La storia del monococco ha origine circa 10000 anni fa nella zona che ci ricordiamo tutti dalle elementari: la Mezzaluna Fertile.
Forse “Qual è il primo cereale addomesticato dall’uomo?” non è la prima domanda che vi fate la mattina prima di fare colazione. E di sicuro “monococco” non è la prima risposta che vi viene in mente, sempre che abbiate mai sentito la parola. Io ne sapevo quanto voi, almeno non prima di aver fatto due chiacchiere con Gabriele Bonci, famoso fornaio e ”Pizza Hero”.
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Prima di essere conosciuto al grande pubblico grazie alla TV, Gabriele Bonci era già un artigiano arcinoto tra gli appassionati di lievitati, da sempre attento alla provenienza degli ingredienti e all’importanza di creare reti di professionisti che ragionassero nel suo stesso modo. Le sue pizze in teglia sono prese d’assalto a Roma dal 2003, anno di apertura di Pizzarium, ma ora sono anche a Chicago e Miami.
Ma torniamo alla questione monococco: Gabriele nel suo panificio di Roma ha intrapreso una ricerca assidua per ridare vita a questo cereale dalle molteplici proprietà che rischiava di venire dimenticato. L’idea gli è venuta ben 14 anni fa, grazie alla sua passione per l’agricoltura, in particolare per quelle cultivar dimenticate, e per le panificazioni quasi impossibili. Ha trovato il posto giusto e cominciato a sperimentare su un cereale che non solo ha una bassa resa, ma manco a dirlo è un casino tirarci fuori un pane fatto come si deve.
“È un cereale dalle caratteristiche pazzesche. adattissimo per chi è fortemente intollerante al glutine”
Il monococco è un cereale antichissimo. Così tanto antico da essere stato ritrovato perfino nello stomaco di Ötzi, la mummia di 5300 anni che riposa perfettamente conservata a Bolzano. Oggi si sente parlare spesso di varietà antiche di cereali ma qui, come mi spiega Bonci, ci troviamo davanti a qualcosa di molto più atavico. Con il monococco parliamo a pieno diritto di grano primordiale.
“Il monococco,” mi dice Gabriele nel suo forno di Roma, “per me rappresenta da 14 anni una sfida continua. Un progetto che con Mulino Marino abbiamo chiamato “Enkir”, da uno dei nomi del monococco. È un cereale dalle caratteristiche pazzesche e, tra l’altro, adattissimo per chi è fortemente intollerante al glutine.”
Il monococco, che viene chiamato anche piccolo farro, grano monococco o farro monococco, come mi spiega Gabriele Bonci è “un cereale scoordinato. Nel senso che il primo gene del monococco ha il 14% di proteine diverse e non ha praticamente glutine. E ha un sapore pieno.” Niente a che vedere con un pane fatto con il classico grano: ha un sapore molto più complesso e difficilmente descrivibile.
Mangiare qualcosa fatto con il monococco è come mangiare una bistecca: se ti fai gli esami del sangue i livelli di zuccheri sono bassissimi. E ha un alto valore proteico
La storia del monococco ha origine circa 10000 anni fa, in quello che viene chiamato il periodo “Neolitico Preceramico”, nella zona che ci ricordiamo tutti dalle elementari: la Mezzaluna Fertile. A essere precisi, pare che la zona precisa in cui è stato per la prima volta addomesticato il monococco sia quella del Karaca Dağ, terra vulcanica in Turchia. Tracce di questo cereale venivano in realtà raccolte anche prima, ma è da quel periodo che l’uomo ha capito che coltivarlo fosse una buona idea.
