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Le donne pastore sono il futuro delle montagne italiane. E questo film ce le racconta

In Questo Mondo Film

“Un film immersivo che rende le immagini corporee e ci contagia con i segni di un rapporto vivo e appassionato al mondo”

È con queste motivazioni che, lo scorso dicembre, In questo mondo di Anna Kauber ha vinto il premio come miglior documentario al Torino Film Festival. Il docufilm, prodotto da Solares Fondazione delle Arti e AKI Film, racconta la vita delle donne pastore in Italia. Sì, avete letto bene: donne che svolgono il mestiere di pastore. Esistono – e sono molto più di quante pensiamo. Sullo schermo ne compaiono cento, tra i 20 e i 102 anni, che la Kauber ha scovato girando tre anni da Nord a Sud del nostro paese.Alla post-produzione è seguito un crowdfunding che ha permesso al film di venire alla luce e di entrare nel circuito di concorsi e festival. Dopo il premio cinematografico Roberto Gavioli è arrivato il riconoscimento di Torino e tra poche settimane In questo mondo uscirà finalmente nelle sale.

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Tutte le foto via Facebook

Anna Kauber è scrittrice, regista e paesaggista, specializzata in paesaggi agrari. Una donna di incredibile solidità, che le ha permesso di intraprendere un progetto di queste dimensioni in solitaria, ma anche di straordinaria poesia, la cui voce si infiamma parlando di boschi silenziosi, di mani delle donne e di un mondo che rischia di scomparire.

Volevo scoprire quelle nella pastorizia, storicamente maschile e di impronta patriarcale.

MUNCHIES: Come e quando è nata l’idea del film?

ANNA KAUBER
: Abbastanza per caso, nel 2015, seguendo il filone dei miei studi che mi ha sempre portato ad approfondire le specificità di genere nell’agricoltura. Volevo scoprire quelle nella pastorizia, storicamente maschile e di impronta patriarcale. Ho viaggiato per 17 regioni italiane, per quasi tre anni, percorrendo un totale di 17.000 km – sempre da sola, con la mia Panda gialla a metano.

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I pastori sono gli ultimi testimoni della montagna, di quell’Italia “alta” che si va spopolando, con conseguenti danni a livello ambientale e idrogeologico.

Le donne, tu affermi, sono più portate al mestiere della pastorizia.

Sì, nonostante sia un mestiere storicamente associato al patriarcato. La donna è multitasking, più aperta a trovare soluzioni innovative, condizionata dalla sua potenzialità materna a proiettarsi verso le generazioni future. Il modo femminile è la cura a tutto tondo: di animali, persone, case. E molti pastori uomini riconoscono la caparbietà e l’intuizione femminili di comprendere il ciclo della gravidanza e del parto, di toccare gli animali con mani diverse, ad esempio durante la mungitura, di capire le loro bizze.

La pastorizia, come mostri nel film, è fondamentale per l’uomo – anche se non ce ne rendiamo conto.

La biodiversità di capre e pecore sta scomparendo ogni giorno di più, molte razze sono in via di estinzione. E poi i pastori sono gli ultimi testimoni della montagna, di quell’Italia “alta” che si va spopolando, con conseguenti danni a livello ambientale e idrogeologico. È un lavoro di sacrificio che noi cittadini non capiamo.

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I pastori storicamente sono sempre stati vittima di pregiudizi: i pastori erano quelli “nomadi”, “che puzzano”

Ci sono stati incontri che ti hanno segnato più di altri?

Impossibile dirne solo uno. Ho incontrato 100 donne, tutte con storie diverse ed età dai venti ai centodue anni, dalle Alpi all’Aspromonte. Maria Pia, che ho chiamato la “sacerdotessa”, una studiosa norvegese di teologia che ha abbandonato tutto per trasferirsi in Italia e lavorare nei pascoli, un’ex-musicista, una donna calabrese che vive da sola, sul Pollino, e mi ha raccontato della sua paura del lupo: le ha già mangiato 40 pecore e nessuno sa come fermarlo.

Oggi fare il pastore è diverso da una volta? Un tempo godevano di una diversa considerazione?

Storicamente sono sempre stati vittima di pregiudizi: i pastori erano quelli “nomadi”, “che puzzano”, gli ultimi degli ultimi. C’è stato un processo di rimozione culturale nei loro confronti. Ora rimangono comunque, nella maggior parte dei casi, in sacche di emarginazione.

Oggi il valore aggiunto al mercato della pastorizia lo dà il latte. E sai chi ringraziano soprattutto i pastori? I musulmani, che consumano tantissimo latte di pecora e capra, mentre spesso noi italiani non lo beviamo a causa pregiudizi.

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La transumanza è stata candidata dall’Italia a diventare patrimonio culturale immateriale dell’umanità Unesco. C’è speranza per la pastorizia?

È vero che c’è un piccolo movimento di recupero e preservazione del mestiere, ma non illudiamoci. È un mondo a rischio costante di deflagrazione. Sta continuando un deciso e inarrestabile calo di numeri e presenze.

E cosa possiamo fare, noi, per impedire la scomparsa del mestiere di pastore?

A metterlo in crisi sono state soprattutto le fibre sintetiche, che hanno fatto morire quasi completamente la lana. Oggi il valore aggiunto al mercato della pastorizia lo dà il latte. E sai chi ringraziano soprattutto i pastori? I musulmani, che consumano tantissima carne di pecora e capra, mentre spesso noi italiani, a causa di anni di campagne di disinformazione, pensiamo non sia sicuro farlo.

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