Fare festa con dei lottatori di sumo mi ha quasi ucciso

Sono steso a faccia in giù sul pavimento di un bagno d’albergo di San Pietroburgo, in Russia. Ho la fronte appiccicata alle piastrelle da quattro soldi e tutto il corpo mi fa un male che non ho mai provato prima. Con la coda dell’occhio vedo una pozza del mio piscio, di un giallo che sembra finto e con un rivolo che scivola lentamente verso il mio mento. Cerco di rimettermi in piedi, ma le gambe cedono sotto di me. Cado nella vasca e vomito. Il tentativo di farmi la doccia fallisce quando scopro che la sensazione che mi dà l’acqua sulla pelle è quella di un sacco di aghi conficcati sotto le unghie. Oggi puzzerò, e va bene così. Prendo la più pulita tra le camicie sporche che mi sono portato e mi dirigo alla lobby dell’albergo, sperando di trovare dei carboidrati con cui consolarmi. Quando esco dalla stanza, le luci fluorescenti del corridoio mi bruciano gli occhi. Il mal di testa si intensifica all’istante, dentro il cervello mi pulsa un assolo di batteria insensato. Il dolore che provo è tale che quando vedo il corpo, all’inizio non capisco se è reale o meno.

A pelle d’orso in corridoio giace l’essere umano più grosso che abbia mai visto. Penso pesi 200 chili. Giace sulla schiena, con braccia e gambe aperte, e una pancia enorme gli esce della maglia. L’uomo è incosciente ed emette dei mezzi-sospiri tra una potente russata e l’altra. Sto per toccarlo, magari punzecchiargli il ventre per accertarmi che non sia un’allucinazione, quando vicino all’ascensore vedo un altro corpo ancora più grosso di quello. Questo si agita nel sonno. Rotola su un fianco e nel farlo rivela due altri uomini, leggermente più piccoli, riversi accanto a lui, come una versione gigante di una matrioska.

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I quattro uomini sul pavimento sono lottatori di sumo. Il giorno prima era l’ultimo della competizione di sumo ai World Combat Games. All’afterparty molti dei partecipanti hanno bevuto quantità eroiche di alcolici. I tizi davanti a me sono probabilmente collassati nel tentativo di raggiungere le loro stanze. Nessuno è stato abbastanza forte da alzare il proprio peso morto.

Uno degli occupanti del corridoio scoreggia. Cercando di fuggire il puzzo, comincio a ricordarmi la serata. Io ho cercato di bere più di uomini che letteralmente sono il doppio di me, ho mangiato più cibo di quanto sia fisicamente capace di contenere, e ho fatto la guerra alle auto parcheggiate come un moderno Don Chisciotte. Quando arrivo alla fine del corridoio il mal di testa si fa più forte—ancora—e vomito. Fare bagordi con dei lottatori di sumo mi ha quasi ucciso.

La mia avventura è cominciata come viaggio di lavoro. Una televisione via cavo per cui lavoravo mi aveva chiesto di commentare i World Combat Games. Era uno dei miei primi incarichi da commentatore di arti marziali ed ero determinato a dare il meglio. Nei mesi precedenti all’evento mi ero dedicato allo studio della lotta. Avevo passato ore a imparare la pronuncia corretta dei nomi degli atleti. Giorni incollato al computer a guardare centinaia di video di tecnica. Avevo letto libri che si interrogavano sulle origini arcane del belt wrestling, avevo provato a calciare in salotto, e annoiato a morte mia moglie con le tattiche del jiu jitsu. Ma niente avrebbe potuto prepararmi per quello spettacolo che è il sumo.

A livello concettuale sapevo che i lottatori di sumo sono grossi. Ma prima di vedere un rikishi di persona non avevo idea di quanto giganteschi e forti siano davvero questi atleti. Sotto a tutti quegli strati di grasso, ogni lottatore ha un corpo potente e veloce. Quando comincia il match, i lottatori si corrono incontro con la velocità di un proiettile. La potenza della loro presa accartoccerebbe letteralmente un normale essere umano, ma questi energumeni si colpiscono con precisione e tattica, come in una violentissima danza. C’è una vibrazione elettrica intorno ai match di sumo. Nell’arena l’eccitazione è palpabile, e si passa dal silenzio dell’attesa al tifo assordante. I lottatori sono considerati rockstar, e la rockstar più rockstar è Byamba.

Byamba è stato per due volte campione del mondo di sumo. È comparso in Oceans 13 e America’s Got Talent. Se vi è capitato di guardare del sumo in TV negli ultimi dieci anni, probabilmente c’entrava Byamba. Quel giorno ha completamente dominato la scena. I suoi round finivano in pochi secondi. A risentirmi mentre commentavo, sembravo un bambino eccitato che guarda il maestro. Quando l’hanno premiato, c’è stata una standing ovation. L’afterparty di quella sera era al nostro albergo. Il piano era semplice: avrei stretto la mano di Byamba, gli avrei fatto i complimenti, e l’avrei lasciato ai suoi festeggiamenti. Byamba aveva altri piani, però.

