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Se ridicolizzi Greta Thunberg, c’è un 99,9% di possibilità che tu sia un cogl**ne

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Ieri pomeriggio è iniziata l’assemblea dell’Onu sul clima, e anche questa volta—almeno a parole—i leader politici si sono detti d’accordo: bisogna portare le emissioni a zero, rivedere i piani climatici, ripensare ai nostri modelli di sviluppo. Bisogna fare qualcosa per invertire la rotta, insomma.

Il massimo dell’attenzione mediatica si è però concentrata sull’intervento di Greta Thunberg; un discorso molto duro e accorato, in cui l’attivista svedese ha ribadito quanto ormai dice da più di un anno: è inutile continuare a fare promesse, bisogna agire ora. Perché “siamo all’inizio di un’estinzione di massa e tutto ciò di cui parlate sono soldi e favole di eterna crescita economica.”

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“È tutto sbagliato,” ha poi detto Thunberg. “Io non dovrei essere qui. Dovrei essere a scuola dall’altra parte dell’oceano. Eppure venite tutti da me per avere speranza? Come osate! Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia con le vostre parole vuote.” Tuttavia, ha concluso l’attivista, “i giovani cominciano a capire il vostro tradimento: e se scegliete di deluderci non vi permetteremo di farla franca.”

Thunberg ha insomma ribadito ancora una volta quello che va ripetendo da più di un anno a questa parte—un assunto che sta alla base anche del movimento #FridaysForFuture: non spetta (solo e unicamente) ai singoli risolvere un’emergenza climatica certificata dalla scienza oltre ogni ragionevole dubbio, ma a chi detiene il potere decisionale e politico di cambiare le cose. Il che tra l’altro non è nulla di eclatante, perché storicamente ogni grosso movimento di protesta è partito dal basso per colpire l’alto.

Eppure, come puntualmente avviene ogni volta che Thunberg finisce nel ciclo delle notizie, i social e i media traboccano dei soliti commenti livorosi, paternalisti, sarcastici e misogini—se non, nel peggiore dei casi, abilisti (su cui non vale nemmeno la pena soffermarsi, visto il loro squallore). Negli Stati Uniti, il commentatore ultraconservatore Dinesh O’Souza l’ha persino paragonata ad una nazista per la sua acconciatura.

È uno schema ormai collaudato, del resto: in Italia, poi, l’abbiamo visto dispiegarsi alla grande quando Thunberg ha partecipato ad una manifestazione di #FFF a Roma lo scorso marzo. Ed è un qualcosa che, francamente, ha definitivamente rotto i coglioni. Li aveva rotti sin dall’inizio, ovvio; ma ora ha davvero sfondato ogni limite del patetico e dell’insopportabile.

Non sto parlando solo dei soliti deliri degli attempati commentatori “politicamente scorretti” di turno; parlo di argomentazioni ben più subdole e all’apparenza raffinate, che vanno a formare un assordante rumore di fondo che con la critica ha ben poco a che fare.

Una di queste è che Greta sia a capo di una specie di setta di lobotomizzati “climaticamente corretti,” giovani “gretini” (oh, che ridere! Vi siete accorti che è un brillante gioco di parole con cretini, vero?) che si sono lasciati incantare dal pifferaio magico di turno per sentirsi a posto con la coscienza—e soprattutto bruciare un giorno di scuola, da perfetti “fancazzisti.”

Naturalmente, è una cazzata sesquipedale: chiunque sia stato a una manifestazione e abbia provato a parlare con chi era lì, sa perfettamente che Thunberg non è vista come “il capo,” ma per quello che è davvero: un simbolo, una fonte d’ispirazione. E questo movimento si rifà all’esempio di Greta, non è che prende ordini da lei.

Poi ci sono le teorie del complotto spacciate per “controinchieste,” tutte volte al “disvelamento” di oscure macchinazioni su chi ci sia realmente dietro l’attivista. Si tratta di una serie di elucubrazioni già piuttosto lunga e composita, che si arricchisce continuamente—come ogni teoria del complotto che si rispetti—di dettagli, variazioni e spin-off.

