Perché la campagna contro le Ong ha prodotto danni irreversibili

Ieri pomeriggio, dopo che si era parlato di un “regolare controllo,” la magistratura italiana ha disposto il sequestro della nave Iuventa, gestita dalla Ong tedesca Jugend Rettet e scortata a Lampedusa da uno spiegamento della Guardia costiera e delle forze dell’ordine.

L’accusa mossa dalla procura di Trapani è quella di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Secondo i magistrati, in tre episodi specifici la Iuventa avrebbe “raccolto” migranti da imbarcazioni che non erano in imminente pericolo di affondamento. Nel provvedimento di sequestro si parla infatti di “migranti che vengono scortati dai trafficanti libici e consegnati non lontano dalle coste all’equipaggio della Iuventa. Non si tratta dunque di migranti salvati, ma consegnati.”

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Il punto è estremamente delicato e controverso, e sta alla base di tutte le polemiche di questi mesi che hanno alimentato la storia dei “taxi del Mediterraneo”.

Naturalmente, bisognerà aspettare l’eventuale processo per vedere se l’attività della Jugend Rettet rientri nel codice penale o meno. Secondo alcuni esperti, più che di favoreggiamento si dovrebbe parlare di un vero e proprio “reato di solidarietà,” visto che l’azione di Jugend Rettet è chiaramente improntata a finalità umanitarie e di salvataggio, e non ci sono prove di passaggi di denaro o quant’altro.

A ogni modo, si può tranquillamente ragionare sul come si sia arrivati a questo punto. L’indagine non è un’iniziativa spontanea della procura, ma è partita dalla denunce di altre Ong—tra cui Save the Children, a bordo della cui nave (la Vos Hestia) c’era addirittura un agente infiltrato—infastidite e/o insospettite dalle azioni di Jugend Rettet. Non è un particolare di poco conto: a differenza di una certa letteratura che ha dipinto un blocco monolitico intento a “destabilizzare l’economia italiana,” la realtà è che non è mai esistito un “fronte delle Ong”; al contrario, le organizzazioni sono sempre state divise sia a livello ideologico, che soprattutto operativo.

Ed è proprio su queste divisioni che si è giocata l’intera partita intorno al “codice di condotta” che il governo italiano ha proposto alle Ong qualche giorno fa. Il documento consta di 13 punti che da un lato ricalcano prassi già in uso, e dall’altro prevedono la presenza di agenti armati a bordo delle navi, il divieto di trasbordo da una nave all’altra e il recupero delle barche utilizzate dai trafficanti. Sebbene sia stato presentato come una specie di atto normativo per fare “ordine” nei salvataggi nel Mediterraneo, in realtà si tratta di un’iniziativa priva di alcun valore legale che ha l’intento—puramente politico—di separare i “buoni” dai cattivi,” e di acuire le numerose contraddizioni in seno alle Ong.

Con simili premesse, era scontato che la trattativa naufragasse; tant’è che cinque Ong su nove (tra cui la stessa Jugend Rettet) non l’hanno firmato. Il diniego più importante è sicuramente quello di Medici Senza Frontiere, che ha argomentato estensivamente le sue ragioni—su tutte la contrarietà di avere armi a bordo, il timore di diventare “uno strumento di indagine e magari, un domani, anche uno strumento in una operazione militare,” e il rischio di subire rallentamenti nei soccorsi. L’ammiraglio Giorgio De Giorgi—che fino al 2016 è stato capo di stato maggiore della Marina Militare—ha dato ragione a MSF e a chi non ha firmato, dicendo che “i problemi non si risolvono danneggiando, ostacolando l’opera delle Ong che salvano la gente in mare.”

A parte De Giorgi e poche altre eccezioni, però, la stragrande maggioranza della politica e dell’opinione pubblica ha vissuto la decisione di MSF come una sorta di tradimento, e dunque come l’ammissione implicita di una qualche forma di colpevolezza.

Marco Travaglio (in un editoriale intitolato “Basta Mar West“) ha scritto che “chi rifiuta il Codice autorizza il sospetto—spesso, ma non sempre infondato—di avere qualcosa da nascondere. Per esempio i rapporti opachi con gli scafisti.” Fulvio Scaglione su Linkiesta ha definito il rifiuto del codice “un segnale di sconvolgete presunzione.” Qualcuno ha addirittura parlato di “estremismo umanitario”—ammesso e non concesso che quest’espressione voglia dire qualcosa.

