GIRO D’ITALIA è una rubrica in cui chiediamo a corrispondenti locali di raccontarci la loro prospettiva sulla vita musicale della propria città. Giulia A. Romanelli ci ha raccontato la sua Bologna, poi ci siamo spostati a Trento, raccontata da Pop_X, e oggi Raffaele Cuccu, cervello in fuga dall’Isola, ci racconta com’è la situazione culturale a Cagliari. Buona lettura!
Se la religione è una forma di organizzazione sociale primitiva, lo stesso si dica per il Punk—soprattutto a Cagliari. Tutto quello che è accaduto dai primi anni Ottanta fino a ieri sera nell’ambiente rumoroso e mutante dell’unica città con un trasporto metropolitano dell’isola è gravemente dipeso da questa parola: Punk. Anche trascendendo le decine di band che effettivamente nutrivano il genere—dai pionieri Wicked Apricots ai crepuscolari Arte del Fallimento, dai demenziali Flora Batterica agli emozionali Gold Kids fino agli acerbi Oops!—il Punk, inteso come attitudine, è il filo conduttore delle piccole scene che si incontrano in questa città. Che poi si tratti di Rock, Hip Hop o Hardcore, non importa: l’ingrediente fisso è il DIY. Volete una sala prove? Costruitevela. Volete un palco su cui suonare? Aprite un locale. Volete vedere band internazionali? Tirate su una booking agency, organizzatevi i festival da soli. L’alternativa, fino all’avvento dei voli low cost, era prendere un bel battello fragrante di piscio (cosa c’è di più Punk d’altronde?) e attraversate il Mar Tirreno alla volta del “Continente” per vedere un concerto nella vostra vita che non sia di una band locale.
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Squarciagola, Here I Stay, Egg, Abarra sono solo alcune delle decine di associazioni culturali tirate su per organizzare concerti e festival di respiro nazionale e internazionale e, sopratutto, saltare i circuiti provinciali che imponevano fino ad allora Miguel Bosé o i Nomadi come massima offerta musicale.
I piccoli circuiti locali hanno dovuto resistere non solo alle avversità dovute al proverbiale isolamento sardo, ma anche a contributi “interni” per la destrutturazione della scena, ad esempio porcherie come Sottosuoni, che trattavano la musica locale come uno sport (mettendo in competizione persone anziché lasciare che si contagiassero positivamente) o agenzie come Vox Day e Officina Sonora, che facevano fuori soldi pubblici promuovendo progetti personali (gli squallidi Dorian Gray di Catinari, socio della Vox Day, per esempio). Anche quando queste organizzazioni portavano nell’Isola artisti di livello come John Spencer, Sonic Youth e Iggy Pop, non ci mettevano mai mezza lira di tasca propria.
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Nel frattempo, comunque, il sottosuolo sardo viveva e resisteva grazie a piccoli festival di paese in cui aggregazione e contaminazione erano base per lo sviluppo di artisti che tuttora suonano a livello internazionale. La bontà di quella scena è provata dalla longevità degli artisti che l’animavano e dal valore riconosciuto non tanto ai singoli progetti musicali, ma alla funzione socio-culturale che hanno svolto.
Non si capirebbe altrimenti la scelta di giganti come Damo Suzuki (Can), di Leighton Koizumi (Morlocks) o di Kid Millions (Oneida) di associarsi a musicisti provenienti da band di questa scena come Claudio Zucca (The Rippers, Thee Oops, The Love Boat) e Plasma Expander (band che ha condiviso anche un tour con gli stessi Oneida).
Si arriva dunque in un’epoca intermedia in cui questi “ragazzini” crescono e iniziano a organizzare localmente concerti di band internazionali attraverso la sottoscrizione di gruppo.
Senza nemmeno avere un nome per le proprie associazioni, i nostri riescono a portare sull’Isola artisti come Karate, Lungfish, J Mascis, Nina Nastasia e decine d’altri act che, mentre familiarizzano col territorio sardo creano, inevitabilmente, legami con i suoi protagonisti. Queste associazioni senza nome si sono poi sviluppate in microcosmi vitali per la vita culturale cittadina prendendo i nomi di Here I Stay, Basstation, Egg Concerti e organizzando stagioni intere di spettacoli grazie ai quali Cagliari è riuscita a levarsi di dosso un po’ di strati di polvere. Senza l’azione diretta di queste associazioni il destino degli artisti e ascoltatori sardi (per lo meno del versante rock) sarebbe rimasto in mano a quei pochi squali che tuttora nuotano nella scena dell’isola.