La base è uno scritto diviso in sei parti di Cory Mornigstar intitolato “La fabbricazione di Greta Thunberg”: in sostanza, la figura dell’attivista svedese, come ha riassunto Angelo Romano, sarebbe stata “pianificata a tavolino e costruita mediaticamente per favorire la quarta rivoluzione industriale dell’economia verde ed è il frutto di un esperimento di ingegneria sociale per manipolare, condizionare e spingere le masse ad agire su scala globale.”

Secondo un articolo del Messaggero di qualche tempo fa, che si fonda sugli sproloqui di Morningstar, il “marchio Thunberg” è in realtà un “think tank del catastrofismo ambientale incarnato in una perfetta giovane influencer globale.” Le prove di questa cospirazione sono sostanzialmente due. Il primo è che Greta per un periodo è stata affiancata dall’esperto di marketing Ingmar Rentzhog e dalla sua società We Do Not Have Time: i legami ci sono effettivamente stati, ma sono stati brevissimi e successivi all’inizio della protesta; la realtà è che Greta non prende soldi da nessuno e non lavora per alcuna associazione.

La seconda, sempre in base al pezzo del Messaggero, è che i Fridays For Future sono un’elaborata campagna pubblicitaria per il “libro ultra-ecologista” della madre di Thunberg, la cantante Malena Ernman, pubblicato 4 giorni prima della protesta iniziale nell’agosto del 2018. Ernman avrebbe dunque usato la figlia a scopi di lucro, dando incidentalmente vita a un movimento di protesta che da un anno porta in piazza milioni e milioni di persone. Una roba da far impallidire Chiara Ferragni, insomma.

Alla base di ogni teoria del complotto su Thunberg c’è comunque la sua manovrabilità. Su tutti, cito un orrido articolo apparso su Sputnik: “[Greta] rimane una povera ragazzina con sindromi comportamentali ripetitive e stereotipate [che] viene lanciata in un carrozzone mediatico per gli interessi di chi ha fiutato un qualche misterioso affare del quale lei non sarà mai consapevole, come probabilmente non saremo mai neppure noi.” Della serie non so e nemmeno ho le prove, ma la sparo grossa perché è semplicemente impossibile che una ragazza di 16 anni possa avere contezza di quello che fa e dice.

Per finire—anche se si potrebbe andare avanti ancora a lungo, purtroppo—c’è un’altra tesi che spesso fa capolino nei commenti, e che all’apparenza suona molto acuta e controcorrente: non siamo così stupidi da cadere nel cospirazionismo, e quindi Greta non è un burattino nelle mani di qualche adulto avido di soldi e potere; tuttavia, lei stessa incarna inconsapevolmente una “distrazione di massa dai veri problemi.”

Siamo davvero di fronte a un capolavoro: i “veri problemi” non sono il riscaldamento globale; l’aumento di fenomeni atmosferici sempre più estremi; i ghiacciai che si sciolgono; le prospettive terrificanti dei modelli climatici; né, alla fine, il rischio di estinzione del genere umano. I veri problemi sono…boh, saranno altri dai.

Per quanto ridicole e assurde—e per quanto possano farci incazzare (perché sì, certe cose fanno ribollire il sangue)—queste argomentazioni sono in realtà la spia di un qualcosa di ampio e radicato: dopotutto, a ogni possibilità di cambiamento si oppone sempre una reazione. E più è radicale questa possibilità, più sarà intensa e feroce la reazione.

Non a caso, tali “critiche” isolano un simbolo—che ovviamente non è intoccabile, né un’icona sacra—per colpire i movimenti ambientali passati, presenti e futuri; e dunque squalificare l’intero attivismo sul problema dei problemi (cioè il clima) esploso in quest’ultimo anno.

Come rilevava Antonio Scalari in questo articolo su Valigia Blu, la grande novità è che “per la prima volta da quando è chiaro (fattualmente certo) che sono in atto cambiamenti climatici da diverse attività umane, un diffuso movimento di protesta globale chiede di agire per contrastarli.” E chiede di farlo subito, per provare a salvarci il culo tutti insieme prima che sia troppo tardi.

È un qualcosa che va ben oltre una singola persona, dunque. E concentrarsi ossessivamente su quest’ultima con determinate argomentazioni, oppure ricoprendola di insulti o battutine, è fare oggettivamente del catastrofismo: perché così facendo si vuole conservare l’ordine esistente delle cose, che è lo stesso che ci ha portato fino a qui.

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