Música

Giro d’Italia: Venezia, questione di spazi

È estate, oramai, ed è cominciata da un pezzo la stagione dei festival, spesso all’aperto. Locali e club chiudono le stagioni invernali e in molti già pensano alla programmazione del nuovo anno. Questo succede anche a Venezia, che negli anni ha visto moltiplicarsi spazi e sale prova, band musicali di qualità mediamente alta, grazie anche al vivacissimo underground che esiste da queste parti. Ma se il centro storico vede ogni anno diminuire i residenti (oggi poco sopra i 55mila abitanti), anche la scena culturale si sviluppa allargandosi nei centri circostanti di Mestre, Marghera, oltre che nel grande hinterland, recuperando spazi e reinventandosi ogni volta in relazione ai luoghi e alle situazioni.

Il nostro percorso dentro Venezia parte però da una perdita, dalla chiusura di un luogo che chiunque abbia visitato in questi anni non può che ricordare con ammirazione. A maggio ha infatti cessato le sue attività il Teatro Fondamenta Nuove, forse uno dei posti più magici in cui mi sia capitato di ascoltare musica. Le vicende del Fondamenta Nuove, un piccolo teatro privato affacciato sulla laguna dal lato dell’isola di San Michele, e dell’Associazione Vortice che l’ha gestito per tredici anni, dimostrano la difficoltà di fare cultura quando si dipende dal contributo delle amministrazioni pubbliche, le cui vicissitudini raramente mettono al primo posto la produzione culturale.
L’unica comunicazione ufficiale proposta da Vortice spiega che «il perdurare della mancanza di sostegno (economico e strategico) da parte delle Amministrazioni Pubbliche con cui avevamo costruito e portato avanti il progetto, rende non più possibile la gestione di un teatro privato con gli obiettivi e la qualità che abbiamo sempre voluto offrire alla città».

L’associazione fa notare come «nonostante un ruolo di eccellenza nella programmazione e nella produzione nazionale di musica, teatro e danza contemporanei, nonché un riscontro di pubblico e critico mai messo in discussione, l’Associazione si è vista già nel 2014 più che dimezzare il sostegno da parte dell’Amministrazione Comunale, in quel momento commissariata, nonostante le attività fossero già state svolto in gran parte e concordate con l’Amministrazione stessa» così continua il comunicato, «né è stato possibile trovare nell’attuale Amministrazione, nonostante le insistenti richieste, una interlocuzione che consentisse almeno di verificare altre opportunità strategiche comuni. Senza più alcun supporto, abbiamo provato a mantenere il nostro progetto attivo per tutto il 2015, riducendo gli appuntamenti, ma questa capacità di resilienza e resistenza risulta purtroppo ora impossibile da portare avanti». Insomma, gli effetti collaterali delle vicende di un comune prima travolto dallo scandalo Mose e dunque commissariato, poi in mano all’amministrazione del nuovo sindaco Brugnaro, con una compagine abbastanza distratta per quanto riguarda i temi culturali.

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In tutto questo l’isolamento dell’Associazione Vortice e del suo direttore artistico Enrico Bettinello (preceduto nella gestione da Massimo Ongaro fino al 2008), è stato incolmabile. Una realtà capace di portare a Venezia—tra le mura di mattoni di un teatrino che ospitava al massimo 200 paganti—musicisti come (a memoria e in ordine sparso) Xiu Xiu, i Fire! di Mats Gustaffson, Thurston Moore, Uri Caine, Teho Teardo, Colin Stetson, Julia Kent, molti musicisti della scena d’avanguardia newyorchese come la chitarrista Mary Halvorson o Trevor Dunn (bassista di Fantomas e Mr Bungle). Una realtà in grado di svolgere, inoltre, una fondamentale attività di scouting, per quanto riguarda il teatro ad esempio, ospitando e facendo crescere compagnie molto «rock» come Babilonia Teatri o Anagoor, che anche grazie allo spazio avuto dal Fondamenta Nuove hanno potuto muovere i primi passi.

Uno spazio così prezioso per la città, che negli anni ha collaborato con le più importanti realtà del territorio come La Biennale, OperaEstate Festival, la Fondazione Pinault, il Teatro Stabile del Veneto, viene lasciato morire e questo, di per sé, è assurdo. Il risultato è che, quello che per anni era sembrato un esempio quasi perfetto di collaborazione tra pubblico e privato nella capacità di portare in città tutto il meglio della produzione culturale contemporanea, sfuma in pochi mesi lasciando un vuoto che appare difficilissimo da colmare.

Tra gli spazi che resistono dentro Venezia c’è il Laboratorio Occupato Morion, situato nel sestiere di Castello, la parte più autentica e meno turistica di Venezia. Il Morion è una delle occupazioni più antiche all’interno della città, visto che la sua nascita risale almeno al 1990.