Di fatto il monococco è il più antico antenato del grano: è la linea di confine tra il farro e le spighe di grano che conosciamo oggi. E se da una parte ci sono diversi vantaggi nel consumarlo (nutrizionali, grazie alla presenza di proteine, carotenoidi, grassi insaturi, vitamina E e ferro; sostenibili, dato che ha bisogno di poca acqua ed è naturalmente resistente ai parassiti), dall’altra la sua resa è così bassa che difficilmente viene da prenderlo troppo in considerazione. “Le spighe del monococco sono piccolissime,” mi racconta Gabriele Bonci. In effetti sono alte circa 70cm. “E la resa è molto bassa: per un ettaro, il monococco rende circa tre quintali. Il grano 25 quintali.”
Per inciso: dagli anni ‘70, la maggior parte dei campi di grano che guardiamo affascinati come fossero chissà quale spettacolo di natura, hanno in realtà subito quello che è stato chiamato processo di nanizzazione. In pratica i grani cosiddetti “antichi”, per la loro altezza non risultavano sufficientemente produttivi e gestibili e così, tramite mutazione genetica, si è arrivati a un tipo di spiga che cresce fino a un certo punto. Il che consente alle macchine di raccogliere con più facilità. E che soprattutto ha avuto due impatti drammatici: impoverire il suolo e la mutazione di una proteina del glutine, la gliadina, responsabile del malassorbimento dei nutrienti, intolleranze al glutine e celiachia.
Il progetto di Bonci sul grano monococco non si limita alla sola panificazione. La sfida era anche quella di ridare vita a un cereale dall’inizio, dalla coltivazione, in una sorta di agricoltura sovversiva. “Del monococco è interessante soprattuto la parte agricola: è una pianta che non ha bisogno di troppa acqua, di concimi e si riproduce da sola. Ogni ettaro di monococco ha circa 250.000 km di radici, tra principali e sotterranee. Praticamente due volte il giro della Terra,” mi racconta Gabriele. Oltretutto non c’era nessuno che si era messo a ricercare e selezionare le razze di questa pianta. Così abbiamo scelto un territorio a 1000 metri sugli altipiani di Arcinazzo e lì abbiamo iniziato a coltivarlo.” E ci inserisce anche il discorso sull’agricoltura ad alta quota che è naturalmente più estrema e interessante da studiare.
“Trattare il monococco per noi significava trasformare la poesia in un mercato che non segue il profitto e basta, ma le logiche della natura e della salute”.”
Abbiamo detto che panificare il monococco è parecchio difficile. Il motivo è, ovviamente, la quasi totale mancanza di glutine che gli permetterebbe di crescere come accade a una classica pagnotta. Quindi, perché il fornaio con il panificio tra i più famosi d’Italia ha deciso, in pratica, di prendersi sta gran gatta da pelare? “Perché dopo tanta ricerca la soddisfazione di poter dire di aver fatto un pane ottimo da quel cereale è il massimo. Il mio sogno è quello di fare tutto a base di monococco.” Effettivamente ci fa anche plum cake, biscotti da inzuppo, pizza e perfino la pastiera sotto Pasqua.
“Per avere un buon risultato abbiamo lavorato a diverse soluzioni saline e a un lievito madre di farro duro per farlo alzare.” Giustamente non aveva senso fare tutto questo lavoro e poi usare un lievito a base di grano. “Mangiare qualcosa fatto con il monococco è come mangiare una bistecca: se ti fai gli esami del sangue i livelli di zuccheri sono bassissimi. E ha un alto valore proteico.” Il che lo rende a questo punto perfetto se siete intolleranti al glutine, ma anche diabetici, oltre a fare generalmente bene a tutti.
“Trattare il monococco per noi significava trasformare la poesia in un mercato che non segue il profitto e basta, ma le logiche della natura e della salute,” mi dice Gabriele Bonci. “E poi è il cereale più etico di tutti. Tutta l’Italia è una distesa di grano: un grano che, evolvendosi, ci ha mostrato il lato peggiore dell’agricoltura. Quello dei grandi numeri, dei grandi profitti e della massima resa. Il monococco no. Il monococco rende pochissimo.”
Rende il necessario, il poco ma buono. Una lezione di panificazione, forse anche di vita.
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