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La generazione rubata da Boko Haram: sulle tracce dei bambini che scompaiono in Nigeria

“Quando Boko Haram ha attaccato il nostro villaggio, abbiamo iniziato tutti a correre all’impazzata,” racconta a VICE News Saratu Zakaria. “I bambini cercavano di stare dietro ai genitori, ma non ci riuscivano.”

Zakaria, 44 anni, vive in un accampamento improvvisato dietro a una chiesa a Yola, capitale dello stato di Adamawa, nel nord-est della Nigeria. Le mancano i suoi figli: tre femmine e un maschio di 7, 8, 10 e 16 anni. Non li vede da un anno e mezzo.

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“C’è un posto dove normalmente andavamo a nasconderci, era come un rifugio per tutti noi nel villaggio. Ma i cattivi sono venuti proprio lì e ci hanno rapiti tutti,” prosegue Zakaria. “Molti dei sopravvissuti sono scappati in Camerun, e poi dal Camerun ci hanno riportati in Nigeria.”

Molti dei suoi vicini sono stati massacrati durante l’assalto. “Diverse donne e un numero incalcolabile di uomini sono stati assassinati davanti ai miei occhi,” racconta.

Dopo essere stata prigioniera di Boko Haram per oltre otto mesi, gruppo affiliato allo Stato Islamico, Zakaria è riuscita a scappare. È fuggita in Camerun, per poi proseguire fino a Yola. Alla fine, ha potuto abbracciare il proprio marito.

Nonostante Zakaria fosse sana e salva, non poteva certo festeggiare. Ha fatto alcune indagini e ha scoperto che a Gwoza, la sua città natale, c’erano due campi profughi.

Così la madre ha preso coraggio, ha viaggiato per 322 chilometri ed è tornata nello stesso luogo da cui era partita con lo scopo di trovare i suoi figli. Zakaria ha setacciato i campi, ha descritto i suoi bambini a chiunque incontrasse. Ma nessuno li aveva visti.

Nel frattempo continuavano a giungere voci di uccisioni. “Ci sono ancora omicidi, ma non in modo incontrollato come prima,” Zakaria ha detto a VICE News, due settimane dopo aver temporaneamente sospeso la propria ricerca per tornare a Yola. “Gli uomini di Boko Haram sono ancora là, soprattutto nella parte est di Gwoza. Sono ancora là.”

Ora Zakaria può solo aspettare. Come le decine di altri genitori negli stati del Borno e di Adamawa (nel nord-est della Nigeria) i cui figli sono scomparsi, la donna non ha nemmeno una foto dei propri bambini — sono bruciate insieme alla casa.

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Da quando Boko Haram sette anni fa iniziò ad attaccare città e villaggi con l’obiettivo di instaurare un califfato islamico, i nigeriani hanno dovuto ‘abbandonare’ le proprie vite. Sono fuggiti in tutte le direzioni, senza sapere chi tra i loro vicini fosse ancora vivo e chi fosse stato assassinato.

Questo schema si è ripetuto più volte nel corso degli anni. Una delle conseguenze è che decine di migliaia di bambini sono scomparsi. Non si sa che fine abbiano fatto e le loro sparizioni non sono state documentate. Nel frattempo altri bambini rischiano di venire rapiti da militanti o da trafficanti. Molti sono privati dell’istruzione – al contrario, sono costretti a lavorare per sostenere le proprie famiglie.

Un bambino dorme su un tappeto in un campo ad Adamawa. (Foto di Sally Hayden/VICE News)

Ma neppure il destino di chi è riuscito a fuggire da Boko Haram dopo essere stato rapito è chiaro. Emergono notizie preoccupanti riguardanti bambini detenuti in caserme militari a Maiduguri, la capitale del Borno. Molti di loro sono stati portati lì in seguito ad arresti di massa, dopo che erano fuggiti da territori ribelli in città riconquistate nel nord-est.

Un rapporto di Amnesty International rilasciato mercoledì dice che dal febbraio 2016 almeno 12 bambini e bambine sono morti nella famosa caserma di Giwa e che oltre 120 bambini sono ancora trattenuti in condizioni terribili.

VICE News ad aprile ha visitato una dozzina di campi e insediamenti – formali e informali – per profughi interni negli stati del Borno e di Adamawa. In ciascuno abbiamo incontrato diversi genitori che erano stati separati dai propri figli. Era scioccante quanto le loro storie si assomigliassero tutte: il ritornello più comune era un semplice “Non so dove siano.”

