Barricate a Kiev. Foto di Phil Caller.
In ogni conflitto o situazione rivoluzionaria che si rispetti, a un certo punto saltano fuori “volontari” stranieri, turisti del brivido, mercenari e combattenti da diverse parti del mondo. C’è chi lo fa per passione, chi per fuggire dalla vita ordinaria, chi per soldi e chi per ideologia. E in Ucraina, dove le trattative per pacificare il paese non riescono minimamente a placare le violenze nell’Est del paese, apparentemente non c’è stata eccezione a questa regola.
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Lo scorso febbraio, nella fasi conclusive di Euromaidan, il Daily Beast riportava che un gruppo di “neonazisti svedesi” era accorso a Kiev per supportare gli estremisti ucraini e “salvare la razza bianca”. Nel corso della separazione della Crimea, invece, si era registrata la presenza di veterani di guerra serbi, apparsi in alcuni checkpoint per coadiuvare le operazioni dei filo-russi. Più recentemente, nell’est dell’Ucraina, diverse testate hanno evidenziato come gruppi di combattenti ceceni si siano uniti ai separatisti di Donetsk.
Da qualche tempo a questa parte, anche da noi si specula sulla presenza di italiani in Ucraina. Tra la fine di aprile e l’inizio di maggio aveva cominciato a girare parecchio un video in cui un militare ucraino conversa in italiano con dei giornalisti, probabilmente nei pressi di Kramatorsk. Nei circoli complottisti o filo-russi, quel video è diventato la prova che pericolosi “miliziani italiani” alla diretta dipendenza dell’“esercito fascista che opera in Ucraina” già “combattono contro i russi.”
Peccato che la storia non fosse vera. La smentita è arrivata da uno dei due giornalisti ritratti nel video, che racconta come il fantomatico “mercenario italiano” fosse semplicemente “un soldato dell’esercito inviato da Kiev,” un ucraino che “ha vissuto 12 anni in Italia” e che “per questo parla la nostra lingua.”
Il 10 giugno 2014 Pavel Gubarev, l’autoproclamato Governatore della Repubblica Popolare di Donetsk nonché Comandante della Milizia del Donbass, ha pubblicato uno status sul suo profilo Facebook in cui annunciava l’arrivo di due volontari italiani pronti a combattere nelle file dei separatisti.
Nel post, i due italiani vengono definiti “rappresentanti dell’organizzazione italiana ‘Millenium’” che hanno “espresso la volontà di supportare la Resistenza Nazionale contro la giunta di Kiev.” Secondo gli accordi siglati tra “gli antifascisti italiani” e lo stesso Gubarev, continuava lo status, “i volontari italiani saranno posti sotto il comando di Igor Strelkov, comandante in capo delle forze armate della Repubblica Popolare di Donetsk [e] si impegneranno anche a consegnare aiuti umanitari alla popolazione del Donbass.” Gubarev concludeva annunciando la formazione di “divisioni internazionali” che coinvolgerebbero “volontari italiani, spagnoli, francesi e canadesi.”
Ma che tipo di organizzazione è “Millenium”? Nel manifesto presente sul sito dell’associazione, “Millenium” si descrive come “partito rivoluzionario europeo, impegnato nella liberazione dell’Europa dal giogo unipolare e nell’edificazione di un paradigma culturale europeo. All’entropia incipiente, Millennium contrappone le leggi risorte della Giustizia, della Tradizione e della Comunità.”
Detto in parole povere: Millenium può essere tranquillamente fatta rientrare nel campo del rossobrunismo, e i riferimenti all’ideologo nazionalbolscevico Alexander Dugin sono lì a confermarlo. In linea generale, comunque, il rossobrunismo è una corrente politica di estrema destra (ma c’è anche chi la cataloga come “fascismo di sinistra”) che mescola—molto confusamente—retorica anticapitalista e comunitarista, facendo largo uso di simbologia sia comunista che nazifascista poiché si considera al di sopra delle nozioni classiche di destra e sinistra.
La posizione di Millenium sul conflitto ucraino è esplicitata, in maniera piuttosto contorta, in un articolo pubblicato l’8 giugno sul sito dell’associazione. In esso si legge che “la battaglia per l’Ucraina è nel senso più assoluto una battaglia per il mondo multipolare. I principi ben più profondi delle forme politiche storiche del Lavoro e dell’Autodeterminazione dei Popoli sono oggi portati avanti dalla resistenza del Donbass.” Resistenza a cui appunto, secondo il post di Gubarev, i due si sarebbero uniti.
Quando la notizia dei volontari italiani nell’Est Ucraina è stata ripresa dai media italiani, Millenium si è affrettata a puntualizzare sulla propria pagina Facebook di non essere “né antifascista né fascista, ma comunitarista ed europeista” e di non trovarsi lì “come combattenti” ma per testimoniare la loro “solidarietà e la loro vicinanza politica alla Repubblica Popolare di Donetsk e agli altri combattenti russi.” Insomma, i due italiani hanno smentito categoricamente l’“arruolamento” annunciato trionfalmente dal leader separatista Gubarev.