A queste opinioni si uniscono le vecchie accuse alle ONG, esacerbate dalle intercettazioni della Iuventa e dalle foto della “consegna” dei migranti spiattellate ovunque con grande risalto—è un po’ come se si fosse trovata la pistola fumante del Grande Complotto, la prova definitiva dell’invasione organizzata e finanziata da “filantropi internazionali” o dalla Germania (quelli di Jugen Rettet sono borghesi tedeschi: volete che la Merkel non sia coinvolta?).

Solo che, giunti ormai a quasi un anno dall’inizio della campagna contro le Ong, la convizione che si tratti di qualcosa di losco non è appannaggio di Matteo Salvini o Maurizio Gasparri: è talmente radicata da essere trasversale. Il governo italiano, specialmente nella persona del ministro dell’Interno Marco Minniti, ha cinicamente sfruttato questo persistente alone di infamia per portare avanti la propria agenda politica sull’immigrazione, tutta orientata a diminuire i flussi con ogni mezzo possibile—incluso un forte ridimensionamento delle navi delle Ong, o persino la loro totale rimozione.

Non a caso, stando a un retroscena pubblicato oggi da La Stampa, si starebbero studiando sanzioni per chi non ha firmato. Secondo un’altra fonte, dal Viminale si conferma che “le capitanerie, la Finanza e la Guardia Costiera intensificheranno i controlli.” E questo perché “lo scenario sta per cambiare: avremo operative le motovedette consegnate da noi alla Libia poi, previo passaggio parlamentare [che c’è stato ieri], avremo anche le nostre navi dislocate in prossimità delle coste.”

L’intento non potrebbe essere più chiaro: bloccare la partenze alla fonte, cioè in Libia, dando supporto a una delle guardie costiere locali e uno dei governi libici (quello di Serraj). Non sorprendentemente, il generale Haftar ha subito minacciato di bombardare le navi italiane. Come è stato fatto notare, l’Italia sta perseguendo una strategia che ha già sperimentato anni fa—sebbene in un contesto completamente diverso—e che ci è costata una storica condanna alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Allo stato attuale, infatti, respingere i migranti in Libia significa solo una cosa: condannarli a subire abusi, torture e violenze nei centri di detenzione di un paese sconquassato.

Così facendo, però, almeno si tengono lontano i migranti dalle coste italiane. Tra qualche mese ci saranno le elezioni, e una flessione nel numero degli arrivi è un ottima carta da spendere. In un contesto del genere, insomma, si capisce perfettamente come le Ong diano un enorme fastidio—non solo per quello che fanno (chiaramente non esente da critiche, visto che non parliamo appunto di un fronte unitario e granitico); ma anche e soprattutto per quello che rappresentano.

Nonostante le audizioni parlamentari abbiano confermato la sostanziale correttezza dell’operato delle Ong, nel corso del dibattito è emersa una “velenosa tendenza a ‘sporcare tutto’, che è tanto più irresistibile quanto più il bersaglio del fango da buttare appare lindo, immune da brutture, privo di zone grigie e ombre sospette.” Inoltre, ha scritto il senatore Luigi Manconi, “le insinuazioni e la diffidenza che ne consegue non solo sfregiano le Ong e ne deturpano il prestigio, ma ottengono l’effetto di erodere i valori cui si ispirano.”

E l’erosione dei valori umanitari e di solidarietà è indubbiamente il danno maggiore cagionato da mesi e mesi di polemiche, che sono ben lungi dall’essere finite. A essere travolte, infatti, non sono state solo le organizzazioni non governative in sé; è proprio il concetto stesso di soccorso in mare.

Se dovessi riassumere questo atteggiamento con un’espressione, sarebbe sicuramente qualcosa come: “Non ho niente contro chi salva gente in mare, ma…” O meglio ancora, come ha detto il senatore del PD Stefano Esposito: chi salva vite è mosso dall’”ideologia,” e noi questo non possiamo permettercelo.

In questo senso, l’operazione può dirsi perfettamente riuscita: partita da un post di un oscuro think tank olandese, la campagna si è ingrossata a dismisura ed è finita con il determinare l’orientamento politico di quasi tutti i partiti—compresi quelli che, sulla carta, dovrebbero essere “progressisti”—e a guidare l’azione di un governo.

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