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Nell’insediamento di Dawari nello stato di Adamawa, 335 famiglie si sono accampate su un terreno che prima veniva coltivato.

I profughi interni lì presenti provenivano dai comuni di Gwoza, Bama e Madagali. Ci sono alcune differenze tra di loro – chi è fuggito con i soldi può permettersi mattoni d’argilla per costruire la propria baracca, mentre gli altri hanno fabbricato un riparo con giunchi e legna.

C’erano quasi 43 gradi. Un gruppo di uomini sedeva all’ombra su delle stuoie, solleticati dalla sabbia. Diverse donne sbirciavano attraverso le assi di una struttura lì accanto – la tradizione vuole che gli uomini e le donne stiano separati.

Questi dieci uomini di Gwoza, nel Borno, hanno perso 18 bambini mentre fuggivano da un assalto di Boko Haram. Ora si trovano in Nigeria. (Foto di Sally Hayden/VICE News)

Idrisa, un leader locale che ha lasciato Gwoza due anni fa, rammentava il giorno in cui lasciò la propria casa. Viveva ad appena 48 chilometri dalla foresta di Sambisa – noto nascondiglio di Boko Haram.

“Durante la notte tre persone hanno attaccato la mia casa. Erano le 8 di sera. Sono arrivati con una pistola. Uno voleva legarmi le mani, un altro mi puntava la pistola alla testa, così.”

Ha mimato la scena, raccontando la lotta e la fuga. “Mi sono lasciato alle spalle la mia auto, la mia casa.” Fortunatamente, anche le sue quattro mogli e i suoi 19 bambini si sono messi in salvo.

Idrisa è l’unica persona a non avere perso contatto con la propria famiglia. Tra gli altri dieci uomini seduti sulle stuole nell’ombra si contavano 18 figli scomparsi. Uno di loro non sapeva più nulla della moglie e dei due figli. “Non c’è più modo di entrare a Gwoza, quindi è impossibile tornare indietro,” afferma.

Un altro uomo aveva perso sei figli e la moglie. Un altro due mogli e tre figli, un altro ancora sette figli. “Non so nulla di loro,” ha detto quest’ultimo con aria avvilita. “Solo Dio lo sa.” Un quinto uomo ha visto suo fratello maggiore e le sue due mogli venire uccisi, mentre un sesto ha assistito alla morte di suo figlio 15enne, assassinato di fronte a lui dai militanti di Boko Haram.

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Si stima che durante la rivolta Boko Haram abbia rapito tra 500 e 2.000 tra donne e bambini. Rachel Harvey, che si occupa della protezione dei minori per UNICEF in Nigeria, ha detto a VICE News che questi calcoli sono sottostimati, considerando che solo dall’inizio del 2016 sono stati salvati 1.000 bambini.

Al massimo delle proprie forze, nel 2014, Boko Haram controllava 19 dei 65 settori governativi nel nord-est, una porzione immensa di territorio. La conseguenza era che i civili non avevano modo di riferire alle autorità riguardo ai rapimenti.

I bambini rapiti dai militanti a volte sono usati come kamikaze. Nel 2015 44 attacchi sono stati eseguiti da minori, e in più del 75 per cento dei casi si trattava di femmine.

Oltre ai bambini rapiti dai ribelli, Harvey afferma che ce ne sono altri 20,000 che sono stati separati dalle loro famiglie – privi di assistenza ed esposti allo sfruttamento. In totale, più della metà dei due milioni di nigeriani sfollati sono bambini.

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L’espressione Boko Haram si può tradurre come “L’educazione occidentale è proibita,” e i militanti del gruppo spesso hanno attaccato le scuole, uccidendo o rapendo centinaia di studenti. Come conseguenza 2.000 scuole sono state chiuse e più di un milione di bambini nel nord-est della Nigeria negli ultimi due anni non ha ricevuto istruzione.

Nell’insediamento di Makohi a Yola, dove 135 famiglie per lo più musulmane vivono accampate in un terreno donato loro dalla comunità locale, almeno 100 bambini ricevono un’”istruzione informale.” I maschietti giocano a calcio, mentre le femmine se ne stanno a gruppetti a chiacchierare sotto a un albero.

“Imparano le basi: l’alfabeto e i numeri, l’inno nazionale,” ha detto a VICE News uno dei coordinatore del programma. Alcuni di loro entreranno nel sistema scolastico formale, ma la maggior parte no.