“Il nostro è un laboratorio,” mi racconta Francesca, attivista del Morion e responsabile principale della programmazione, “perché, oltre al locale vero e proprio, noi seguiamo molte iniziative legate alle città. Ad esempio da anni portiamo avanti un lavoro di informazione e di protesta contro le Grandi Navi, alcune azioni di occupazione abitativa in diversi luoghi a Venezia. Quest’anno abbiamo tenuto un corso di autoformazione sul cambiamento ambientale chiamato Climate Chaos. Una delle cose importanti per noi è mantenere un buon rapporto con gli abitanti del quartiere, infatti il Morion è sempre aperto a chi volesse venire ad esempio vedere la nostra libreria o a chi volesse venire a cena nella pizzeria, frequentata anche da famiglie”.

La proposta musicale del Morion è sempre stata molto legata alla città, alla scena reggae per esempio (del resto Venezia resta la città dei Pitura Freska) con Puppagiallo e, negli anni, molte band meritevoli come Radio Rebelde e Zoo Zabumba, poi realtà più di sperimentazione, come la one-man band Wasted Pido o i Lucertulas, più legati al noise. Non sono mancati però musicisti internazionali, come il chitarrista John Stowell, oppure Marc Ribot e molti altri autori stranieri che vivono in città.

Il Morion è ovviamente connesso al circuito dei centri sociali del Nordest (legati alla storica Radio Sherwood di Padova), che in città vede almeno altri due luoghi deputati alla produzione culturale, il giardino di Ca’ Bembo, occupato dal collettivo studentesco Lisc, e Sale Docks, centro di produzione che si occupa anche di arti visive e che ha sede presso un padiglione dei Magazzini del Sale restaurato ma inutilizzato da anni e rimesso in piedi dagli occupanti.

Uno degli spazi più interessanti, con una proposta molto ricercata e d’avanguardia, è Metricubi, che ospita anche proiezioni e rappresentazioni teatrali, mentre tra i locali più particolari in cui si può vedere un buon concerto ci sono il Profondo Rosso (il titolare, Fifo, è un vero rocker), il Paradiso Perduto e i Biliardi (forse l’unico locale a Venezia aperto fino all’alba).

Spostandoci verso la terraferma, troviamo il Rivolta, altro centro sociale storico che esiste da metà degli anni Novanta, in cui date le dimensioni dello spazio spesso vengono ospitati concerti con molto afflusso di pubblico (come Fatboy Slim, Asian Dub Foundation, Dub Fx), da qualche tempo colonizzato dai ragazzi di Venezia Hardcore, che qui portano un festival che ogni anno cresce per numero di band e partecipanti.



Tra i locali più interessanti di queste parti, ci sono il Vapore, storico locale jazz di Marghera, il Flat, ospitato in un appartamento (come un altro locale, il Tag) e che dà molto spazio a band emergenti e, perdendoci in mezzo ai campi, troviamo la metal-osteria Altroquando, da cui passano band internazionali stoner, garage, metal e altri act particolarmente rumorosi (Nick Olivieri ex dei Queens of the Stone Age, per esempio), casa anche di band delle molto combattive label locali Shyrec e Boring Machines, oltre all’annuale Maximum Festival organizzato dall’etichetta Go Down.

Una realtà che si sta ritagliando uno ruolo importante per la sua proposta, non solo a livello locale ma a livello nazionale, è Spazio Aereo, un luogo in cui sono ospitati concerti ed eventi musicali, ma anche rassegne cinematografiche, oltre a workshop e laboratori. Spazio Aereo si trova all’interno del Parco Tecnologico di Marghera, il Vega, e in soli tre anni di vita è riuscito a crearsi un seguito importante, dando spazio a realtà musicali molto legate spesso alla sperimentazione. Tra i nomi che hanno suonato in questo locale ci sono ad esempio il musicista elettronico Jon Hopkins, i pionieri del DIY olandesi The Ex, il bluesman Jon Spencer, i miei idoli personali Zu, oppure i Matmos.

In un territorio da sempre molto legato alla produzione industriale, sono molti i locali sorti in capannoni e affini. A Marghera troviamo ancora il Phobic, in via della Pila, ma è importante spostarsi ancora un pochino nello spazio e nel tempo per menzionare anche locali come il Magic Bus di Marcon (ora chiuso) e il New Age di Roncade (TV), quest’ultimo ancora attivissimo, che rappresentano le prime due vere realtà alternative di queste parti, i primi locali privati in grado di ospitare una programmazione rock, hardcore, metal che non si poteva incontrare in nessun altro angolo di quest’angolo della Serenissima.

