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Chi era Fast Eddie Clark, l’ultimo membro storico dei Motörhead

La prima volta che ho visto Lemmy dal vivo Fast Eddie Clarke e Philthy Animal non erano più in formazione già da un pezzo, ma io stavo per compiere diciassette anni e, considerato che gli Iron Maiden li avevo già visti, saltare come un forsennato urlando Overkill a squarciagola era più o meno tutto ciò che potevo volere dalla vita.

I Motörhead salirono sul palco di un Gods Of Metal devastantemente caldo, in quel dell’Idroscalo, anno di vostro signore 2006, io dissi a mio padre (sempre sia lodato, che accompagnava suo figlio ai concerti più improbabili) “ci vediamo dopo” e mi lanciai in mezzo all’orda di metallari che avevano mediamente il triplo della mia età. Mi divertii come un matto, agitandomi come un posseduto, come solo un adolescente in fregola per i capelloni può fare. Un’ora dopo, tornato nelle retrovie, capii che mio padre doveva aver gradito a sua volta, perché lo trovai a una bancarella intento a comprare una doppia XL dei Motörhead. Perché questo era l’effetto che faceva il trio inglese, in qualunque versione, condizione, situazione, momento della vita una persona li vedesse, fosse la prima, la seconda o la quarantasettesima volta: amore profondo.

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Negli anni ho via via abbandonato sempre più i suoni classici, l’hard’n’heavy dei Settanta e Ottanta si è ritagliato uno spazietto sempre più piccolo nei miei ascolti, ma ho avuto la fortuna di incrociare Lemmy, Mikkey Dee e Phil Campbell un’altra mezza dozzina di volte prima che la scheggia impazzita di Stoke-On-Trent decidesse di portare i suoi porri e quell’accento impenetrabile davanti ai cancelli del Paradiso, appena un mese dopo Philthy Animal Taylor. Non c’è mai stata una volta, mai, in cui i Motörhead non abbiano portato il pubblico totalmente fuori giri, perché i Motörhead erano né più né meno che l’archetipo della rock band: divertenti, divertiti, menefreghisti e strafottenti, ma allo stesso tempo onesti e genuini.

Ieri, purtroppo, un altro pezzo di questa storia splendida fatta di alcol, sesso, droga e rock’n’roll, se n’è andato: Fast Eddie Clarke è morto in ospedale, dove si trovava ricoverato per una polmonite. Questo significa che della formazione classica dei Motörhead, quella che ha scritto, registrato e portato in lungo e in largo nel mondo tutto ciò che va da On Parole a Iron Fist, non è rimasto più nulla. Fast Eddie era l’ultimo anello di congiunzione rimasto tra i jeans attillati e i capelli lunghi da fricchettone appena uscito dalla Summer of Love della prima ondata heavy britannica, fatta di acuti altissimi e richiami blues e tutto sommato a modo, e la sguaiataggine della NWOBHM, che iniziava a mettere in mostra borchie, pelle e atteggiamenti turbomacho da maschi bianchi etero (sì, lo faceva anche Rob Halford, giusto con qualche lustrino in più).

Il definitivo addio della lineup storica dei Motörhead significa che oggi non resta più nessuno a raccontare di prima mano quella volta che nel 1980 Lemmy dovette essere rianimato nel backstage alla fine di un concerto, e questo si giustificò dicendo che era sfinito dai troppi pompini ricevuti quel pomeriggio. Non resta più nessuno ad aver vissuto le registrazioni di Overkill e tutto il caos e il successo e la droga e il sesso che ne sono conseguiti. Non resta più nessuno dei tre che salirono sul palco in giro per il Regno Unito in quell’ormai preistorico 1981 per registrare No Sleep ‘til Hammersmith. In quarant’anni di storia, di aneddoti sui Motörhead ne sono stati prodotti in quantità esagerate, basta leggere White Line Fever per rendersi conto che la creatura scorrazzata in lungo e in largo da Lemmy e compagni non era una semplice band, ma un vero e proprio modo di intendere la vita e di divertirsi un sacco facendosi un sacco male. Tra un acido e una sbronza colossale, nessuno si sarebbe davvero aspettato che quei tre tizi vestiti di nero sulla copertina di Ace Of Spades, con quell’aria strafottente e provocatoria, campassero tutti fino a ben oltre i sessanta, considerato che le loro abitudini solitamente comportano un’aspettativa di vita di ventisette anni precisi.

Fast Eddie Clarke aveva abbandonato (o era stato messo alla porta, non si è mai davvero capito) i Motörhead nel 1982, poco dopo aver registrato Iron Fist, e, per quanto i rapporti con Lemmy fossero sempre proseguiti in maniera distesa e ragionevolmente alcolica, da lì in poi la sua principale occupazione furono i Fastway. Questi non riuscirono mai ad andare oltre la band hard rock di seconda fascia, e il loro culmine fu Trick Or Treat, colonna sonora dell’omonimo film dell’86 (in italiano Morte A 33 Giri), un horror di culto e trash come pochi che vantava nel cast fini attori drammatici del calibro di Ozzy Osbourne e Gene Simmons. Negli ultimi anni Eddie si era ripulito e aveva raggiunto Lemmy sul palco in svariate occasioni, e dopo la morte di quest’ultimo e di Philthy Animal, aveva iniziato una fitta attività social, pubblicando a cadenza regolare sulla propria pagina Facebook foto del suo cagnolino, dei suoi amici o di entrambi, come quella volta che Cookie conobbe Biff Byford. Più di ogni cosa, però, Eddie pubblicava scatti d’antan, memorie dei bei tempi andati cullate amorevolmente per tutti questi anni, immagini che ritraggono lui, Lemmy e Phil in giro per il mondo a diffondere il verbo del metallo sotto l’effetto di sostanze alteranti e con tutta probabilità dare soddisfazione a qualche accondiscendente signorina.

Ora che anche Eddie è morto, gli articoli e i pensieri di cordoglio sul periodo d’oro dei Motörhead si sprecano, ne parlano tutti, dalle riviste specializzate fino al Guardian e a portali insospettabili come TGcom. Non male, per un gruppo di capelloni che aveva iniziato a suonare quasi sessant’anni fa per riuscire a infilarsi sotto la gonna di qualche inglesina al campeggio estivo.

Andrea è uno dei Lord di Aristocrazia Webzine.

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