Il leader della comunità Idrisa Abdullaha, di Gwoza, ha detto che è preoccupato per il futuro dei bambini. “Una mente inattiva è l’officina del diavolo,” afferma. “L’istruzione è un problema. “Alcuni andavano al liceo, ma hanno dovuto scappare qui e ora non hanno le stesse opportunità.”

I bambini giocano a calcio nell’accampamento di Malkohi a Yola, nell’Adamawa. (Foto di Sally Hayden/VICE News)

VICE News ha parlato con tre adolescenti che vivono nell’insediamento. Mariam Abdullhai, 14 anni, era in terza media quando ha lasciato Gwoza. La sua famiglia era già fuggita altrove, e lei è arrivata solo recentemente nell’insediamento di Adamawa. Ora non sta ricevendo alcun tipo di istruzione. “Non so come fare per andare a scuola,” ci ha detto.

Nessuno dei suoi amici e dei suoi compagni di classe è finito a Yola – ha sentito che alcuni si sono trasferiti in altri stati, mentre altri non se ne sono andati.

Habiba Umaru, 13 anni, frequentava la prima liceo a Gwoza, ma qui è stata retrocessa alla seconda media – una critica alla qualità della scuola dove andava prima. La sua materia preferita è matematica. Habiba dice che i suoi genitori la sostengono e che sono felici che sia tornata a scuola.

Idrisa Adamu – che è stato nel campo per due anni e che sogna di lavorare come insegnante – è più pessimista. Gli mancano i suoi amici e i suoi parenti di Gwoza, la sua città natale. “Ci sono due facce della medaglia: alcuni sono vivi e stanno bene, altri sono morti,” ha detto. Idrisa, 15 anni, non ha la possibilità di contattare i suoi amici rimasti a Gwoza.

È ancora tormentato dal pomeriggio in cui Boko Haram arrivò nel suo villaggio. “Mi ricordo solo che quando quegli uomini arrivarono tutti iniziarono a correre. Siamo rimasti sulle montagne – dove ci eravamo rifugiati – per quattro giorni, e poi siamo andati a Maiduguri, a Mubi, qui.”

L’adolescente ha viaggiato con i vestiti che aveva addosso. Tutto il resto è rimasto al villaggio.

Ora è in prima superiore. Ogni giorno svolge le faccende domestiche per aiutare la propria famiglia. Quel giorno era andato a prendere la legna per il fuoco. “Purtroppo non torneremo indietro presto,” ha detto.

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Come parte dei suoi progetti nel nord-est, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) fornisce supporto psicosociale ad alcuni bambini non accompagnati che tendono a isolarsi.

Emmanuel Dmaina, il referente di OIM per quanto riguarda il sostegno psicosociale, ha detto a VICE News che i consulenti della ong incoraggiano i minori a disegnare quello che passa per la loro testa. I ragazzini rappresentano sempre l’esercito o i ribelli, ci spiega, “tutto ciò che hanno visto durante i periodi traumatici.”

Un’altra sfida della ong e dei volontari è identificare i bambini che sono stati separati dalle loro famiglie, ma che vengono reclamati da altri adulti del loro comune che si fingono i loro genitori — anche se queste persone in genere hanno buone intenzioni.

Jerusha Bode, che si occupa di protezione dell’infanzia per il Comitato Internazionale di Soccorso (IRC), ha detto a VICE News: “Il problema che abbiamo al momento è il lavoro minorile, perché [gli adulti che si prendono cura di loro] non hanno abbastanza risorse,” afferma.

“Un uomo con 16 bambini ne educherà solo sei come tali. Gli altri verranno mandati a coltivare i campi o a vendere sacchetti di acqua al mercato o lungo la strada.”

Una ragazza nel campo di Maiduguri, nel Borno. (Foto di Sally Hayden/VICE News)

Bode ha detto che i bambini riferiscono agli assistenti sociali che stanno andando a scuola, “ma poi visitiamo la scuola che il bambino dice di frequentare e scopriamo che non c’è.”

L’IRC verifica spesso le procedure, operando attraverso i capi delle comunità, spiega Bode. Controllano se le storie raccontate dai bambini e dagli adulti coincidono e cercano di capire se sono davvero collegate.

Bode ha visto genitori riunirsi con i figli dopo oltre un anno di lontananza, una prova che il lieto fine è possibile.

