French Montana è un rapper del Bronx con origini marocchine. Di persona è un ragazzo incredibilmente carino, con la tendenza a smozzicare le parole. Potrebbe darvi l’impressione di essere timido, o un po’ tardo, peccato che non lo sia affatto. A soli 18 anni ha ideato la serie di DVD Cocaine City, e da lì è bastato un attimo perché diventasse il migliore amico di Rick Ross e arrivasse a possedere capezze da 150,000 dollari. Ha iniziato a pubblicare mixtape nel 2007, e ultimamente ha ottenuto l’atteso riconoscimento grazie a un paio di singoli di successo commerciale e a un allineamento dei pianeti della Universal Music, che ha descritto il suo album Excuse My French (uscita prevista a dicembre) come la prossima grande novità dell’hip hop. Così è stato decretato, e così sarà.
Uno di questi singoli è “Pop That.” Potremmo star qui ore a discutere sulla qualità del testo o le scelte di produzione, ma il fatto è che sarebbe tempo sprecato, perché il video ha già i suoi 10 milioni di visualizzazioni su YouTube. Insomma, “Pop That” fa venir voglia di ballare e/o sculettare, e alla fine esce fuori che French lo sa fare molto bene. I testi non saranno dei più profondi, ma con il suo mentore Max B, French ha lavorato per anni al perfezionamento di uno stile in grado di far funzionare anche versi come “Hundred large, bring a mop/Windows tinted like Barack”, e tutto ciò ha fatto sì che nessuno gli rimproverasse l’ingresso tra i grandi attraverso il dance floor (tranne forse alcuni miei amici nerdacchioni del rap, e Dio li benedica per questo).
Videos by VICE
Ad ogni modo: è un normale giovedì pomeriggio e sono seduto a lavoro, a godermi quella sorta di vuoto tra le fatiche della settimana e il sapore della libertà ormai prossima, quando ricevo un invito per la “One Night Only French Montana And Friends POP THAT extravaganza”. E lì, mi accorgo che ogni cosa si è incastrata al posto giusto—innanzitutto perché è per il mercoledì successivo, e poi perché osserverò French Montana scatenare piogge di banconote addosso a ragazze sulle note delle canzoni più smuovi-chiappe dell’anno. Il tutto in uno strip club, e con la promessa di fiumi di alcol. Gli Dei della Universal Music mi sorridono da lassù.
Arriva mercoledì, e capisco che nella mia anima brucia un vuoto che solo una spogliarellista può riempire. Certo, il locale è un po’ strano. È uno strip club di nome Sin City, nel cuore di West Hollywood, il quartiere più gay della città più gay d’America. Sin City è letteralmente a un isolato di distanza dal The Abbey, il punto di ritrovo settimanale delle giovani checche. Le strisce pedonali sono arcobaleni. È pazzesco. West Hollywood è l’ultimo posto sulla terra dove ci si aspetterebbe di trovare uno strip club come questo. Dista un isolato da Beverly Hills e Melrose Avenue, e se lo showroom di arredamenti per bagni rimanesse aperto durante l’orario dello strip club, potreste passare in meno di quattro minuti dai culi sballonzolanti al water dei vostri sogni. Anche la stazione dello sceriffo di Beverly Hills è nelle vicinanze, il che spiega quella decina di poliziotti stazionati di fronte al locale, dall’altra parte della strada. Immagino che un giorno qualcuno abbia deciso di piazzare uno strip club nel bel mezzo del quartiere più bianco, queer friendly e sorvegliato della città, ed è lì che French Montana ha deciso di organizzare la sua serata.
Quando arrivo nel locale French non c’è ancora, e la cosa è più che comprensibile. I rapper hanno una propria dimensione spazio-temporale, incomprensibile ai comuni mortali. Le spogliarelliste, però, non mancano. Il DJ suona “Drippin’” di Kid Ink, che immediatamente assume nuove connotazioni letterarie. Passano un paio d’ore. C’è un po’ di nervosismo nell’aria. L’unica cosa che rimane da fare è rilassarsi, investire 10 dollari in un buon drink e magari dare la mancia a una spogliarellista. Vorrei dire qualcosa su quanto mi senta a disagio per come se la passano le donne che lavorano negli strip club, ma questa non è la mia tesina sugli studi di genere. Non so, con loro è così. Non sono certo il loro target di riferimento e nemmeno la madre. Dirò solo che non mi ero mai accorto di quanta cellulite abbiano. È stato uno shock. C’è un motivo per cui gli strip club sono bui. Un gruppo di buttafuori passa ogni cinque minuti per raccogliere le banconote, fornendo così una risposta a tutti quelli che si chiedono dove finiscano i soldi delle mance (un perizoma non può contenere più di un certo numero di dollari, anche se per alcune delle spogliarelliste parlare di perizoma è quasi un eufemismo.)
Poi, all’improvviso, succede questo:
French Montana fa la sua comparsa, stringendo in mano un sacco della spazzatura pieno di banconote da un dollaro. Cominciano letteralmente a piovere dollari: centinaia di banconote da un dollaro cadono ovunque, tutte insieme. Le spogliarelliste perdono la testa, scontrandosi tra loro secondo modalità apparentemente impossibili per un essere umano. Il palco si riempie da due a quindici spogliarelliste in 45 secondi. È come un orgasmo improvviso dopo ore di preliminari, i previsti 15 minuti di fuochi d’artificio che si consumano in 15 secondi. È ciò che tutti stavamo aspettando, ed è lì.
Vorrei complimentarmi con le spogliarelliste, perché sanno davvero come muoversi. Mosse strabilianti, innescate dalla sola forza delle loro natiche. Girano intorno ai pali, due alla volta, facendo sembrare quelli del Cirque du Soleil degli incapaci. Sono tutte appiccicate, eppure perfettamente consapevoli della loro presenza collettiva e capaci di non farsi male a vicenda. Si muovono indiavolate sul beat di “Pop That”, e io non se questo sia il normale programma dello strip club o se French abbia ordinato delle spogliarelliste di maggiore calibro per quella serata ma, in ogni modo, è stato un vero spettacolo.
Dopo dieci minuti è finito tutto, e mi ritiro verso il bancone completamente stordito e divertito. I trucchi del marketing hanno funzionato. La curiosità è stata saziata. Se vi state chiedendo cosa voglia dire vedere French Montana far piovere dollari su un mucchio di spogliarelliste, non dovete fare altro che ascoltare i suoi versi. A volte il rap non deve essere buono per essere bello.