anche il contrario: una persona che si è sempre preoccupata in maniera equilibrata della sua salute può diventare cybercondriaca, una volta entrata nel circolo vizioso della ricerca di informazioni mediche, o peggio, di un’auto-diagnosi.”
Uno dei luoghi in cui l’ansia è davvero tangibile sono i forum, in cui gli utenti possono interagire tra loro o confrontarsi con esperti—e in entrambi i casi scrivere il flusso di coscienza che gli passa per la testa. Come utilizzarli per far sì che l’ansia non assalga? “Diciamo che i forum possono essere una forma di sostegno nel momento in cui gli utenti hanno una patologia conclamata, basata su una diagnosi certa. Nel caso in cui si è invece alla ricerca di quest’ultima sono spesso controproducenti, perché il più delle volte sono sempre fonte di allarmismi e preoccupazioni fomentate tra utenti e soprattutto per chi legge.” mi dice Guaglio. “Nei forum in cui rispondono i medici, invece, questi ultimi suggeriscono puntualmente a chi è in cerca di una diagnosi di rivolgersi al proprio medico di base o uno specialista per dei controlli, perché dietro uno schermo si può fare obiettivamente poco.”
E non è detto nemmeno che, in caso si opti per dei controlli, ovviamente (e parlo per esperienza personale) si abbiano subito dei riscontri. “Quando magari la risposta del medico non ci soddisfa e continuiamo a non sentirci in forma, il rischio è di immergersi ancora di più nell’online,” continua Guaglio.
Proprio su questo aspetto, mi è capitato di leggere un commento di Michele Cucchi, psichiatra e direttore sanitario del Centro Medico Santagostino, che trovo molto a fuoco: “Le persone cercano una risposta precisa alla loro condizione, sempre. Non accettano il ‘non so’, ‘non capisco bene’, preferiscono credere spesso a una spiegazione ‘alternativa’ trovata sul web, magari senza basi scientifiche. Ma alla fine internet purtroppo fa sì che l’ansia aumenti e non diminuisca.”
A tal proposito, Guaglio mi spiega che “se, dopo tutti i controlli del caso, i dolori persistono nei mesi, non è stata trovata nessuna causa organica, e si è accertati che si tratti di dolori psico-somatici—ovvero dolori fisici reali, ma derivanti da un malessere psicologico—sviluppare al contempo la cybercondria non aiuta.” In questo caso, al posto di internet, i “colloqui psicologici per capire da dove scaturiscano i messaggi di profondo disagio che la nostra mente, attraverso il nostro corpo, sta cercando di comunicarci, possono essere una strada molto più efficace.”
Al momento, non so se trovare questa risposta confortante o meno. Nell’attesa, mi sa che torno un attimo sulle stories Instagram che mi devo distrarre.
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