Ma in altri casi la situazione dei bambini lasciati soli può addirittura peggiorare. Bode ha detto di avere sentito storie preoccupanti riguardanti il traffico di minori: gruppi di uomini si inseriscono nei campi per profughi interni e propongono di portare via fino a un centinaio di bambini “per permettere loro di andare a scuola ad Abuja [la capitale della Nigeria].”

Ma queste offerte, al momento della verifica, si sono rivelate false.

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Nel Regno Unito, il commissario anti-schiavitù Kevin Hyland ha detto che si aspettava segnalazioni di sospetti trafficanti – in ogni caso, in Nigeria c’è un alto numero di persone che si occupa di traffici illeciti.

“Sappiamo che a spingere la gente a fare scelte che altrimenti non farebbe sono il conflitto in corso e l’instabilità. D’altro canto, in Nigeria operano anche criminali che si approfittano dell’instabilità e della mancanza di opportunità,” ha detto a VICE News.

I ragazzini giocano in un campo per profughi interni a Maiduguri. (Foto di Sally Hayden/VICE News)

Si pensa che ogni anno centinaia di nigeriani sono trasportati illegalmente nel Regno Unito. “Vediamo che vengono fatte offerte e promesse, che si tratti di lavoro, di istruzione o di notevoli ricompense finanziarie,” spiega Hyland.

Hyland ha aggiunto che non era consapevole del grande numero di bambini e donne che vengono rapiti nello specifico nel nord-est della Nigeria. Ma i giovani sono obiettivi comuni, e la più battuta rotta del contrabbando verso l’Europa passa attraverso la Nigeria settentrionale, per il Niger e infine per la Libia.

“Se sei disperato e qualcuno arriva e ti fa questa proposta, i rischi che comporta sono straordinari,” dice Hyland.

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I minori non accompagnati non sono gli unici a rischio. A maggio, UNICEF ha dichiarato che 34,512 bambini dello stato di Adamawa – molti dei quali sono stati sfollati – sono seriamente denutriti. Nel 2015, il governo ha detto che 450 bambini profughi nello stato del Borno sono morti di malnutrizione, anche se poi ha rivisto la cifra al ribasso.

VICE News ha anche sentito parlare di abusi sessuali nei campi per profughi interni, e ha addirittura visto un dossier ospedaliero che documentava le violenze di un membro di una comunità ospitante ai danni di una bambina di due anni.

Nel frattempo, si calcola che a Maiduguri 200.000 bambini fanno l’elemosina o vendono merce per strada, e nella grande maggioranza si tratta di profughi interni.

Faltea, 11 anni, vende borse a 50 naira ciascuna. (Foto di Sally Hayden/VICE News)

Molti assistenti sociali di IRC hanno detto a VICE News che ogni giorno vengono rapiti fino a sette bambini — tutti dalle aree per profughi interni di Maiduguri, dove la ong sta lavorando. Si sospetta che i minori vengano rapiti da Boko Haram o da persone coinvolte in “rituali” che prevedono l’uccisione dei bambini e l’utilizzo delle loro membra per preparare incantesimi o intrugli ritenuti magici.

Intervistato da VICE News, un comandante delle Forze Armate Nigeriane – il principale gruppo che combatte contro Boko Haram – ha detto di non aver sentito parlare di nessun bambino rapito a Maiduguri. Ma, d’altra parte, lo stesso gruppo armato è noto per reclutare membri anche tra i quattordicenni.

A Maiduguri, VICE News ha parlato con due bambine che lavorano ogni giorno per sostenere le proprie famiglie.

Yabawa Mohammad non sa quanti anni abbia, ma non sembra averne più di dieci. Vende spezie e cipolle, contenute in sacchettini di plastica che trasporta in una ciotola in equilibrio sulla sua testa. Vive nella comunità ospitante di Kushari a Maiduguri, dove si trova da oltre due anni.

Il giorno prima della nostra conversazione, ha guadagnato 300 naira (meno di 90 centesimi). Sua madre prepara i sacchetti con le spezie. Yabawa non va a scuola, se ne va in giro ogni giorno, e dal suo successo dipende quello che la famiglia mangerà.

Yabawa Mohammad vende spezie, e il ricavato serve per sfamare la famiglia. (Foto di Sally Hayden/VICE News)

Nella comunità ospitante di Sulumri, nella stessa città, l’undicenne Faltea vende sacchetti di noci di cola per 50 naira ciascuno. È la più giovane di sei fratelli, e il suo salario dà da vivere a tutta la famiglia. Guadagna ogni giorno tra le 200 e le 300 naira, e lavora dalle sette a mezzogiorno. Dopodiché frequenta una scuola islamica locale, dove studia il Corano. Dice che “l’educazione occidentale è troppo costosa.”

