Ceuta e Melilla sono due enclavi spagnole nella costa settentrionale del Marocco. Ufficialmente fanno parte dell’Unione Europea, e da tempo sono uno dei principali canali per i migranti che cercano di entrare in Europa. Il governo della Spagna ha investito milioni di euro in muri e recinzioni per fermare gli ingressi.
Tra il 17 e il 18 maggio del 2021 più ottomila persone—inclusi circa duemila minori non accompagnati—hanno superato il confine e sono arrivati a Ceuta. Nell’arco di qualche ora, le forze dell’ordine e l’esercito spagnolo hanno respinto la maggior parte di loro senza minimamente valutare le richieste d’asilo.
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Le foto e le riprese di quei momenti concitati mostrano come gli agenti abbiano picchiato i migranti, gettandoli anche in mare. Simili abusi non sono una novità: le organizzazioni non governative da anni denunciano la brutalità dei respingimenti nelle enclavi spagnole, e più in generale il trattamento riservato ai richiedenti asilo.
Per il resto, l’afflusso dello scorso maggio è senza precedenti. Le autorità marocchine hanno sempre collaborato con quelle spagnole per blindare i confini di Ceuta e Melilla. Secondo alcuni analisti, l’allentamento dei controlli da parte marocchina era una ritorsione per il ricovero in Spagna di Brahim Ghali, leader del movimento separatista Fronte Polisario per la liberazione del Sahara Occidentale.
La crisi diplomatica tra i due paesi, insomma, si è giocata ancora una volta sulla pelle dei migranti. Dieci giorni dopo il respingimento di massa, il fotografo francese Hervé Lequeux è andato a Ceuta per documentare le conseguenze—seguendo soprattutto i 438 minori non accompagnati che sono rimasti nell’enclave, rinchiusi in capannoni trasformati in “centri d’accoglienza” per la quarantena obbligatoria.
Secondo quanto hanno riportato i quotidiani spagnoli El País e El Diario, le condizioni di questi centri sono disastrose: non ci sono cibo e letti a sufficienza, e i minori sono costretti a dormire per terra o saltare i pasti. Anche la situazione igienico-sanitaria è a dir poco precaria.
Molti sono così scappati dai centri per cercare rifugio in accampamenti di fortuna sulle spiagge, oppure occupando edifici vuoti. Le loro vita nell’enclave, così come catturata da Lequeux, è contraddistinta dalla lotta quotidiana per il cibo e un alloggio.
Moschee, Ong e associazioni umanitarie cercano di dar loro aiuto—e a volte anche alcuni residenti. Ma la relazione tra gli abitanti e i migranti a Ceuta spesso è tesa, anche a causa delle preoccupazioni legate a possibili focolai di COVID-19.
Tutti vogliono andarsene da lì. Qualcuno non ce la fa più e torna in Marocco, in attesa di tempi migliori per migrare. C’è poi chi prova a raccogliere i soldi necessari a comprare un gommone (250 euro) e attraversare lo stretto di Gibilterra; e chi tenta di nascondersi dentro i camion e le barche nel porto.
Sono entrambe imprese molto rischiose. E anche se ce la fanno, il sistema di accoglienza nel resto del continente non è purtroppo molto più adeguato di quello da cui sono fuggiti.
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