Il format di Noisey più amato da chi fa le imitazioni dei cantanti sotto la doccia è arrivato anche a Milano. Portandosi dietro, com’è ormai tradizione, il solito carico di disagio meteorologico, stavolta limitatosi a una pioggia battente e ininterrotta. Il clima ideale per il nostro ospite Jake La Furia, sotto antibiotico e imbottito di farmaci vari, ma comunque, e che ve lo dico a fare, in forma smagliante se messo a spietato confronto con il nostro fotografo Kevin Spicy, che sta affrontando questi appuntamenti con difficoltà via via sempre più allarmanti. A inizio giornata, infatti, lo Spicy decide di comunicarmi, sguardo perso nel grigio di una parete che oltre al già citato grigio non offre nulla degno di una così intensa concentrazione, come fosse oramai “arrivato il tempo di creare un mio spin-off, nel quale mi faccio fotografare da dei musicisti mentre assisto a un concerto”. Sull’utilità e le possibilità di successo di tale avventura, vi lascio trarre le vostre conclusioni.
Ora che, per non somatizzare in solitudine, vi ho resi partecipi delle sghembe manie di protagonismo del fotografo, serpe in seno che non mi riesce di sbolognare perché nessuno si sta facendo avanti per soppiantarlo, passiamo alle cose belle: la combo Jake La Furia-Gazzelle. La coppia che finora era sulla carta la più improbabile, va subito detto che si è, invece, perfettamente incastrata in un Fabrique (realmente) sold out, per l’ultima tappa del Megasuperbattito Tour.
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Ma prima di schivare il pressure test sotto forma di ressa di giovani e giovanissimi in fortissima fregola pre-live per salire beatamente in balconata (tranne il fotografo, abbandonato al suo destino come “uno stronzo, un pezzo di fango”, tanto per citare “Meglio così“), abbiamo chiacchierato con Jake del suo ultimo pezzo ” MMMH”, di Drusilla Foer, Bello Figo, delle shit storm e delle fake news vomitate dai social, delle elezioni, di quando Seedorf gli ha spezzato il cuore di bambino, e anche, al volo, dei suoi bambini, che sono “quasi due” e che quando ne parla gli fanno venire una faccia bellissima.
Noisey: Mi ha detto la tua manager Elena che sei un grande fan di Gazzelle…
Jake La Furia: [Ride] Gli hai detto davvero questa cosa qua? [si rivolge a Elena, vera fan di Flavio, che se la ride] No, la verità è che lo conosco, perché anche io ho i miei periodi emo in cui mi sparo le playlist indie su Spotify, specie mentre lavoro, e quindi mi sono sentito un sacco di pezzi di Gazzelle. Ma voglio iniziare quest’intervista con una precisazione.
Vai.
Io non sono uno “sfan”. Non è che arrivo pensando “chissà che merda”, arrivo con l’idea di vedere un bel concerto e sono contento di farlo.
So che Flavio è molto contento che ci sia tu.
Eh, meno male. Speriamo, a sto punto, di rimanerlo tutti anche dopo.
Quando vai a un concerto distante dal tuo genere che cos’è che ti colpisce e ti fa dire “però, bravo questo tizio”?
Premesso che ascolto generi anche lontanissimi dal mio, ai concerti vado ad ascoltare musica ed è la musica che mi colpisce. Chiaro che se vado a degli eventi giganteschi, voglio essere colpito anche dalla messa in scena e dagli effetti speciali, invece, in situazioni come questa, mi colpirà se sarà davvero sold out e se lui avrà una buona presenza sul palco. Poi, essendo, credo, musica un po’ deprex con l’accezione positiva del termine, voglio vedere come funzionano i concerti di musica deprex [in realtà dopo 3 pezzi Jake mi dirà che è molto, molto meno deprex di quanto pensasse, pensiero ribadito anche a fine serata N.d.R.]. E poi sono curioso di vedere se se tutti canteranno i pezzi, ma già so che sarà così. Anzi, canterò anch’io, vedrai che qualche ritornello mi parte sicuro.
Hai un programma a Radio 105, Jake Hit Up, dove tenti di pompare canzoni che secondo te saranno successi: diccene qualcuno.
Io tento di pompare di tutto, ma amo le gran tamarrate. Come Migos & Marshmello, cose, insomma, molto meno nobili di quello che andiamo a sentire stasera, anche se poi in realtà spingo pure un sacco di indie. E comunque lì, in radio, è una guerra, tra le cose della classifica, le cose che piacciono a noi del programma e le cose degli amici degli amici.
A proposito di guerre, visto che siamo nel limbo di un post election day infinito: che cosa pensi della polemica sul fatto che quest’anno i musicisti, e in particolare i trapper che hanno più seguito tra i giovani, non abbiano detto nulla di politico?