Quando le abbiamo chiesto fino a che punto i suoi genitori facciano affidamento sul suo salario, Faltea ha risposto: “È la loro vita – è come mandiamo avanti la famiglia.”

Entrambe le ragazzine hanno detto che non hanno problemi con clienti che le derubano, che non pagano o che le minaccino in qualche modo.

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Lì vicino, nella caserma di Giwa a Maiduguri, 120 ragazzini tra i cinque e i 16 anni sono al momento tenuti in isolamento dalle autorità nigeriane, stando alla relazione di Amnesty International.

La ong ha chiamato il centro di detenzione un “posto di morte”, a causa delle sue misere condizioni e dell’alta percentuale di morti tra i prigionieri. Solo sette dei bambini imprigionati hanno più di 12 anni, secondo le fonti di Amnesty, e nessuno può vedere la propria famiglia.

Un ragazzo ha descritto le condizioni dentro il carcere, e dopo il suo rilascio ha detto ad Amnesty: “La fame, la sete, il clima [caldo] – questi sono i principali problemi. Anche se forse la cosa peggiore è la fame.”

Un altro ragazzo ha detto: “Ci davano da mangiare tre volte al giorno, colazione, pranzo e cena. Il cibo non era sufficiente. Era sempre molto poco.”

Gli arresti di massa dei militari spesso prendono di mira uomini e ragazzi solo in base alla loro età e al loro profilo, più che perché risultino colpevoli di qualche crimine. Secondo le notizie fornite dai media e le dichiarazioni dei testimoni, 162 bambini sono stati rilasciati dalla custodia militare dal luglio 2015. Ma il tempo che hanno trascorso in carcere può anche avere impatti più duraturi. Tra questi, il rischio di essere rifiutato dalle loro comunità a causa dei sospetti che supportino Boko Haram o che abbiamo qualche legame con il gruppo.

Anche altri dipendenti di ong, che hanno voluto restare anonimi, hanno esposto a VICE News i propri dubbi sui processi di controllo a cui i bambini – spesso traumatizzati – sono sottoposti dopo essere stati “salvati” dai militari. La famiglia, anziché celebrare il loro ritorno, verifica quale sia il loro grado di colpevolezza.

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VICE News è venuta a conoscenza di molte storie eroiche di madri come Zakaria, che ha rischiato la propria vita durante il conflitto per salvare i suoi bambini. Ma molti padri erano ben più reticenti nel dire di essere felici di ricongiungersi ai loro figli scomparsi, soprattutto se erano stati rapiti da Boko Haram.

“Sì, li riprenderemmo indietro, ne saremmo felici,” ha detto a VICE News uno dei dieci uomini a Yola, spiegando che la sua affermazione era dovuta soprattutto al fatto che i suoi figli erano molto piccoli quando sono stati rapiti.

Un bambino riposa nell’accampamento di Wuro-Ahi a Fufore, nello stato di Adawama, in Nigeria. (Foto di Sally Hayden/VICE News)

Comunque, tutto il gruppo era d’accordo sul fatto che se i loro figli fossero “maturati” e fossero stati obbligati a convertirsi all’Islam o avessero preso parte alle attività di Boko Haram, allora non sarebbero stati così accoglienti.

La pensano così anche gli altri padri con cui VICE News ha parlato, tra cui il 65enne Haruna Thuma di Gwoza, che ha perso la moglie e i due figli – una bambina di 8 anni e un bambino di 5. Non li vede da due anni.

Parlando a Yola nel campo di Santa Teresa, dove 1,000 rifugiati hanno trovato riparo sul pavimento di una chiesa cristiana, Thuma ha detto che non ha intenzione di andare alla ricerca della sua famiglia. “Non avrei il coraggio di tornare indietro, è rischioso,” ha spiegato. “Persino io sono sopravvissuto solo per grazia di Dio.”

“Non so se i miei bambini siano vivi o…” si è interrotto a metà della frase. “Saprei se sono vivi o se sono usati per qualcos’altro,” ha detto dopo un’altra pausa.

Thuma ha poi espresso lo stesso parere di molti altri padri nel nord-est: riaccoglierebbe i propri figli con sospetto. “Se praticano una religione diversa dal cristianesimo, non voglio che tornino con me,” ha detto, “ma se desiderano essere cristiani, allora sì.”

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