Devo premettere al mio racconto che ero molto ubriaco, quella sera. Forse più ubriaco di quanto lo sia mai stato, cosa piuttosto grave dato che per più di dieci anni ho suonato in un gruppo glam rock, e una volta sono stato fatto per tre giorni di fila con Nikki Sixx dei Mötley Crüe. Anche se a seconda di quando e a chi racconto quello che è successo le cose cambiano leggermente, sono sicuro che in generale tutto quello che sto per dire è vero. La chiameremo non-fiction da ubriachi. La versione blockbuster dell’accaduto.

Quando sono arrivato al bar, Byamba aveva una fila di salsicce in una mano. Nell’altra, una bottiglia di Russian Standard. Mi sono avvicinato. Lui mi ha indicato. Un altro lottatore ha preso dal tavolo un segnaposto (i segnaposto russi sono a forma di cono) e ne ha strappata la cima per creare un imbuto. Qualche istante dopo l’imbuto era nella mia bocca. Byamba ha riso e mi ha rovesciato in gola mezzo litro di vodka. Era solo l’inizio ed ero già da buttare.

Poi, in massa, ci siamo diretti in un altro bar. Ci si è presentato davanti un enorme buffet: stinco di maiale, crauti, zuppa, montagne di salsicce e pane. Byamba si è riempito il piatto e poi mi ha lasciato passare perché facessi lo stesso. Ci siamo seduti tutti. A capotavola, Byamba ha dedicato un po’ di tempo e attenzione a tutti. Si è dimostrato umile e divertente. Adorabile. Il suo punto era che tutti, con la giusta squadra e il giusto allenamento, possono raggiungere il successo. Quando gli ho chiesto di continuare il discorso mi ha risposto di bere altra vodka e finire il mio piatto. Ho fatto fuori una decina di salsicce e almeno un altro mezzo litro d’alcol. Ho mangiato crauti al punto di sudarli dai pori della pelle. E ho cominciato a pensare che anche io avrei potuto essere un lottatore di sumo. Abbiamo deciso di mettermi alla prova nel parcheggio.

Ora, io ho fatto un sacco di cazzate in vita mia. Ma posso dire con certezza che mettermi a combattere con dei lottatori di sumo nel parcheggio di un albergo russo è tra le più grosse. Byamba ha fatto gli onori dell’evento. Ha spiegato che l’uomo contro cui combattevo pesava solo 110 chili. Centodieci—50 chili più di me, più o meno. Quello che Byamba non mi ha detto è che il tizio era anche il campione del mondo di pesi medi di sumo. Mal consigliato dall’alcol e dall’adrenalina mi sono messo in posizione davanti al mio avversario, mentre il pubblico si posizionava ai lati. Abbiamo messo le mani a terra per indicare che l’incontro era iniziato, Byamba ha urlato qualcosa, e io sono corso avanti più veloce che potevo. Colpire il corpo di un lottatore è come colpire un masso. Ho spinto. Mi sono dimenato. Ho cercato di alzargli una gamba. Niente aveva alcun effetto. Dopo forse 15 secondi dall’inizio del match, il campione di pesi medi mi ha lanciato a terra con una risata gioviale. Ho colpito l’asfalto di schianto e sentito un crack nelle costole. Per annebbiare il dolore qualcuno mi ha passato dell’altra vodka.

Byamba mi ha detto che per essere la prima volta ero stato bravo. Mi ha chiesto se volevo vedere cosa poteva fare davvero un lottatore di sumo. Preoccupato dal fatto che avrebbe potuto essere interpretata come una volontà di partecipare a un altro round ho scosso la testa, ma a quel punto nessuno si stava curando di me. I lottatori hanno brindato e hanno cominciato a spostare le auto parcheggiate come una persona normale spinge un carrello della spesa. Ho cercato di farlo anche io, con una berlina di piccole dimensioni, ma le costole mi facevano troppo male. Per compensare ho cercato altro alcol, ma ero sbronzo perso. Tutti lo eravamo. Che è il motivo per cui i lottatori hanno deciso di saccheggiare un ristorante lì vicino.

Nel migliore dei casi, quando 30 persone si presentano in un ristorante senza prenotare è il caos. Ma dato che la maggior parte di queste 30 persone erano lottatori di sumo, è stato un inferno. Il cibo è comparso dal nulla ed è stato consumato alla stessa folle velocità. Abbiamo cominciato una specie di match, schiantandoci contro i tavoli. Quando i drink non arrivavano abbastanza veloci, uno dei lottatori andava dietro il bancone, prendeva un fusto e tornava. L’ultimo ricordo che ho prima di andare in blackout è di Byamba che si fa delle foto con i membri dello staff.

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L’hangover dopo quella notte mi è durato per due settimane, mi ha seguito dalla Russia al Canada, e se tossisco forte mi fanno ancora male le costole. Ad oggi, l’odore della Russian Standard mi fa contemporaneamente sorridere e venir voglia di vomitare. Sicuramente di quella serata mi ricorderò per sempre, anche se tutte le prove, incluso il mio telefono, sono state smarrite per le strade di San Pietroburgo. Ma una cosa posso dirvi con certezza: dopo quella sera, quando sento che qualcuno parla di “feste da rockstar” gli rido in faccia. Le feste da lottatore di sumo sono molto più hardcore.

Robin Black è un commentatore di MMA. Seguilo su Twitter: @robinblackmma

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