Anche se col tempo impariamo a comprenderlo un po’ meglio, il terrore che sperimentiamo nell’infanzia è talmente specifico che è difficile scordarselo. È come la sorpresa gelata di una scena che non ti aspetti in un film, solo che ancora non hai raggiunto la consapevolezza per razionalizzarla.
Soprattutto a quell’età, così, anche davanti a uno schermo alcuni timori posso amplificarsi—e non solo per cose che per definizione sono considerate paurose.
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A tal proposito, nella mia personale lista di film che mi hanno turbato da bambina convivono titoli molto diversi tra loro: Shining, Il Gobbo di Notre Dame, IT, Edward mani di forbice, Lo Squalo, Batman e Le Cronache di Narnia, a cui devo il merito di avermi convinto per anni del fatto che il vecchio armadio a casa di nonna facesse rumori strani per via del leone che vi abitava al suo interno.
Consapevole di non essere l’unica, ho chiesto a sei persone tra i venti e i trent’anni di parlarmi dei film che hanno terrorizzato le loro versioni più giovani. Non si tratta di film notoriamente spaventosi o horror puri. Sono piuttosto titoli che le hanno avvicinate a una maggiore comprensione della paura e dei modi per processarla.
Film paurosi non convenzionali
Casper ( 1995)
“Quando avevo sette anni, i miei genitori per Natale mi hanno regalato la cassetta di Casper. Il film è famoso: racconta di Kat, una ragazzina orfana di madre che fa amicizia con un fantasmino che infesta il castello in cui si è trasferita col padre.
Pur parlando di presenze e aldilà, Casper era da “bollino verde” e in tutto e per tutto un film per famiglie. Eppure, come succede spesso quando si è bambini, i livelli di introspezione generati da uno schermo possono giocare brutti scherzi.
Verso la fine del film—credo che raccontarlo dopo 17 anni dall’uscita non valga più come spoiler—Kat e Casper riescono a trovare una macchina che può riportare in vita una sola persona. Casper ha finalmente la possibilità di tornare in vita, ma sceglie di donare la sua unica possibilità al padre di Kat, appena trapassato.
Quella scena all’epoca non mi ha fatto chiudere occhio: credevo che a un certo punto le persone a cui volevo bene sarebbero diventate dei fantasmi, e non le avrei potute riportare indietro tutte.
Tra le lacrime ho chiesto che venisse nascosta la cassetta, e da allora non ho mai più rivisto il film. Solo all’idea mi cala la tristezza—dato che se ci penso racconta davvero momenti della vita su cui abbiamo più domande che risposte”—Antonio Floresta, 30 anni
Coraline e la porta magica (2009)
“Avevo dieci anni ed era la prima volta che andavo al cinema con i miei amici. I miei genitori avevano deciso di sedersi lontano da noi, per avere la mia prima esperienza ‘da persona grande.’
Coraline e la porta magica racconta di una ragazzina che si trasferisce in una nuova casa, viene trascurata dai genitori troppo indaffarati col trasloco e comincia a orientarsi nel mondo senza il loro sostegno.
Così un giorno, dopo aver trovato una porta magica che conduce a una dimensione parallela, Coraline inizia a fare avanti e indietro tra i due mondi. In un primo momento preferisce quello nuovo. Lì vivono tutte le repliche dei personaggi del mondo reale, ma con due sostanziali differenze: hanno dei bottoni al posto degli occhi e un sacco di attenzioni per lei.
Sembra tutto meraviglioso, ma dall’atmosfera si percepisce che niente è genuino. Infatti si scopre che la mamma del mondo magico è una strega che si ciba delle anime dei bambini. Quando poi la protagonista deve lottare contro di lei, gli ambienti diventano particolarmente angusti e ostili.
Sono passati tanti anni dalla visione del film, ma da allora ho compreso che gli spazi chiusi e piccoli mi avrebbero messo sempre profondamente a disagio.
Forse, però, l’aspetto che più mi ha colpito è la morale cruda. Rifugiarsi eccessivamente in aspettative e desideri ti fa perdere un po’ il contatto con la realtà. Che spesso non è come vorremmo, ma diventa un incubo se rifiuti di capirlo”—Christian Cavagna, 23 anni
Jurassic Park (1993)
“La prima volta che ho visto Jurassic Park avevo circa dieci anni, lo passavano in tv ed ero sul divano con la mia famiglia. È il film con la scena più traumatizzante che io abbia mai visto, ma anche quello che ho più amato da bambino.