Uno dei luoghi più interessanti dell’attuale panorama è il C32, spazio ricavato all’interno di un vecchio magazzino di Forte Marghera (che in realtà si trova a Mestre). Questo Forte è una delle diverse edificazioni militari presenti in questa zona che risalgono all’inizio del 1800, erette in epoca di dominazione austriaca e poi in mano all’esercito per molti decenni. Da tempo il comune di Venezia porta avanti un lavoro di recupero ambientale e una delle prime realtà ad insediarvisi è stata l’associazione che poi prendere il nome di Live Arts Cultures, i cui fondatori sono l’artista Aldo Aliprandi, la danzatrice Marianna Andrigo e l’etichetta discografica Electronic Girls.

“Ho scoperto questo spazio nel 2005, girando lì un film per il comune di Venezia,” racconta Aliprandi. “Nel 2006 ho quindi chiesto alcuni spazi per fare delle prove e chi gestiva il Forte mi ha proposto di portare qui dentro la mia attività, mi hanno dato questo capannone che era un disastro, ci pioveva dentro, era abbandonato da almeno una decina d’anni. Qui al Forte non c’era nessuno in quel momento, c’erano solo i gatti”. I gatti ci sono ancora oggi, ma nel tempo la gestione si è allargata a cooperative che si occupano di ristorazione, all’Accademia delle Belle Arti che qui ha alcuni suoi laboratori, oltre che alla Biennale che vi ospita alcuni padiglioni espositivi. “Sono stato il primo ad entrare qui dentro con un’attività. Abbiamo sistemato il capannone, portato l’acqua, la luce, risistemando lo spazio in modo da renderlo vivibile, tutto con costi minimi non avendo fondi”.

“All’inizio veniva usato soprattutto come spazio nostro, per le prove, magari ospitavamo qualche artista che poteva averne bisogno, ma era una cosa molto informale” continua Aliprandi. “Poi nel 2012 io e Marianna Andrigo decidiamo di ideare un progetto più articolato e coraggioso, cercando di fare una programmazione anno per anno, ad esempio attraverso workshop. Piano piano la cosa è cresciuta e oggi ci sono una serie di attività che noi facciamo qui dentro che hanno davvero un respiro internazionale”.

Fondamentale è stato l’incontro con Electronic Girls, “che noi avevamo invitato per curare la parte musicale di un nostro evento. Da lì è nata una collaborazione che ancora prosegue, secondo una chiave che ci siamo dati assieme, cioè immaginare di lavorare in termini di ricerca sulla relazione tra suono e movimento”.

“Il C32 è pensato più che altro per essere un luogo di produzione e di formazione, quindi ospitiamo soprattutto workshop, con artisti che restano qui qualche giorno in residenza, immersi in una situazione di studio”, e per tutto l’anno resta un luogo per fare prove, qui si trova la sala prove delle Electronic Girls, ad esempio, e lo spazio è stato inoltre utilizzato recentemente per le registrazioni dell’ultimo (bellissimo) disco dei noise-rocker Kleinkief.

Il C32 ospita però anche eventi aperti al pubblico. A luglio terrà un workshop di tre giorni il compositore Markus Stockhausen, ispirato alle idee del padre Karlheinz Stockhausen e al suo concetto di musica intuitiva, cui seguirà un concerto aperto a tutti. E a settembre, come ogni anno, avrà luogo l’Electro Camp Festival, ideato da Electronic Girls come laboratorio aperto a performer e musicisti di tutto il mondo, di cui verranno poi mostrati i risultati di studi e sperimentazioni.

“A noi interessa più di tutto lo stadio della ricerca,” spiega Aliprandi, “e quello che secondo me è interessante è proprio la situazione che si è venuta a creare e che oggi si può toccare con mano. Nel tempo si sono avvicinati parecchi artisti, il luogo vive proprio in forza di questo, soprattutto in un tempo in cui la condizione di chi fa arte è complicata, non ci sono spazi, si faticano a trovare le risorse… E noi riusciamo ad offrire a molti un luogo dove poter fare, e questo a costi bassissimi. Penso che sia importante”.

Insomma, Venezia vive di spazi occupati, ritagliati, costruiti con fatica, sotterranei, lontani dai grandi centri, industriali e rurali. I luoghi di Venezia sono il sottosuolo dionisiaco di una città d’acqua il cui sfarzo apollineo è lontano. Da tutt’altra parte rispetto ai laboratori creativi, spesso semplici, in cui la cultura viene mangiata con la foga di chi, ogni giorno, deve trovare il modo di dar sfogo alla voglia di trovare spazio per sé nel posto più bello del mondo.

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