Secondo me i motivi sono due: il primo è che la shit storm è all’ordine del giorno, basta che posti una foto delle tue scarpe del Milan che sotto a quell’immagine si scatenerà l’inferno di bestemmie degli interisti; se tutto ciò lo trasponi sulla politica e dici “votate cazzo” perché sono tutti fan della figa, sei subito un infame. Non è facile prendersi una responsabilità del genere. Il secondo motivo è che tutto ciò che c’era da votare, ora non voglio fare il populista ma la penso così, era davvero una merda fetente. Dovendo salvare il Paese ed avendo un’alternativa valida, allora uno magari si poteva anche far avanti, ma qui c’era davvero la feccia peggiore di sempre, e infatti chi ha vinto ha vinto malamente, grazie a dei i trucchi come le fake news.
[Veniamo interrotti da un ragazzo che gli chiede una foto, Jake risponde che deve aspettare un attimo perché sta facendo un’intervista, poi però il bieco Spicy gli ricorda di quando ha raccontato a un altro giornale musicale della volta in cui Seedorf si rifiutò di fare una foto con lui, ai tempi bimbetto, perché stava mangiando e che da allora dice sempre di sì a tutti. “Che stronzo” sibila Jake, credo rivolgendosi parimenti al ricordo di Seedorf e alla figura del fotografo, tant’è che finite le domande, farà la foto.]
In effetti si massacra gente per cose molto più futili, come un programma TV.
Esatto, prendi Levante: è stata massacrata, ma davvero massacrata in veste di giudice di X Factor, ed io che ero là tutte le sere per lavoro e ho ovviamente seguito lo show non l’ho certo vista fare delle cose così tremende… Ma poi soprattutto: ma chi cazzo se ne frega? E invece no, la gente ha questa passione sfrenata per l’insulto, perché io non ho mai visto pagine intere su Internet di elogi a qualcuno, o sbaglio?
Ti ricordo che lavoro per Noisey.
Infatti [ride].
Così come, per esempio, uno come Bello Figo non è uscito benissimo dal tunnel dell’odio in Rete.
Per me Bello Figo era un genio assoluto. Però è stato annichilito dal razzismo. Lui, da un lato, c’è andato incontro come a un treno in corsa, la gente, dall’altro, è caduta nell’errore di credere che Bello Figo fosse uno scemo o un provocatore, tanto che sono andati a bloccargli i concerti. Questo ti fa capire i problemi enormi del Paese. Ti faccio un altro esempio: l’altro giorno sono andato a leggermi un post di amici miei, gente che è arrivata comunque a 30-40 anni senza morire nelle pozzanghere, che dicevano, seriamente, che Nichi Vendola ha fatto tagliare la gola a tutti i cani di un canile. Capisci? Anche il mio gatto capirebbe che è una minchiata, e invece no, la gente sotto commentava “bastardi”, “pezzi di merda”. Insomma qui siamo oltre l’analfabetismo funzionale, e ti fa capire perché la carriera di Bello Figo non è decollata.
Fa capire anche molte altre cose.
Alla grande, infatti io sono contro la democrazia dei social e anche contro la democrazia di voto: bisognerebbe mettere un test che con dei criteri precisi certifica che tu hai diritto ad esprimere la tua opinione, perché sennò siamo messi male, perché finché rimane una cazzata da Facebook ok, ma quando poi influenza cose più grosse, allora sono problemi grossissimi.
Tornando alla televisione, tu quest’anno allo Stra Factor hai creato un’intesa della madonna con Drusilla Foer: questo feeling tra te, rapper legato a un universo machista, e una drag queen, anche se non so se Drusilla possa apprezzare questo tipo di etichette, ti ha creato problemi?
No, devo dire di no. Per niente. Ma poi, penso che facesse così tanto ridere che davvero era inattaccabile, dai siamo diventati una coppia comica in quel contesto lì, devi essere un nazi-hater per romperci i coglioni. In compenso ho avuto un sacco di commenti positivi e io e lei siamo rimasti molto amici, perché pochi al mondo mi fanno così tanto ridere. Dico, però, anche un’altra cosa, che è importante capire in questo momento: il rap è stato un ambiente molto machista, ma se guardi il rap di oggi mi sembra la cosa meno machista che ci sia in giro. Questi nuovi rapper e trapper vanno in giro con lo smalto e i fuseaux tigrati, quindi direi che il mondo per com’è ha avuto una rivalsa sul rap ed è evidente. Non esiste più il rap omofobico, anzi semmai abbiamo sbracato dall’altra parte [ride].
Fanno, però, fatica le rapper donne, in Italia.