La presenza di un volontario italiano in un’altra parte dell’Ucraina—e dall’altra parte della barricata—è stata confermata da almeno due video. Il primo, tratto da un servizio di una televisione russa del 3 giugno, riprende i momenti in cui alcuni volontari del “Battaglione Azov” (un gruppo paramilitare filo-Kiev formato di recente e composto da 70 combattenti) si preparano a essere stanziati a Mariupol. Secondo i media russi, il Battaglione risponderebbe formalmente al Ministero dell’Interno ucraino, ma “prenderebbe gli ordini dall’Assemblea Social-Nazionale dell’Ucraina,” gruppo di estrema destra che fa parte di Pravyi Sektor (Settore Destro). Nel Battaglione ci sarebbero anche una ventina di stranieri, tra cui russi, svedesi e un italiano.
Verso la fine del video c’è un’intervista proprio al volontario italiano, che in inglese dice: “Li sostengo e andrò con loro fino alla fine. Ho una famiglia in Italia che mi ama moltissimo. Ma è scattato qualcosa dentro di me e ho deciso di venire qui.”
Il secondo è un video di Al Jazeera del 9 giugno (dal titolo piuttosto esplicito: “I neofascisti si addestrano per combattere i ribelli ucraini”) sempre sul Battaglione Azov.
Verso la metà del video appare ancora lo stesso volontario italiano del primo video, che il corrispondente David Chater introduce come un “52enne che ha lasciato a casa moglie e figlio per combattere per l’Ucraina.” “Per la mia formazione, io combatto dove ci sono i miei camerati,” dice l’italiano con il volto coperto da occhiali e passamontagna. “Qui mi sono subito sentito a casa, e loro mi hanno fatto sentire a casa.”
Screenshot dal video di Al Jazeera.
Poco tempo fa, a patto di garantirgli l’anonimato, questo volontario italiano mi ha rilasciato un’intervista. Stando al suo racconto, il volontario (autodefinitosi “di estrema destra in gioventù”) avrebbe fatto la spola a sue spese dall’Italia all’Ucraina da novembre 2013 a oggi, partecipando anche alle fasi più dure delle proteste e stando sempre al fianco dei militanti di Pravyi Sektor, descritti come “nazionalisti rivoluzionari” non appartenenti alla “destra borghese.”
“Ho partecipato a Maidan, in tutti i sensi,” mi ha detto. “Vuole che le dica che ho partecipato agli scontri? La risposta è sì. Vuole che le dica che ho preso freddo a 17 gradi sottozero in una tenda? La risposta è sì. Vuole che le dica che ho mangiato la zuppa di patate schifosa? La risposta è sì. Ho ‘con-vissuto’ quello che hanno vissuto loro. Ho vissuto anche le cariche della polizia, ho diviso le cose belle con le persone normali ma soprattutto ho vissuto quello che è sempre stato il sogno della mia vita: fare la Rivoluzione con il Popolo.”
Il volontario ha raccontato anche l’“iniziazione” a Maidan. “Non ho mai avuto paura come la prima volta che sono stato in Maidan, perché ho avuto paura di morire per il fuoco amico. Non parlavo ucraino, non parlavo russo, pioveva di tutto, e se mi chiedevano ‘Ma tu chi sei? Cosa fai?’, non avrei saputo rispondere nella loro lingua. Poi,” prosegue, “ci siamo conosciuti, perché poi ci si annusa, ci si conosce…”
Militanti di Settore Destro a Kiev. Via.
E se conoscersi non è stato facile, “lasciarsi” lo è ancora di più: “Quando fai un percorso e hai un senso dell’onore, dell’appartenenza e del dividere non li lasci soli quando arriva veramente la merda. In fondo, mi sono reso conto adesso che prima avevamo giocato.” Cioè? “Nel senso che sotto il regime di Yanokuvich, i poliziotti erano capaci di ucciderci per 200 dollari al mese, che sono veramente una miseria, e noi eravamo disposti a morire. E quindi, tutto sommato, dopo qualche giorno difficile è stato tutto relativamente facile.”
In definitiva, perché lo fa? “Vado lì perché mi sento nazionalista e condivido i valori etici, morali e in parte politici di quei ragazzi.” Inoltre, aggiunge, “vado ad aiutare un popolo che vedo in difficoltà. E più l’attaccano più l’aiuto. Sono andato per la cleptocrazia del regime di Yanukovich e mi sono ritrovato i russi con i carri armati.”
Certo, conclude, andare in Ucraina in questo modo “non è un fatto razionale; ma quando si perde il saper amare, il saper difendere e il saper lottare, secondo me uno perde i coglioni. E io, grazie a Dio, alla mia età ancora non li ho persi.”
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