Parlo della scena in cui Nedry—il creatore dei sistemi informatici del parco divertimenti—esce di strada con la macchina e incontra un Dilophosaurus, che inizia a emettere un acuto fastidiosissimo e a spruzzargli sul viso una sostanza corrosiva, uccidendolo. Anche se a quella prima visione ne sono seguite tantissime altre, in quella scena ho sempre continuato a coprire gli occhi. Non si sa mai.
Detto ciò, sono contento di averlo visto da bambino. Credo sia grazie a questo film che ho capito quanto siamo piccoli rispetto all’incedere del tempo. Ma anche quanto le cose che ci spaventano, spesso, sono quelle che ci attraggono di più.
Ogni volta che sento un maledetto antifurto penso ancora a lui”—Matteo Pasquale, 26 anni
Il Miglio Verde (1999)
“Mio padre lo stava guardando mentre giocavo nella stessa stanza. Era convinto non me ne sarei interessata, invece a forza di lanciare occhiate ho finito per guardarlo tutto.
La scena che più mi ha lasciato sconvolta è stata quella in cui, durante un’esecuzione sulla sedia elettrica, una guardia carceraria fa finta di dimenticarsi di bagnare la spugna da mettere in testa al detenuto, rendendo il tutto ancor più lungo e doloroso.
Non mi capacitavo di come si potesse fare una cosa così orribile a una persona. Ricordo che dopo mia madre ha dovuto consolarmi per giorni e notti.
Da adolescente ho rivisto un po’ di volte il film. Il fatto che tutti sapessero che John Coffey fosse innocente ma che nessuno potesse effettivamente fare nulla per aiutarlo mi fa ancora incazzare.
Che il mondo là fuori non sia come in Dora l’esploratrice è indubbio. Solo che sarebbe stato meglio scoprirlo a dodici anni e non a sette”—Sofia Giannini, 21 anni
Un ponte per Terabithia (2007)
“Durante uno di quei pomeriggi in cui non si ha nulla da fare, all’età di 13 anni ho guardato Un ponte per Terabithia con la mia migliore amica. Parla di questi due bambini che diventano amici e scoprono che attraversando un fiume possono raggiungere Terabithia, una sorta di mondo onirico pieno di cose belle, divertenti e felici.
Alla fine però arriva la parte destabilizzante: il bambino, dopo aver passato un pomeriggio lontano dall’amica, scopre che è morta mentre cercava di attraversare il fiume. Lo strazio arriva a livelli assurdi quando il protagonista inizia a piangere accanto al padre attribuendosi la colpa dell’accaduto.
All’epoca la visione mi ha lasciato per giorni una sensazione di malessere fisico addosso—non so come dirlo, ma era stranamente reale. Il film non mi aveva fatto paura nel senso classico, ma mi faceva scendere lacrime a caso al solo pensiero.
I protagonisti avevano più o meno la mia età, quella in cui inizi a instaurare amicizie più durature, e avevo empatizzato molto. Il film tratta un sacco di temi nevralgici come il rapporto con i genitori, il senso di impotenza, ma soprattutto il bullismo, facendo luce sulle dinamiche che possono alimentarlo o spegnerlo.
Di conseguenza, in quel periodo sono diventata una di quelle che, anche nei contesti meno sensati, scriveva “tvb” alle persone amiche per far capire quanto ci tenessi. Ed è un’abitudine che, in effetti, ho ancora”—Chiara Spampinato, 26 anni
I Goonies ( 1985 )
“Dopo pranzo a casa di nonna, papà ha convinto me e i miei fratelli a guardare I Goonies. La trama mi ha colpito subito: un film che parla di un gruppo di bambini che scovano in una vecchia cantina la mappa di un tesoro nascosto e affrontano un sacco di peripezie per trovarlo? Per un bambino di appena otto anni è oro.
Mi ricordo però che sono rimasto traumatizzato quando è comparso il personaggio di Sloth, con una forza sovrumana, un volto non convenzionale e parte di una banda di falsari che a un certo punto rapisce uno dei bambini. La prima volta in cui entra in scena è girato di spalle e guarda la tv, mentre gli altri della banda sono intenti a legare a una sedia il bambino.
Rimasti da soli il bambino cerca di attirare l’attenzione di Sloth, ma non sapendo quest’ultimo comunicare in modo comprensibile non fa altro che spaventarlo. Ecco: quella scena ha spaventato tantissimo anche me, e ho protestato finché non abbiamo tutti interrotto la visione.
Per molti anni mi sono rifiutato di riguardare il film, finché non l’ho fatto e mi sono reso conto che quella scena era molto meno paurosa di come la ricordassi. Sarebbe bastato non cambiare canale anni prima per capire che Sloth non solo non ha alcun interesse a spaventare i bambini, ma ha anche un animo talmente puro da sacrificarsi per salvarli”—Mario Mascena, 25 anni
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