È stato soltanto quest’anno, arrivata all’età di 26 anni, che ho iniziato a considerare seriamente l’idea di… non scegliere. Ho sempre saputo di non volere figli, fin da quando ero molto giovane, ma al loro posto ce l’ho messa tutta per ottenere un Master e una carriera. Non credevo di avere altra scelta, ma a un certo punto mi sono resa conto che la mia vita mi piaceva così com’era: un lavoro con cui arrivare alla fine del mese, amici con cui uscire, una vacanza di tanto in tanto. Mi piace la mia vita e, per la prima volta, non sento il bisogno di lottare per un obiettivo più alto.
Ma, naturalmente, mi sento in colpa—come se non stessi soltanto deludendo la me teenager, ostinata e ossessionata dal successo, che si è pagata gli studi facendo la barista 60 ore a settimana, ma un’intera generazione di #donneforti che condividono meme femministi sui social. Le donne sono sempre state spinte a fare figli, mettendo da parte le loro passioni e il loro lavoro per dedicarsi a coltivare il nucleo famigliare. Dopo la guerra, la seconda ondata di femminismo si è liberata di un po’ di queste cose: abbiamo scoperto che si possono fare entrambe le cose—lavorare e avere un bambino. Negli ultimi anni, abbiamo iniziato a credere che possiamo avere anche solo la carriera: sbatterci, viaggiare, indossare tailleur.
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Questi sviluppi sono stati importanti e positivi per molte donne, ma forse c’è un’idea più radicale ancora: quella per cui possiamo anche non fare nessuna delle due cose. Oggi, se non stiamo costruendo una carriera o una famiglia, rischiamo di sentirci delle fallite. Ma con la pressione di avere successo in almeno uno di questi campi, e sempre più spesso in entrambi, viene da pensare che non ci sarà mai concesso di fare il nostro lavoro e tornare a casa tranquille. Il lavoro può essere la cosa che facciamo per poter godere del tempo libero—non dev’essere per forza la parte centrale della nostra vita, e non dobbiamo sempre mirare a diventare le numero uno. Ma se invece di “avere tutto” alle donne fosse concesso di avere “un po’” e di essere contente così?
Non sono l’unica donna a sentirsi un po’ a disagio rispetto alla confluenza di femminismo e capitalismo. In un saggio contenuto nel suo recente libro Trick Mirror, Jia Tolentino parla di un’eterna tensione all’ottimizzazione e alla perfezione. La donna ideale è, scrive, “sinceramente interessata a qualunque cosa il mercato le richieda” e “ugualmente interessata a qualunque cosa il mercato le offra.” Parla di questa ottimizzazione osservando la palestra e il posto di lavoro, raccontando come ci sia stato fatto credere che dobbiamo costantemente puntare a “migliorare” le nostre vite. Anche il prendersi cura di sé ci è stato rivenduto come un’attività in cui si può essere brave o meno brave. Ma forse ci stiamo finalmente rendendo conto che siamo state imbrogliate—che cadendo nella trappola dello stile di vita ottimizzato, rischiamo di perderci la vita che davvero ci meritiamo.
“Sento il bisogno di rendere il mio lavoro una componente molto più grande e importante della mia vita per il fatto che non ho una famiglia mia,” mi ha detto Siobhán, 30 anni. “Sento l’aspettativa sociale di essere visibilmente produttiva. Se non produci fisicamente degli altri piccoli umani, sarà meglio che tu faccia qualcosa di altrettanto faticoso e logorante.” Crede che ci sia una differenza tra i generi. “Penso che un uomo single senza figli con una buona carriera venga considerato un semplice scapolo senza troppe sovrastrutture, mentre una donna single senza figli ha ‘fatto dei sacrifici’ o è intrinsecamente ‘sola’, o magari è una ‘gran rompipalle’.”
Danielle, 28 anni, la vede in maniera simile. “Non m’interessa la carriera, e questo mi spinge a chiedermi se non ho ambizioni, o c’è qualcosa che non va in me, oppure sono soltanto pigra,” dice. “Da poco tempo a questa parte mi sono arresa al fatto che non sono una persona fatta per la carriera. Voglio avere un lavoro che non mi rubi tutte le forze, che mi paghi abbastanza per godermi la vita e il mio tempo libero.”
Dalle donne moderne ci si aspetta che riempiano ogni momento libero con un secondo lavoro o con attività di “cura di sé” organizzate. “È come se anche tutto il mio tempo libero dovesse essere dedicato a crescere e migliorarmi: la meditazione per l’ansia, un diario per tenere sotto controllo la mia salute mentale, fare esercizio fisico,” mi ha detto Danielle. Maddie, 24 anni, concorda. “Penso che gli uomini abbiano una maggiore flessibilità negli hobby. Il mio relax attraverso un hobby è visto come una perdita di tempo, ma quello di un uomo è più produttivo. Nel tempo libero, sono soffocata dal senso di colpa. Penso in continuazione ai soldi che potrei fare invece di godermi la vita.”
Per quanto possa sembrare controintuitivo chiedere aiuto per dis-ottimizzare la propria vita, mi sono rivolta alla coach di empowerment per donne Hueina Su. “Siamo state condizionate in un certo modo, e ci si aspetta che siamo delle figure materne per tutti,” mi ha detto. “Oggigiorno ci si aspetta che le donne siano capaci di ottenere tutto quello che riescono a ottenere i loro colleghi maschi sul lavoro, ma allo stesso tempo anche che si prendano cura dei loro mariti, figli e genitori anziani. Dobbiamo fare tutto, altrimenti ci sentiamo delle fallite.”
Su pensa che a spingere le donne in questa direzione ci siano i motivi sbagliati. “Se scaviamo per trovare la ragione vera per cui le donne sono così motivate a lavorare, perfezionare ed eccellere in tutto, troviamo che spesso tutto deriva dal bisogno di dimostrare il proprio valore, perché non si sentono abbastanza degne così come sono,” mi ha spiegato.
Il più grande ostacolo che le donne devono affrontare sembra essere l’idea che abbiamo un valore intrinseco: che meritiamo di stare al mondo, meritiamo di essere felici, anche se non stiamo facendo “niente”. Su la pensa allo stesso modo: se vuoi dis-ottimizzare la tua vita, è importante che tu sappia di essere intrinsecamente degna, e capire che cosa significano per te successo e felicità: “Dobbiamo imparare a ridefinire il successo per noi stesse, invece di lasciare che siano la società e le altre persone a dirci come vivere.”
Da noi ci si aspetta che ci prendiamo cura degli altri e spesso siamo propense a credere di non valere nulla se non ricopriamo quel ruolo. Se non siamo madri, allora dobbiamo contribuire alla società come lavoratrici di rango più alto possibile. Questo ci impedisce di prenderci tempo per noi stesse e di pensare a che cosa vogliamo davvero, invece a che cosa ci sembra che sia nostro dovere fare. Non c’è una risposta netta al senso di colpa che si prova solo per il fatto di esistere, ma un buon punto di partenza potrebbe essere prendersi del tempo per noi stesse che non sia organizzato o facilmente ottimizzabile. “Che tu voglia una carriera, una famiglia o nessuna delle due cose, la scelta è tua. Sta a te scegliere che cosa ti rende felice e soddisfatta,” ha concluso Su.
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