Sì. E secondo me il motivo è che le rapper donne si portano dietro il retaggio anni 90 da centri sociali, per cui è come se dovessero vestire come gli uomini rapper, dire le cose degli uomini rapper ma essere caste come la madri e le sorelle degli uomini rapper. Noi non abbiamo Nicky Minaj: quando finalmente avremo una che fa un bel pezzo rap, con un culone così, con il tanga e che se ne sbatte i coglioni, allora saremo arrivati. Purtroppo l’emancipazione nel rap da parte delle donne deve, secondo me, passare per il raggiungimento del livello di “tamarraggine” di quello degli uomini, o di quello americano. Ci vuole una che spezzi la barriera, una che non sia trattenuta, che si metta i panta leopardati, il perizoma e che dica tutto quello che ne ha voglia senza freni.
Potresti fare dei casting ad hoc, semmai diventassi giudice di X Factor.
Lo farei molto volentieri, ma farei ancora più volentieri Stra Factor. Ma ancora più di tutto farei un bel quiz tipo L’Eredità, con un contratto di rete da un paio di milioni, che occupi poco tempo e dia stabilità. Una cosa che registri nel primo pomeriggio, e quando esco porto al parco mio figlio.
I tuoi ultimi due pezzi, “El Party” e “MMMH”, sono reggaeton, come mai?
Perché mi è sempre piaciuto e perché a un certo punto della mia carriera mi sono arrogato il diritto di fare quel cazzo che mi pare. E lo so che si parla e si ragiona sul tema dell’appropriazione culturale, ma allora noi italiani dovremmo fare solo o musica da osteria o cantautorato, perché non abbiamo inventato niente. Io voglio fare come Drake, che un giorno si sveglia e rappa, poi canta, poi distribuisce soldi ai poveri nei suoi video… Video che, tra parentesi, è al confine tra l’assurdo e il cattivo gusto, ma che ancora non ho capito in quale dei due emisferi collocare. Forse propendo per il secondo, perché sembra un C’è posta per te versione Miami.
Perché, credi, soprattutto a voi rapper, si chiede così spesso se sentite la responsabilità di quello che scrivete?
Questo è un argomento su cui potrei parlare per ore. Se volete con Noisey facciamo una puntata speciale sui messaggi privati che mi arrivano su Facebook, messaggi di madri agghiaccianti, davvero terribili, e io ormai sono corazzato, però certe volte è ancora dura. Quello che dico è che non sono mai voluto essere un modello di comportamento, io ho solo raccontato quello che nella vita è successo a me: come questo viene, poi, recepito dai vostri figli è responsabilità vostra, di voi genitori, non mia. Non ho mai scritto un pezzo dove dicevo “ragazzi pippate la bamba perché è buona”, dovessi farlo capirei una madre che mi insulta e le darei pure ragione.
Tornando al tuo “faccio quel cazzo che mi pare”, sembra frutto di grande serenità, è così?
Sì, al cento percento. Anche perché io credo, scusa il gioco di parole, nella credibilità, e quindi voglio cantare cose attinenti alla mia vita. Non posso, oggi, fare dei pezzi in cui racconto quanto mi scasso: ho quasi due figli [Diego, di un anno e mezzo, e il secondo maschio in arrivo a maggio] e un’altra vita. Così ho iniziato a scrivere cose diverse, con intenzioni diverse, strizzando sempre l’occhio al rap, ma con la voglia di cambiare discorso. Senza false modestie, credo che con il rap abbia già dato, quindi oggi se mi va di rappare rappo, se mi va di cantare canto, se mi va di fare il reggaeton lo faccio, se mi gira di fare un po’ di trap faccio pure quella. Prendendomi la responsabilità di tutto questo, eh, perché “El Party” è stato un rischio, anzi, avrebbe potuto mettere fine alla mia carriera, roba che tiravamo giù la serranda e tutti a casa. Tant’è che anche ad Elena ha sempre fatto schifo e mi ha continuato a dire che le fa schifo. Ma io lo volevo fare lo stesso e alla fine ho fatto 22 milioni su Spotify. Anche il singolo nuovo, ti dico la verità, non lo so se la gente lo ha capito bene.
Perché dici?
Perché è ancora un altro cambio. Prima di tutto perché è tamarrissimo, poi perché è un mischione di generi, dalla afro trap al reggaeton, poi mi hanno messo pure il filtro per i minori sul video … Non so, mi sa che lo capiremo tra un po’ di tempo se avrà avuto gloria o infamia.
Dicevi che hai quasi due figli, ti faccio una domanda di quelle pese: fare figli è in un certo senso anche dire di avere fiducia nel futuro?
Fare figli è coraggioso, ma io la fiducia nel futuro migliore non ce l’ho tanto, eh. Volevo, piuttosto, lasciare qualcosa in questo mondo che non fossero delle canzoni di merda!
Sperando che i tuoi figli non facciano canzoni di merda…
Eh, uno è già lì, invece. Io volevo che facesse il calciatore.