Pussy Stomp, Thee Oops, The Rippers, Second Youth
Anchors Aweigh Egg Concerti Here I Stay The Sleepwalkers Truth in my Hands Jazzino Ahead/Astern Abarra Festival Oops Trees of Mint Franksy Natra Pussy StompSe il low cost e la miseria tirano tanta qualità, allora meglio cosí, dico io. Ma io non sto più in città da tempo e per questo ignoro le difficoltà che questi artisti hanno al momento di registrare, stampare e distribuire un disco. Ignoro anche alcuni artisti che il panorama sardo e italiano apprezza (Salmo e Sikitikis) perché “non fanno per me” e perché ho l’impressione, sopratutto per i secondi, che il Punk come attitudine e tecnica di sopravvivenza non abbia a che fare con loro. O con gli Elefante Bianco. O con quel buontempone di Paolo Fresu. Ma qui il chi-se-ne-fotte/chi-cazzo-sei è quantomeno reciproco.
Duna Jam e Here I Stay
Un altro atteggiamento che ha destato interesse oltremare è quello di nascondere, cosí da rendere esclusivo, l’evento o il festival. Non mi è concesso rivelare le coordinate precise, ma c’è una periodo dell’anno in cui, all’improvviso, spuntano una quantità non meglio identificata di concerti tra dune e ruderi antichi, spiagge deserte e grotte sul mare dove, tra gli altri, sono comparsi i Motorpsycho, Yusuf Jerusalem, Alfredo Hernandez (Kyuss, Queens of the Stone Age) e, prima che si vendessero al diavolo e smettessero di pisciare sul pubblico, Black Lips. Accade ancora e si chiama Duna Jam.
E negli ultimi anni, cosa succede a Cagliari? È ingiusto lasciare che la nostalgia di un’epoca semi-leggendaria influenzi il mio giudizio sulle nuove generazioni? No, anche perché di nuovo c’è poco e niente, sono ancora i personaggi di quell’epoca a montare e smontare la baracca e le novità (Salmo?) corrono su altri binari.
Anche la situazione politica della città è cambiata pesantemente. Dalla Cagliari ignorante e fascista che lasciava imbrattare il centro agli Sconvolts e a Forza Nuova siamo arrivati a una concorrente europea per la cultura con Zedda e la sua giunta. E qui mi fermo, anche perché, in fondo, la politica da noi è un predatore.
La realtà della cittá ha da una parte maturato e, dall’altra, diversificato l’offerta. Trovi Hardcore-punk e Metal alla Cuevarock, Garage e Rock&Roll al Bohémien—entrambi piccoli club per addetti ai lavori. Quello che un tempo era il covo della promiscuità musicale ora è dedito al rock italiano (il Fabrik, una sala da biliardo a tema industriale con uno dei pochi palchi seri rimasti in cittá) mentre la parte intimista e acustica se la dividono tra il Florio e il Muzak (altri due mini-club in cui lo spazio riduce l’offerta a solisti e acustici). Ci sono anche progetti alternativi come gli showcase al Recut, uno studio di parrucchieri da cui passano musicisti, producer e quant’altro. Se poi ci spingiamo nell’entroterra troviamo posti come Sa Spendula 2.0 a Villacidro, un chiosco-baraccone incorniciato da una cascata in cui suona la maggior parte dei gruppi esteri e tutto l’ambiente alternativo, rock e post-rock isolano.
Il panorama elettronico è vario e talvolta bizzarro. Si passa dalle moderne de-strutturazioni e sampling di Neeva, Menion ed Everybody Tesla a personaggi “da Berghain” come Claudio Prc e Dusty Kid di cui non potrò mai parlare oggettivamente perché, come diceva Giovanni Lindo Ferretti prima di infilarsi un crocifisso su per il culo, “A me piace la musica delle persone che mi piacciono”.
Se passi da Madrid, vai a trovare Raffaele al suo negozio, Heritage&Rare.