Dell’Inter?
Ma di quello che vuole, basta che porti a casa i milioni.
Stiamo per andare al concerto di Gazzelle e ci sono degli ospiti con lui stasera, che tu non ancora sai: chi vorresti incontrare nel backstage?
Jay-Z!
Chi vorresti incontrare di italiano?
Calcutta.
Il tempo di una sigaretta (noi donne, Jake no perché ha quella elettronica che gli ha permesso “di smettere con quel pacchetto e mezzo al giorno da 24 anni” e che sta scalando da 8 a 2 mg di nicotina, proprio come si fa, dicono i bene informati, con le benzoadiazepine) e di due dritte su quali sono gli antidolorifici più potenti “per affrontare i tatuaggi in punti super dolorosi come il fianco”, e Silvia di Vivo Concerti ci accompagna nel backstage, dove invece di Calcutta c’è quello che per La Furia è “il numero uno”, ovvero Luca Carboni.
Carboni, che da quanto abbiamo captato da un dialogo tra lui e Jake sta per uscire con un disco nuovo, è lì per cantare insieme a Gazzelle un pezzo piuttosto noto dal titolo “Ci vuole un fisico bestiale” e se ci sarà un’unica nota non del tutto positiva nella recensione dello spettacolo, questa sarà proprio il mancato boato che la folla, carica a mille per l’ultimo atto del Megasuperbattito Tour, non ha regalato al Luca nazionale, “ma sono davvero giovani”, mi dirà Jake per giustificare quell’accoglienza un po’ meh.
Per il resto, lui stesso, tra un saluto stile Elisabetta II e l’altro ai fan che lo chiamano dal parterre in vari modi tra cui “bella Guè Pequeno”, è sorpreso da quanto la situazione lo pigli bene. “Primo”, spiega, “perché non mi aspettavo che tutti cantassero tutte le canzoni con quella carica lì”, e in effetti se non fosse che la balconata offre diversi tipi di comfort (birra) dei quali io usufruisco e Jake no, la carica del pubblico è tale che verrebbe quasi voglia di scendere a sudare un po’ nella calca; “secondo”, continua, “perché lui spacca ed è molto meno deprex di quanto immaginassi. E poi sembra Noel Gallagher”.
Accompagnato per i primi due pezzi da un trio d’archi, giovanissimo e tutto al femminile, Gazzelle pare aver voluto mettere subito in chiaro che è arrivato alla fine di questo primo capitolo del suo percorso musicale studiando, faticando e lavorando, e la differenza dal vivo rispetto a un anno fa è sostanziosa. Anche al giro di boa del lentone “Balena”, dopo un inizio bello tirato, Jake rimane compiaciuto: “Certo”, dice, “bisogna vedere quanti sono i lentoni di fila”. Ma neanche Gazzelle gli avesse letto nel pensiero, il registro torna danzereccio con “Demodé” e passa la paura. Ci distraiamo un po’ solo durante i due pezzi dei Canova, ma solo perché Jake mi diagnostica, dopo un paio di indizi, una mania del controllo, mentre entrambi ci lagniamo delle nostri madri che non prendono l’aereo, costringendo i nostri padri a non viaggiare.
Dalla balconata spizzo di tanto in tanto anche il fotografo, di cui a un certo momento intercetto il labiale “sono Kevin Spicy di Noisey” rivolto a una moretta in prima fila, che risponde alzando il dito medio. “Ma quando vai a un concerto”, chiedo al mio ospite che con ogni probabilità è l’essere umano più sobrio di tutto il Fabrique e dintorni, “non pensi mai ‘in questo pezzo ci starebbero bene due barre’ o cose così?” “No, ascolto, mi diverto e basta, e ti dirò, mi rode non essere in mezzo, ma qui a Milano è abbastanza impensabile per me. Infatti i concerti che mi godo di più sono quelli che vedo all’estero, dove nessuno mi conosce”. Rilancio: “Ma vedere uno show ben riuscito come questo ti fa venire voglia di farne uno tuo?” “Di brutto, sì, sì, mi galvanizza un sacco”.
Galvanizzato ma pur sempre sotto bombe antibiotiche, a una manciata di minuti dalla fine del concerto mister La Furia se ne va, non prima di avermi regalato un abbraccio di quelli onesti e la sensazione di aver incontrato una persona che di onestà, appunto, non parla a vanvera. Giunto anche per me il momento di lasciare le gioie del privé, leggo con noia un messaggio allarmato del fotografo che guaisce perché impossibilitato a raggiungermi nell’ala segreta del Fabrique con il solo pass di cui è provvisto. E allora faccio come poco prima ha fatto Gazzelle sul palco: mi bevo una vodka liscia, spengo il cellulare e non mi vedi più.